Dogmi, magia, superstizione

Il dogma
Dogma, secondo una costante tradizione cattolica, è ogni verità “rivelata” da Dio, e proposta dalla Chiesa, che richiede un assenso di fede, anzi, secondo San Paolo, una sottomissione dell’intelletto, giacché la cognizione di Dio attinta dalla fede sarebbe più compiuta di quella ottenuta tramite la natura. Il dogma ha in sé il carattere stesso di Dio, da cui proviene; è efficace anche per la sua prospettiva di premio o di sanzione eterna; ed è immutabile, anche se la sua comprensione può accrescersi nel tempo. Fonte dei dogmi sono innanzitutto le sacre scritture (per il loro valore divino, non per quello storico) e poi la tradizione, cioè la trasmissione, per vie diverse dalle sacre scritture, di altre verità da essa derivate. Credere ai dogmi, per atto di fede, è dunque credere a “verità che non si vedono”, sulla sola base dell’altrui testimonianza, e per un assenso basato anche sulla presunta “ragionevolezza” del dogma stesso.
Le fondamentali asserzioni dogmatiche furono riassunte nel cosiddetto Credo Niceno-Costantiniano (325-381 DC), ed ogni buon credente è obbligato a ritenerle vere, anche contro qualunque diversa evidenza; come nel caso dell’evoluzionismo, teoria assolutamente contraria alla spiegazione biblica, secondo la quale non solo l’uomo venne creato direttamente da Dio, ma lo fù già nella forma fisica e mentale attuale; o in quello dell’infallibilità papale, per difendere la quale i teologi hanno dovuto affrontare veri e propri (tragicomici) contorsionismi mentali, cercando di differenziare le occasioni nelle quali il papa sarebbe realmente infallibile da quelle in cui invece non lo sarebbe.
L’elenco dei dogmi è piuttosto corposo, in quanto, come da definizione, comprende non solo quelli sanciti dai papi (ad esempio: l’infallibilità papale, l’assunzione di Maria, l’immacolata concezione) ma tutte le proposizioni chiave della Bibbia (creazione del mondo, trasmissione della colpa originale, realtà del peccato, esistenza degli angeli, immortalità dell’anima, incarnazione del Salvatore, giudizio universale, ecc.).

La superstizione
Il termine superstizione, strettamente connesso alla dimensione magico-religiosa, appare etimologicamente ambiguo, quanto lo è pure la sua applicazione concettuale, in particolare nell’uso che ne fa la teologia.
Oggettivamente, secondo i casi, ci si riferisce a tutto ciò che va oltre (super-) la religione stessa, oppure ad un comportamento che sopravvive nell’uso in quanto non ancora superato (superstes) dalla religione stessa, oppure ad una forma soggettiva religiosa legata ad esperienze sovrannaturali. Soggettivamente, il punto di vista superstizioso è caratterizzato da una assoluta fiducia nella potenza sovrannaturale di oggetti, gesti, formule, rituali.
Secondo l’etologia, il comportamento superstizioso consegue ad un errore o ad un uso improprio di valutazioni logiche, proprie del singolo ovvero trasmesse culturalmente. A piccole dosi, può far parte di ciascuno di noi, ed è un aspetto quasi fisiologico della mente infantile, facente parte di quel cosiddetto “irrazionale necessario” senza il quale non sarebbe possibile affrontare certi passaggi della vita.
In pratica, secondo l’odierno approccio naturalista e razionalista, il modo di pensare e di agire superstizioso è solo uno dei tenti aspetti del nostro pensiero, più intenso in individui particolari, o in situazioni particolari, allorquando falliscono o languono altre modalità di pensiero; in tal senso la superstizione avrebbe un significato in qualche modo adattativo.
Tutto cambia però se dalla sfera operativa si passa sul piano ideologico-dottrinale e, assai più pericolosamente, su quello etico-morale. In tal caso, non viene fatto più riferimento ad un rapporto con l’esperienza, ma a quello con presunte verità di ordine più generale: superstizione è allora (per i credenti) qualunque pratica, credenza, rituale che non abbia alcun fondamento religioso (di quella religione considerata “vera”), di fatto, tutto il “diverso” in quanto appartenente solo al mondo degli altri.

Questo spostamento da un piano oggettivo-esperienziale ad un piano soggettivo-culturale connota tutto il carattere delle superstizioni a carattere religioso, connesse alla disponibilità dei singoli (ma anche e soprattutto all’obbligo loro richiesto) a credere per “fede”. Di fatto, elaborare ed imporre un dogma è proprio il migliore sistema per generare un comportamento superstizioso, oltre che per zittire d’autorità ogni discussione su qualsivoglia argomento chiave.

Per comprendere il punto di vista confessionale occorre anche riflettere sul significato che ha per i credenti il mondo soprannaturale, inteso come coesistente al mondo materiale ordinariamente percepito, e con esso interagente. Nel soprannaturale sono ipotizzati fatti, azioni, effetti diversi e ben più ampi di quelli del mondo materiale; i rapporti di causa-effetto sono qualitativamente diversi e vengono introdotte intenzionalità non presenti nell’ordine casualistico del mondo materiale. In tal senso, tutto ciò che appartiene a questo mondo di credenze viene elevato al rango di verità, di vera realtà e dunque le relazioni (presunte) fra “soprannaturale” e “naturale” vengono escluse per definizione dal giudizio di “superstiziosità”, creando un doppio metro di valutazione. Al tempo stesso tutto ciò che appare non integrato a questo presunto ordine delle cose (in pratica, il soprannaturale delle altre religioni) resta bollato come “autentica” superstizione.

L’esempio del battesimo
Due dogmi e le loro conseguenze applicative manifestano al meglio l’intimo legame fra credenze e comportamento superstizioso: la cancellazione del peccato originale col battesimo e la presenza reale, dunque col corpo, di Gesù Cristo nel pane e nel vino durante la comunione. Il primo caso è forse più lineare nella sua genesi storica.
Come nella maggior parte dei riti comuni a tutti i popoli della terra, in ogni tempo, i sacramenti della Chiesa cattolica constano di due elementi fondamentali: quello materiale (ad esempio l’ostia, l’acqua, l’olio) e quello formale, ovvero le parole che accompagnano gli atti materiali e danno a questi significato ed effetto.
Nel caso del battesimo, l’elemento materiale è l’acqua. I Giudei praticavano sin da secoli prima di Gesù Cristo una abluzione totale rituale cui attribuivano sia un valore igienico che un significato religioso, come simbolo di purificazione. Il battesimo così concepito serviva anche a solennizzare l’ingresso dei pagani nella comunità giudea, e quindi sottolineava l’altro simbolo, di conversione o iniziatico. Il significato intimo del battesimo diveniva così la celebrazione della morte del vecchio uomo e della nascita del nuovo. Tale rinascita necessitava ovviamente di un consenso da parte dell’interessato, e per tale motivo solo gli adulti potevano esservi ammessi.
In tutte le testimonianze bibliche, la cerimonia prevedeva l’immersione totale del battezzando nell’acqua, equivalente ad un seppellimento, seguita dalla emersione, equivalente ad d una rinascita. Riti similari erano presenti in altri antichi culti, uno dei quali palesemente legato alla genesi del cristianesimo, quello di Attis. Anche nel culto di Attis i novizi venivano sottoposti ad un rituale di seppellimento e successiva rigenerazione, che comprendeva delle lamentazioni, un pasto sacramentale, un digiuno, il seppellimento in una fossa in terra ed infine il disseppellimento. Il concetto di seppellimento passò nel cristianesimo, come dimostra l’etimologia stessa della parola battesimo, che in greco vuol dire “inabissare”, “annegare”, ma anche “tuffare nell’acqua per poi ritirare fuori”. Ma nella tradizione cattolica, questo uso esclusivo del battesimo, quale rito di introduzione degli adulti nella comunità dei fedeli, durò pochi secoli. Due fatti contraddistinguono il passaggio dalla forma antica a quella moderna del battesimo:  la sostituzione (forse intorno al XII-XII secolo) della immersione con l’aspersione, cioè il contatto dell’acqua solo con una ristretta parte del corpo, e la sostituzione del significato originale iniziatico con quello attuale di purificazione dal peccato originale. A ciò si aggiunse l’uso del battesimo già sui bambini, fin dalla più tenera età. Il tale modo, l’originario concetto spiritualistico cristiano del simbolo veniva trasformato in concetto formalistico pagano di mezzo di salvezza. Da qui il palese raccordo fra il dogma del peccato originale e le regole superstiziose del rito, abbassato ad atto magico e senza più alcuna connessione con il senso evangelico.
Quale distanze si sia accumulata fra l’atto simbolico originario e la forma successiva è testimoniata da ciascuno dei tanti elementi, nozioni, prescrizioni che hanno per secoli regolato la cerimonia.
L’originaria immersione nell’acqua di fiume venne dapprima sostituita da quella nelle vasche dei battisteri, poi, con la diffusione dell’aspersione, si formalizzò la disciplina dei fonti battesimali. In esso tutto viene regolato: l’acqua utilizzata, materia “remota” del sacramento, può essere solo quella “lecita”, cioè naturale, minerale, marina, sciolta da ghiaccio, e non si può battezzare con altri liquidi come vino o latte, acqua distillata da piante, saliva, brodo. L’abluzione, materia “prossima” del battesimo, è oggetto di una minuziosissima quanto pedante e spesso contraddittoria casistica: da una parte ad esempio si sostiene che non è possibile battezzare un bambino non nato, cioè non ancora uscito dal grembo della madre (perché così sta scritto nel Vangelo di Giovanni), dall’altra è però possibile battezzare un bambino non ancora del tutto espulso, se vi è per lui pericolo di vita; in certi casi, si sosteneva in passato, è possibile battezzare in utero, praticata una opportuna incisione, se la madre muore e non si è sicuri della morte del feto. Le discussioni teologiche hanno affrontato per secoli le questioni più assurde, ad esempio se le abluzioni debbano essere tre, in relazione al mistero della Trinità; se sia valido il battesimo quando l’acqua non raggiunge direttamente il feto ma si limita a toccare il sacco amniotico; se basti il contatto con una goccia d’acqua o ne occorra un fiotto; se l’acqua può solamente poggiare sulla cute o debba scorrervi per un certo tratto; se tutte le parti del corpo (ad esempio i capelli) siano valide per l’aspersione. L’insieme di credenze connesse al battesimo spiega fra l’altro, ricordiamolo per inciso, lo straordinario interesse mostrato dalla Chiesa riguardi ai problemi dell’embriologia e della determinazione del momento della nascita, in quanto istante in cui l’anima non solo viene congiunta al corpo, ma viene impregnata dalla macchia del peccato originale.
Se le prescrizioni in ordine alla materia sono palesemente di tipo magico-superstizioso, ancor più lo sono quelle relative alla forma, cioè all’aspetto parlato-rituale del sacramento. La formula latina originaria “Ego te baptizo in nomine Patris, et Filii, et Spiritus sancti”, non fu sempre ed ovunque adoperata, e sulle sue tante varianti si è istruita una ulteriore poderosa casistica, che sentenzia, secondo il gusto dei tempi, la validità o meno del rituale. Dire “Gesù Cristo” anziché “Figlio”, usare il termine “lavare” anziché “battezzare”, non esclamare “amen”, tralasciare la congiunzione “e” sono elementi fortemente ostativi della validità del sacramento, la cui ripetizione viene generalmente consigliata, nei casi dubbi, secondo la formula “se non sia già battezzato”, essendo assolutamente vietato battezzare due volte la stessa persona.
Al di fuori dei casi di pericolo imminente di morte, nel qual caso chiunque (anche donna o infedele) può in teoria dare il battesimo, le prescrizioni sull’officiante del rito sono quanto mai severe: chi, quando e dove si può dare il battesimo viene strettamente definito all’interno delle gerarchie della Chiesa.
Ma l’aspetto più grave di questo sacramento, se già non bastassero tutti gli elementi magico-superstiziosi connessi al rituale, è quello legato alla paura generata nella comunità sui pericoli a cui andrebbe incontro il bambino nel caso non fosse battezzato. Il battesimo deve avvenire entro i primi giorni di vita, e pecca gravemente chi lo dilaziona di qualche settimana senza che ve ne sia una grave ragione. Tale atteggiamento della dottrina cattolica rimarca fortemente il significato “emendatorio” dal peccato originale, assolutamente assente nei Vangeli e nella Chiesa dei primi secoli.
Non ultimo, giacchè anche la magia ha i suoi aspetti servili, per secoli si è disquisito perfino se e come il battesimo dei nobili e dei principi dovesse seguire le regole di quello del popolo, se cioè esso potesse celebrarsi in luogo privato e non in luogo pubblico e così via.
Scorrendo le pagine dei più importanti teologi, scopriamo mille altri dilemmi che hanno tormentato per secoli gli uomini di Chiesa: se sia valido il battesimo amministrato da più celebranti, quando ciascuno di essi svolga una sola parte del rito; se sia o no valido il battesimo dei pazzi; se si possano battezzare gli adulti dei quali si abbia il dubbio se lo siano già stati; se si possa usare, in mancanza del nuovo, l’olio dell’anno precedente; se si possa battezzare senza padrini; se i padrini possano essere un numero diverso da due e se debbano necessariamente essere di sesso diverso. Fino a giungere a questioni financo raccapriccianti, come discutere della possibilità che il bambino venga deliberatamente fatto morire nell’atto del battesimo (ad esempio gettandolo ritualmente in una cisterna) per assicurargli una sicura salvezza eterna.

La Chiesa dei dogmi
Come ho cercato di sottolineare, trattando del battesimo, elementi magico-superstizioni sono presenti, sia nella materia che nella forma, nelle altre istituzioni sacramentali della Chiesa cattolica, in particolare la Comunione e l’Estrema Unzione.
Agli occhi del non credente, tale assunto è di per se evidente e manifesta ancora una volta, se si vuole guardare il processo storico nel suo insieme, una contraffazione dello spirito evangelico, che parlava essenzialmente al cuore delle persone, lasciandole sostanzialmente libere negli atti esteriori, e non prescriveva alcunché di rigoroso. Probabilmente questa trasformazione risente soprattutto di due determinanti: la strutturazione della Chiesa, che necessitò di una rigida regolamentazione dei rituali, e il predominio dei paradigmi medioevali, dell’epoca cioè in cui sostanzialmente nacque la Chiesa attuale.
Altro problema è determinare come e quanto sia il dogma in se a indurre e giustificare le molte pratiche superstiziose. Di certo, il dogma si presenta ai nostri occhi disincantati come una vera e propria prigione mentale, tanto quanto la sua accettazione appare al credente l’espressione di una libera conquista.

Francesco D’Alpa

Pubblicato su: "L'Ateo" n. 33 (4/2004)