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L'ultima Lucia


Con la pubblicazione, nel 2001, del libro (definito "una lunga lettera") completato nel 1997, "Gli appelli del messaggio di Fatima" (AMF) l'anziana suor Lucia intenderebbe lasciare al mondo un compendio di quello che, secondo lei, è il messaggio di Fatima.
È un testo abbastanza esteso, a confronto con le quattro Memorie; ma a ben guardare si tratta di poco più che piccoli raccordi autobiografici o banalmente illustrativi, all'interno di una prolissa collezione (che riempie circa metà del libro) di citazioni dalle Sacre Scritture.
La sostanza del libro è piuttosto debole, simile a quella di qualunque opera devozionale; ma nonostante ciò, visti i precedenti, resta il dubbio che una suora così anziana abbia potuto scrivere una sorta di trattatello di teologia popolare. Lo stesso Vescovo di Leiria-Fatima, Serafim De Souza Ferreira e Silva, che introduce il volume, ne è perfettamente cosciente, e si affretta ad "assicurare ai lettori che questo libro è una sua iniziativa e nasce realmente dalle sue mani" (AMF, 3); piuttosto sospetta "excusatio non petita" che rafforza non poco il sospetto che possa trattarsi di un tardivo falso. Il Vescovo portoghese precisa che Lucia avrebbe scritto con il permesso della Santa Sede, al fine di rispondere alle "ripetute domande sulle apparizioni, sul messaggio ricevuto e sulla ragione d'essere di alcune richieste in esso formulate" (AMF, 3), preoccupandosi di "privilegiare alcuni aspetti della questione, senza per questo diminuire o escluderne altri del messaggio" (AMF, 3). Lucia avrebbe scritto queste memorie con "grande riservatezza" circa la sua intima spiritualità, concedendosi "qua e là qualche sfogo personale di grande bellezza e densità mistica" (AMF, 4).
Padre Jesus Castellano Cervera presenta il volume come "sintesi matura ed ampia dell'annunzio ricevuto dalla Madre del Signore", "a lungo meditato", "autorevole illustrazione del messaggio di Fatima nel suo complesso", "piccolo Catechismo della vita cristiana secondo Fatima" (AMF, 7-9); in cui Lucia mostrerebbe tutto il suo "buon senso" e "saggezza da contemplativa"; la sua prosa "si riveste di un tono poetico"; ha "la concretezza della donna attenta alle vicissitudini del nostro mondo e della nostra storia" (AMF, 11). Illustrerò più avanti come questi giudizi siano assolutamente privi di fondamento
Come già nelle memorie, Lucia sottolinea, ponendosi costantemente al centro dell'azione, che è "ancora qui sulla terra a sua [di Dio] disposizione" (AMF, 77), essendo l'affidataria del messaggio, secondo "la volontà di Dio riconosciuta da chi di diritto" (AMF, 17); anche se con la sua solita retorica professione di 'umiltà' si raffigura ancora una volta come strumento povero, ignorante ed inutile nelle mani di Dio. Afferma che solo da grande ha potuto comprendere appieno, dopo la lettura delle Scritture, il messaggio di Fatima (AMF, 140) e dunque per questo 'ora' è in grado di spiegarcelo; come se il messaggio necessitasse ancora del suo apporto. E per rendere ancora più esplicita la sua pretesa aggiunge "Vi prego di non guardare questa comunicazione come una cosa che viene da me e basta" (AMF, 17).
Il libro inizia (ancora una volta!) con una breve rievocazione idilliaca, ben poco credibile, dell'ambiente familiare e sociale in cui crebbero i tre pastorelli; una sorta di piccolo Eden, popolato solo di bravi lavoratori ligi al vangelo, selvaggina abbondante, campi verdeggianti, olivi carichi di frutti, pecorelle mansuete; fra onesti lavori, casti trastulli di bimbi innocenti, modestia nel vestire, abbondante figliolanza, densa e partecipata religiosità, "tutti erano felici: tutti stavano bene" (AMF, 24). In quanto ai pastorelli "circondate dagli incanti della natura, le loro anime innocenti vivevano la nostalgia del soprannaturale, che la grazia fa intuire come un'incantevole ricchezza molto più grande" (AMF, 30). Tutti ovviamente andavano a messa la domenica. Lucia sembra dimenticarsi che nelle sue memorie aveva scritto ben altre cose, ad esempio riguardo suo padre, che non era affatto un cristiano esemplare, e del quale aveva già allora taciuto le caratteristiche peggiori. Qui si limita, dopo inutili descrizioni edificanti, ad usare queste poche parole: "non pensate che in queste famiglie non ci fossero le carenze proprie della debolezza umana" (AMF, 31). Molte pagine dopo (AMF, 259) depreca "i passatempi peccaminosi, nella soddisfazione dei vizi, in bevande alcoliche, nei caffè, nelle case da gioco e di depravazione…", ma senza dare ad intendere che queste cose avvenivano anche al suo paese o in casa sua.
Quel che di fondamentale tiene ad affermare Lucia (e probabilmente proprio questo è il motivo per cui richiama quel periodo) è che le famiglie dei pastorelli, per quanto "fedelmente cristiane […] erano ben lungi dal poter creare nello spirito dei figli idee mistiche o di elevata spiritualità come quelle che troviamo nelle apparizioni di Fatima, e perciò l'opera deve essere interamente di Dio" (AMF, 35). Proprio così Lucia conferma di avere bene appreso la lezione dai suoi biografi ed apologeti: è meglio tacere sui condizionamenti e sui plagi cui era soggetta, particolarmente da parte di sua madre; ed è meglio glissare sulle esperienze (con relativi primi deliqui 'mistici'), del periodo della sua prima comunione, che tanta importanza hanno invece nel segnare il suo cammino spirituale.
Lucia ritiene molto importante tornare a descrivere le apparizioni dell'Angelo. E comincia da quella prima vaga visione che aveva avuto nel 1914 o 1915, e che nella seconda memoria aveva definito "come se fosse statua di neve", "come sospesa nell'aria" (MII, 45); ora la descrive come "nuvoletta in forma umana" che sarebbe scesa di fronte a lei ed alle sue compagnette di pascolo; e pur ribadendo "non so cos'era e cosa significava" (AMF, 35), sente che doveva trattarsi dell'Angelo Custode, affermazione che cerca di rendere convincente in questo modo: poiché la Bibbia ci garantisce sull'esistenza degli Angeli, sembra verosimile che potesse trattarsi di un Angelo; "questo che vi dico non lo affermo solo perché mi è stato dato di vederlo; se così fosse, le mie parole avrebbero ben poca forza per voi" (AMF, 36). Il sospetto che fosse solo un'illusione non la sfiora minimamente.
Accennando poi alle apparizioni della Madonna, Lucia mostra per la seconda volta, e ben più risolutamente, la sua (qui certamente suggerita, o imposta) acquiescenza agli agiografi. Parlando della "Legge di Dio", scrive infatti: "Quando sono avvenute le Apparizioni, io ancora non conoscevo questa Legge; avevo appena una idea molto limitata e imperfetta, come qualsiasi altro bambino semplice e ignorante, come ero allora, che non sapesse né leggere né scrivere e che vivesse in un ambiente così privo di cultura e scienza come quello in cui mi trovavo" (AMF, 43). La metamorfosi è perfetta: da prima della classe, come si descriveva nelle Memorie, con la sua memoria prodigiosa, con l'orecchio attento durante il frequente ascolto di storie sacre e la lettura della "Missione abbreviata", a 'recettore' passivo di un messaggio che supera le sue capacità di comprensione.
Dopo un buon terzo del volume, dedicato alle apparizioni dell'Angelo (AMF, 43-114), si passa finalmente alle apparizioni della Vergine; qui Lucia, per introdurre il tema del Rosario (AMF, 115-125), sente innanzitutto il bisogno di riepilogare sommariamente i momenti della prima apparizione. Quindi passa al tema della Devozione al Cuore Immacolato di Maria, che inaspettatamente è trattato con estrema brevità (AMF, 126-129). Il dodicesimo appello, alla "considerazione della vita eterna" (AMF, 130-134), per quanto proponga il tema dell'inferno oggetto dei segreti di luglio, non fa alcun riferimento allo scenario di quella visione (il fuoco, i demoni, etc.) né agli argomenti collegati (la diffusione del male nel mondo tramite la Russia, etc..). Viene ripresa l'ammonizione della Madonna "Avete visto l'inferno, dove vanno le anime dei poveri peccatori. Per salvarle; Dio vuole stabilire nel mondo la devozione al mio Immacolato Cuore. Se farete quello che vi dirò, si salveranno molte anime e avranno pace" (AMF, 133), ma poi è del tutto omesso il periodo seguente, che illustra la punizione prevista. È importante segnalare come in una stessa pagina venga ripetuta ben tre volte l'espressione "se farete ciò che vi dirò…"; ma la Madonna, secondo le Memorie aveva detto invece: "Se faranno quello che vi dirò, molte anime si salveranno…" (MIII, 80 e MIV, 122). Vi è dunque, in questa tardiva opera di Lucia, una vera e propria appropriazione del ruolo di mediatrice, che invece apparterebbe alla Madonna: in pratica è come se prima avesse scritto "se Lucia" (giacchè gli altri due pastorelli moriranno prima) farà opera di proselitismo verso la devozione al Cuore Immacolato di Maria, in molti si salveranno; e non piuttosto, come è stato sempre riportato, "se la devozione si stabilirà" molti si salveranno. Non sembra un semplice lapsus!
Il tredicesimo appello, definito "appello dell'apostolato" (AMF, 135-142), è basato sulla esortazione del 19 agosto 1917 "Pregate, pregate molto e fate sacrifici per i peccatori, poiché molte anime vanno all'inferno perché non c'è chi si sacrifichi per loro". Secondo Suor Lucia, il messaggio chiede agli uomini l'apostolato del sacrificio, della preghiera e della carità presso i fratelli, in continuazione della missione di Cristo. In realtà il messaggio originario era palesemente diretto ai soli tre pastorelli, che avrebbero dovuto essere i diretti artefici di questa opera.
Il quattrordicesimo appello "alla perseveranza nel bene" (AMF, 143-155) si basa sulla richiesta del 13 settembre 1917: "continuate a recitare il rosario, per ottenere la fine della guerra". Stando alle Memorie, nelle prime cinque apparizioni, la Madonna aveva chiesto esplicitamente ai tre pastorelli, e solo a loro, di pregare e fare sacrifici; solo nella sesta apparizione la Madonna avrebbe affermato "che continuino a recitare il rosario tutti i giorni" (MIV, 125), riferendosi a tutti i presenti quel giorno a Cova da Iria. Questa variazione nello specificare i soggetti della recita del rosario, appare indubbiamente in contrasto con l'andamento del ciclo di apparizioni; ma anche ammettendo che l'ambito della richiesta si fosse alla fine esteso, resta il fatto che la recita del rosario era esplicitamente legata al tema della cessazione della guerra, e non ad un contesto più generale.
Secondo Lucia, adesso, quella guerra per la quale si chiedeva di pregare, "è anche il simbolo delle molte altre guerre che ci circondano e delle quali dobbiamo ottenere la fine, con la preghiera e con il nostro sacrificio" (AMF, 143). Da un tema specifico, si passa così ad uno più generale ma anche meno concreto: la guerra al demonio, alle vanità del mondo ed alla carnalità; nessun accenno esplicito ai totalitarismi, al comunismo etc.
Il quindicesimo appello "non offendete più Dio Nostro Signore che è già molto offeso" (AMF, 151-155) richiama all'aspetto più infantile del messaggio di Fatima, la colpa di avere "offeso" il genitore-Dio trasgredendone i precetti.
I successivi appelli "alla santificazione della famiglia" (AMF, 156-160), "alla perfezione della vita cristiana" (AMF, 161-174), "alla vita di piena consacrazione a Dio" (AMF, 175-190), "alla santità" (AMF, 191-197), "a proseguire sulla via del cielo" (AMF, 198-202), non si basano su di una richiesta esplicita, verbalizzata, ma vengono dedotti da Lucia a partire dalle visioni durante l'apparizione di ottobre. Si tratta in realtà di considerazioni spurie, rispetto al messaggio di Fatima, almeno nella forma in cui sia lei che gli apologeti lo hanno riportato. Lucia è cosciente di entrare in un'area non battuta dai suoi commentatori, e confessa apertamente "non so se i teologi e gli studiosi della Chiesa hanno già dato a queste apparizioni qualche significato o interpretazione particolare" (AMF, 156).
Come per tutti gli altri appelli, anche qui Lucia non scrive nulla di personale e nulla di nuovo; la sua esposizione è assolutamente banale, appiattita sulle Sacre Scritture ed attenta a navigare l'onda di tematiche care a papa Wojtyla: famiglia, matrimonio, castità, aborto, vita consacrata, cooperazione all'opera della creazione.
La parte finale del libro, dedicata ai dieci comandamenti (AMF, 205-261) ed al Rosario (AMF, 265-303), non aggiunge nulla al già misero tardivo apporto di Lucia. Da essa traggo solo questa considerazione: "Ebbene, tenendo presente sia l'insistenza con cui Dio, attraverso il suo Messaggio di Fatima, ci raccomanda la preghiera del rosario o corona, sia ciò che al riguardo ha detto il Magistero della Chiesa nel corso degli anni, possiamo pensare che il rosario o corona sia la formula di preghiera vocale che in genere più conviene a tutti e che più dobbiamo stimare, impegnandoci al meglio per non trascurarla mai" (AMF, 265). Evidentemente a Lucia non è venuto mai il sospetto (e non potrebbe essere altrimenti, vista la sua 'ortodossia') che il Rosario sia molto più semplicemente la preghiera 'più facile', scelta da lei e in genere dai devoti meno colti, piuttosto che quella che dovrebbe preferire la Madonna! Come a volere fugare o prevenire i giudizi negativi espressi sul Rosario, elenca infatti una sovrabbondante lista di decreti, raccomandazioni ed apprezzamenti in proposito, che nulla aggiungono alla sua opinione.
Volendo tracciare un giudizio complessivo, occorre chiedersi a che serva in definitiva questo libro, e con quale intento Lucia lo abbia (o avrebbe) scritto. Secondo lei, vi è stato il desiderio di rispondere pubblicamente ai quesiti dei fedeli della Madonna di Fatima. Ci si sarebbe per questo atteso, in base alle caratteristiche peculiari del culto ad ogni 'particolare' Madonna, che il libro fosse centrato sui temi specifici di Fatima, e che per ognuno dicesse qualcosa in più di quello che lei direttamente o altri avevano scritto. Ma così non è. Lucia non da nessuna originale risposta a nessuno degli argomenti elencati; copia semplicemente interi paragrafi delle Sacre Scritture che ne trattano. E così vediamo compendiati alcuni degli argomenti centrali della religione cristiana: l'esistenza degli Angeli (AMF, 35-39), l'esistenza di Dio (AMF, 43-48), quale sia la vera chiesa di cristo (AMF, 50-55), l'unità della Chiesa e la Comunione dei Santi etc. (AMF, 52-55), la santità della Chiesa (AMF, 208-209), l'adorazione di Dio (AMF, 56-59, 212-214), i dieci comandamenti (AMF, 205-261), la professione di fede del Credo (AMF, 44-48), l'infallibilità della Chiesa (AMF, 49-51), la natura ed il destino dell'anima (AMF, 78), la resurrezione (AMF, 79), la necessità, la natura ed i modi della preghiera (AMF, 80-88), la comunione eucaristica (AMF, 99-105), la Trinità (AMF, 106-114), il Purgatorio (AMF, 117-120), il dovere del culto pubblico a Dio (AMF, 140) il rispetto dei giorni di precetto (AMF, 221-227), la santità del matrimonio e la castità (AMF, 237-242), l'obbligo all'amore ed alla carità (AMF, 254- 261).
È inutile cercarvi invece, come superficialmente afferma il Vescovo di Leiria-Fatima, "la risposta alle domande più impegnative che vorrebbero porle" (AMF, 6): non basterebbe un libro per precisare tutte quelle cui non si accenna minimamente. "Gli appelli del messaggio di Fatima" non è dunque un libro di risposte, ma piuttosto un libro di omissioni, di censure e di revisioni orwelliane su Fatima; vediamo in dettaglio perché.
Giacinta e Francesco vengono nominati esplicitamente solo allorché si elencano i componenti delle due famiglie Dos Santos e Marto e nel ricordare la prima apparizione; solo in qualche altra rara occasione si parla incidentalmente dei "tre pastorelli", e solo per ricordare in maniera assolutamente impersonale e assolutamente non credibile, la loro vita gioiosa di prima delle apparizioni. Nulla, assolutamente nulla, sulla loro vita personale e, sulla scia di tanti agiografi, sul loro sviluppo spirituale (come su quello personale di Lucia). In tutto ciò che costituisce il cuore del libro, se di qualcuno si deve parlare, è solo della 'missione' di Lucia. Si potrebbe obiettare che richiamare i fatti della vita dei pastorelli sarebbe risultato superfluo. Ma così non è.
Sui venti appelli, ben nove (I-IX) derivano da parole dell'Angelo e solo cinque (X-XI, XIII-XV) da parole della Madonna. Gli altri sei non hanno nulla a che vedere con il ciclo delle apparizioni del 1917: gli appelli "alla considerazione della vita eterna" (XII), "alla santificazione della famiglia" (XVI), "alla perfezione della vita cristiana" (XVII), "alla vita di piena consacrazione a Dio" (XVIII), "alla santità" (XIX), "a proseguire sulla via del cielo" (XX). Per cui, fra l'altro, è bugiarda la presentazione del libro, in quarta pagina di copertina, laddove si afferma falsamente che gli appelli sono "tratti parola per parola dal messaggio già noto".
Incredibilmente, nel libro non compaiono mai quattro parole fondamentali di Fatima: comunismo, ateismo, segreti, consacrazione (al Cuore Immacolato di Maria). Solo P. Jesus Castellano Cervera, nella presentazione del testo di Lucia, cita una volta il termine 'segreti', per avvisare che "il lettore non deve cercare […] delle novità nascoste nei segreti di Fatima" (AMF, 12); quasi un mettere le mani avanti. Ma se Lucia, scrivendo questo libro, non intendeva parlare di comunismo, di ateismo, di segreti e di consacrazione, perché l'ha scritto: solo per fare un inutile compendio della Bibbia?
Dalle cose omesse, passiamo alle citazioni appena di sfuggita. L'inferno, nucleo centrale della visione durante la terza apparizione, così 'importante' da essere secretato per molti anni, è citato due volte dai presentatori dell'opera (AMF, 5 e 12) e solo due volte da Lucia, giusto per riferire che secondo la Bibbia 'esiste' (AMF, 79 e 131). Il tema del 'castigo', altro elemento fondamentale del segreto di luglio, è citato solo due volte, e solo per ricordarci quello di Adamo (AMF, 28 e 29). Di 'peccato' si parla una volta in riferimento alle colpe personali (AMF, 103) ed un'altra volta come causa di catastrofi, malattie, disastri etc. (AMF, 78); mai in riferimento esplicito alle guerre, come in tutti i testi su Fatima.
Di 'penitenza' Lucia scrive quattro volte: ma solo per ricordarci quella inflitta ad Adamo (AMF, 27 e 28), le penitenze di Gesù (AMF, 136) e per illustrare la penitenza del lavoro (AMF, 29); nessun accenno al testo del terzo segreto.
Al tema dei 'sacrifici', che nel messaggio originario di Fatima sono richiesti dalla Madonna quasi esclusivamente per la conversione dei peccatori (AMF, 53), Lucia dedica una speciale piccola trattazione (AMF, 89-98), centrata sul fatto che debbono essere soprattutto "interni" (AMF, 75 e 87), dunque strumenti di elevazione morale spirituale; poi accenna allo "apostolato del sacrificio" per il bene degli altri (AMF, 135-142). Il senso e l'oggetto del sacrificio sono così illustrati: "conquistano il regno dei cieli coloro che sacrificano se stessi, si fanno violenza per vincere se stessi, per vincere le proprie cattive inclinazioni, le tentazioni del mondo, del demonio e della carne, per seguire rettamente la via della giustizia, della verità e della carità" (AMF, 68).
Nelle Memorie, Lucia parlava di alcuni tipi di sacrificio praticati dai pastorelli: dare il proprio cibo ai poveri (MI, 25; MI, 33), mangiare il cibo necessario quando non se ne ha voglia (MII, 73), non piangere nella tristezza (MI, 29); sopportare la curiosità altrui (MI, 31; MII, 68) e le compagnie sgradite (MI, 32). Ora, pur senza citare esplicitamente se stessa o i cugini come esempio, Lucia elogia gli sforzi virtuosi dell'offrire a Dio "di tutto ciò che possiamo, un sacrificio" e di fare "rinuncia a tutto quanto ci può portare al peccato" (AMF, 90), di usare "moderazione [nel] servirci della tavola della creazione" (AMF, 92), nel non cercare le ricchezze ed il superfluo (AMF, 93-94). Predica inoltre la "rinuncia a noi stessi" (AMF, 97): pregare con fede e attenzione, sacrificando un poco del nostro tempo; rinunciare a qualche piacere nell'alimentazione; vestire con decenza e modestia, sopportando i disagi dell'abbigliamento; sopportare le piccole contrarietà quotidiane.
Nelle Memorie, ed è cosa della massima importanza, Lucia esaltava soprattutto i sacrifici 'esterni', le sofferenze fisiche volontariamente inflittesi dai pastorelli: mangiare volutamente le ghiande di quercia (MI, 25), patire la sete (MI, 26; MII, 68), legare una corda ai fianchi e urticarsi le gambe (MII, 59), bere dell'acqua sporca (MII, 68), rinunciare ai mezzi per evitare le sofferenze nella malattia (MII, 73). Ora invece questo argomento riappare solo marginalmente (AMF, 97-98), come se fosse stato superato dallo spirito del tempo odierno (che palesemente contraddice quello di Fatima), e senza che si faccia il minimo riferimento al fatto che i pastorelli li compivano abbondantemente, e con l'evidente approvazione dalla Madonna.
In realtà, ancora decenni dopo le apparizioni di Fatima, la manualistica per i religiosi esaltava innanzitutto i sacrifici 'esterni', facendone una premessa a quelli 'interni': "Chi non sa mortificare i suoi sensi esterni e castigare le sue membra con la penitenza non riuscirà mai a praticare a dovere la necessaria mortificazione interna e a custodire quelle virtù che devono incessantemente adornare l'anima religiosa. Perché i Santi usavano la disciplina ed il cilicio, non si concedevano che un riposo molto scarso, praticavano rigorosi digiuni e si estenuavano nella fatica? Forse per una morbosa mania di sofferenze? No certamente! La ragione è questa: essi sapevano che il corpo ed i suoi immondi desideri se non sono sempre rintuzzati, severamente dominati e tenuti in ischiavitù, si ribellano ed animalizzano l'anima, e perciò davano anche alle pratiche della mortificazione esterna grande importanza". E tale era per l'appunto l'idea del sacrificio all'epoca delle apparizioni. Ma dopo così tanti decenni, Lucia (o chi per lei) sente l'inattualità della prima Fatima e nell'intento di rivitalizzarla ne ridefinisce il profilo, introducendo una discontinuità, una decisa contraddizione con lo spirito originario.
A parte la citazione di parte dei dialoghi durante le apparizioni dell'Angelo e durante la prima apparizione della Madonna, Lucia non fa quasi nessun accenno agli altri dialoghi e sorvola pienamente sui fatti salienti della terza e della sesta apparizione (le visioni, i segreti, i fenomeni solari). Come se una tardiva pruderie o i consigli del suo entourage l'avessero guidata a rimuovere questi temi 'medievali'; come se la nuova Fatima, ristrutturata sulla traccia degli ultimi documenti papali, ne avesse imbarazzo.
Se esaminiamo nei particolari questo ultimo scritto di Lucia, per quello che è, indipendentemente da Fatima, è facilmente rilevabile come, laddove abbandona il facile esercizio di collazione dalla Bibbia, Lucia mostra evidenti limiti concettuali. Tanto per fare un esempio, le era stato chiesto per quale motivo la Madonna avesse ordinato di recitare il Rosario tutti i giorni e non di andare tutti i giorni a Messa. Lucia confessa di non avere una risposta certa, che non ha chiesto nulla in proposito alla Madonna, e che la Madonna non ne ha comunque parlato; però vuole riferire su quello che le sembra di sapere in proposito, lasciando alla Chiesa (bontà sua!) la libertà di interpretare autenticamente il messaggio. Secondo lei, la Madonna, obbligandoci ad andare a Messa tutti i giorni, ci avrebbe posto di fronte a delle difficoltà pratiche, derivanti dalla disponibilità di tempo, dallo stato di salute, dalla distanza dalle chiese, etc; problemi che non si pongono invece con il Rosario, che tutti possono recitare in qualunque tempo, luogo, occasione, perfino durante altre occupazioni (AMF, 122). Ma, così dicendo, Lucia contraddice tutta una secolare tradizione (l'obbligo del riposo domenicale, della frequenza ai riti ed ai sacramenti etc..) ed il principio della centralità del sacrificio eucaristico (che è il vero compendio della dogmatica) nella vita cristiana, preferendogli una pratica di più basso profilo; e contraddice nelle intenzioni anche il pressante appello al sacrificio di cui è portatrice il messaggio di Fatima.
Vorrei ancora segnalare come qualche affermazione di Lucia appaia addirittura involontariamente umoristica: "dopo il peccato Adamo ed Eva hanno cercato di coprirsi con le figlie di fico; ma Dio non ha giudicato sufficiente questo vestito" (AMF, 27); qualche altra sembra un tantino stonata, pur se in accordo con certa teologia: "Quando il corpo viene ridotto all'impossibilità assoluta di cooperare con l'azione dell'anima, questa lo abbandona e vola verso il suo centro di attrazione che è Dio" (AMF, 130); qualche altra è autodimostrativa: "Non abbiamo difficoltà a credere che nei tempi passati siano esistiti questi o quegli uomini celebri, perché la storia li cita. Ma cita anche l'esistenza di Dio, i suoi fatti, le sue opere. Allora perché non crederci?" (AMF, 211); qualche altra quasi priva di senso compiuto: "Dio ha creato tutto ciò che esiste in modo che si conservi grazie alla ripetizione continua e ininterrotta degli stessi atti" (AMF, 274).
Torniamo adesso agli apprezzamenti, del tutto infondati, con cui il volume viene presentato nelle prime pagine (AMF, 7-11). Esso non è innanzitutto una "sintesi matura ed ampia dell'annunzio ricevuto dalla Madre del Signore"; non lo è perché omette ampie parti dello stesso messaggio, soprattutto quelle che più hanno interessato (ed atterrito) i credenti, ed irritato gli scettici; non lo è perché Lucia non sembra affatto maturata rispetto a qualche decennio prima, ma solo un tantino più acculturata sulla Bibbia. Non abbiamo, per gli stessi motivi, alcuna "autorevole illustrazione del messaggio di Fatima nel suo complesso"; troppi sono gli argomenti scomodi omessi, dalla lotta al comunismo ateo, alle incongruenze storiche, ai plagi di altre aparizioni e di tematiche del costume locale, agli errori nelle profezie, alla tardiva rivelazione dei segreti, alla diatriba sulla validità della Consacrazione al Cuore Immacolato, e così via. Non ci troviamo di fronte ad un "piccolo Catechismo della vita cristiana secondo Fatima", perché agli elementi propri di Fatima sono stati sovrapposti i temi tradizionali della predicazione popolare. Lucia non dimostra alcun particolare "buon senso", se non quello comune (con tutti i suoi pregi e i suoi limiti) a tante suore. Non traspare alcuna "saggezza da contemplativa", perché nessuna parte del commento si avvicina alla ascesi o al misticismo (potremmo parlare al massimo, se ve ne fosse, di 'bravura compilativa') e non viene fatto alcun accenno al complesso delle sue ulteriori visioni ed esperienze 'soprannaturali'. Lucia non ha affatto "la concretezza della donna attenta alle vicissitudini del nostro mondo e della nostra storia", perché vive ed ha sempre vissuto assolutamente fuori dal tempo, e la sua idea della storia è una lontana e quasi impersonale partecipazione a fatti che non conosce o non comprende.
Ciò che sembra premere a Lucia, sia pure esprimendosi oramai debolmente, è invece, ancora una volta, la perorazione sul suo ruolo centrale nell'interpretazione del messaggio di Fatima. Per questo, probabilmente, tiene a sottolineare, preventivamente, come solo 'da grande' abbia potuto "comprenderlo" (e dunque ce lo può finalmente spiegare!), dopo avere letto le sacre scritture (AMF, 43); non sembra rendersi conto affatto, purtroppo, che da grande ha semplicemente trovato la conferma, 'leggendo', di quello che aveva imparato da bambina, 'ascoltando'.

 

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