I dieci comandamenti ed i valori di una Europa scristianizzata.

In tempi di aspra diatriba sulla presunta identità cristiana dell'Europa, la RAI, schierandosi palesemente, ha messo tempestivamente in onda un programma, dal titolo "I Dieci comandamenti. Il coraggio di amare", ispirato e firmato da esponenti del cattolicesimo. Sui giornali l'iniziativa, che sa piuttosto di propaganda a senso unico, è stata presentata come coraggiosa e provocatoria, con implicito riferimento alla polemica corrente sui nostri debiti etici e morali al cristianesimo. Ne fa fede Enzo Biagi che parla di "scelta di esplorare l'etica contemporanea alla luce delle tavole, che sono sempre di grande attualità e rimangono insuperate sia per i laici che per gli uomini di fede".[1]
Al di la della qualità del programma, su cui non entro, questo giudizio mi sembra superficiale, e solo apparentemente fondato su dati che invero si prestano a ben altre lettura.
Tralasciando gli elementi di contorno codificati da Mosè (o dal presunto Mosè; o da questi redatti sotto dettatura divina), e cioè le assurde e quanto mai "datate" prescrizioni cerimoniali, tipiche del tempo ed assai poco "divine", i dieci comandamenti sono l'asse portante di una legislazione insieme sociale e religiosa adottata da un piccolo popolo e supposta come derivante direttamente da Dio stesso (dunque, formalmnte non interpretabile né fraintendibile). Palesemente, non sono orientati a guidare tutti i popoli per tutti i tempi, ma solo quello ebraico in un preciso momento storico. L'elencazione degli articoli è palesemente in ordine di importanza. I primi tre sono più specificamente teologici e riguardano i rapporti con il Dio unico ebraico (Non avrai altro Dio fuori che me; Non nominare il nome di Dio invano; Ricordati di santificare le feste). Il quarto riguarda i rapporti familiari nell'ottica di una società patriarcale in cui i genitori vengono onorati come i più prossimi nella scala gerarchica che porta a Dio (Onora il padre e la madre). Tre comandamenti riguardano le relazioni più propriamente civili (Non ammazzare; Non dire falsa testimonianza; Non rubare) e ciò indubbiamente al di là del semplice significato di peccato che ad essi è stato collegato. Gli ultimi tre articoli fanno riferimento alla sfera strettamente personale dei desideri e delle pulsioni (Non fornicare; Non desiderare la donna d'altri; Non desiderare la roba d'altri). Il punto su cui vorrei riflettere è allora questo: così come enunciati, questi dieci comandamenti parlano davvero all'uomo moderno e ne dimostrano la sua radice cristiana? Ovvero, cambiando i termini e la formulazione: è stata realmente la tradizione cristiana a generare i valori in cui crede il cittadino di oggi e questi valori sono visti in un'ottica prettamente cristiana?
Il migliore modo per rispondere a questi interrogativi è fare delle domande ai diretti interessati, cosa a cui ha provveduto a più riprese un importante gruppo di studio, internazionale, l'European Values System Study Group (EVVSG) che in tre distinte fasi, alla fine degli ani settanta, agli inizi dei novanta  ed al passaggio del millennio ha condotto una approfondita ed estesa analisi (lo Studio dei Valori Europei, EVS) sui valori morali e sociali degli europei, allargando in un secondo tempo l'indagine ad altre aree geografiche del mondo, quali le Americhe e l'Australia.
Obiettivo fondamentale dell'inchiesta era rispondere alle seguenti domande: Gli europei possiedono valori in comune? Questi valori sono in fase di cambiamento e, se si, in che direzione? I valori cristiani continuano a permeare la vita e la cultura europee? Esiste un coerente sistema di riferimento che possa sostituire il cristianesimo? Quali sono le implicazioni per l'Europa unita?
Il raffronto fra le tre successive indagini ha confermato l'esistenza di profondi cambiamenti nella cultura degli europei, in particolare circa i principali valori di riferimento e evidenziato quanto essi vadano divergendo sempre più da quelli tradizionali cattolici, se non altro nelle priorità..
L'ultima inchiesta del 1999/2000 fa luce anche sul posto che occupano nella coscienza dell'europeo attuale i valori richiamati dai Dieci Comandamenti.
Per l'esattezza, le percentuali di adesione ai precetti del Decalogo sono attualmente le seguenti: Non uccidere, 98%, Non rubare 94%, Onora il padre e la madre 93%, Non dire falsa testimonianza 89%, Non desiderare la roba d'altri 75%, Non avrai altro Dio al di fuori di me 72%, Non nominare il nome di Dio invano 68%, Non desiderare la donna d'altri 66%, Non commettere atti impuri 65%, Ricordati di santificare le feste 54%.
Con riferimento alla suddivisione prima riportata, i primi quattro precetti sono proprio quelli che riguardano la vita sociale e che ogni società, sia prima che dopo il Cristianesimo ha in linea di massima imposto ai suoi aderenti; nulla in sostanza che richiami elementi peculiari della cristianità.
Non colpisce affatto la posizione di coda del comandamento che impone di santificare le feste, obbligo dal quale una grande fetta degli europei, credenti inclusi, si astiene sistematicamente, essendo oramai la chiesa per essi solo il luogo di quasi pagana celebrazione di matrimoni, battesimi, prime comunioni e funerali, in cui abiti, foto e videocamere sono materia sacramentale più importante di acqua ed olio santi.
Fra i comandamenti che riguardano la sfera morale individuale, il meno considerato è quel "non commettere atti impuri" che ha sempre spadroneggiato nei trattati di morale cristiana, ma che oggi è valutato assai meno dei cristianamente meno gravi "non desiderare la roba d'altri" e "non desiderare la donna d'altri". Più o meno le stesse percentuali di adesione a questi tre comandamenti hanno quelli che riguardano direttamente il rapporto con la divinità. Evidentemente, sembra potersi dedurre da questo sondaggio, sfera personale e sfera soprannaturale godono di una valutazione sostanzialmente simile, e ciò non ci sorprende affatto se pensiamo che, nel sentire moderno, essi riflettono un presupposto comune, che non è il Dio oggettivo, ma la percezione di un confuso soprannaturale personale.
Una considerazione si potrebbe forse fare; che, alla luce di questa inchiesta dell'EVVSG i valori fondamentali su cui si regge la società non sembrano affatto tramontati, nonostante la caduta a ruota libera della percentuale di adesione alla religione cristiana e a dispetto della limitata adesione dei credenti alle pratiche formali del culto.
In un intenso e lucido saggio, circa 70 anni orsono, Julien Huxley, nell'esporre le sue speranze circa il raggiungimento di un nuovo e prettamente laico "Umanesimo scientifico", (preconizzato come protesta contro il soprannaturalismo) si domandava che cosa ne sarebbe stato dei "valori" in una società sovrabbondante di agi e finalmente liberata dalle necessità biologiche della sopravvivenza dell'individuo e della specie (malattie e  povertà, innanzitutto).[2] La sua preoccupazione era di quella di garantire in qualche modo che parallelamente all'inevitabile crollo delle religioni (da lui invocato e predetto) come asse portante delle società umane, nascesse un nuovo sistema di valori ideali e sociali di riferimento. Che questo stia avvenendo o possa avvenire in futuro è forse presto per dirlo, ma, indubbiamente, è fin troppo chiaro, almeno, che i valori di riferimento attuali risultano definitivamente svincolati da ogni legame con la religione tradizionale, se non con la religiosità in se stessa.

[1  Enzo Biagi: Ripassiamo i dieci comandamenti, ci aiutano a vivere bene anche oggi. Oggi, 14 luglio 2004, p. 19
[2]  Julien Huxley: Ciò che oso pensare. Edizione Italiana: Hoepli. Milano, 1935, pp. 117-140.

Francesco D’Alpa

Pubblicato su: "L'Ateo" n. 36 (1/2005)