Atti impuri e apertura alla vita

La dottrina cristiana, definita "razionale" dai suoi teologi, stravolge in più punti, proprio in nome della logica,  i suoi stessi principi, per il pedante ossequio a tesi preconcette. In un precedente intervento (L'ateo, n. 22) mi ero soffermato sulla aberrante posizione, a tutt'oggi vergognosamente non risolta, della Chiesa Cattolica rispetto alla pena di morte, la cui sempre giustificata legittimità palesemente contrasta con il messaggio evangelico e con la pretesa "apertura umanitaria" di papa Giovanni Paolo II. La stessa sconcertante ambiguità si può evidenziare in altri contesti, piuttosto problematici per la chiesa, come quello della sessualità.
Mi perdoni il lettore la trattazione "a luci rosse", ma tant'è: se la teologia approfondisce tali temi non vedo che remore si possa avere a parlarne noi laici.
A chi ha la possibilità e la pazienza di leggere più di un trattato di morale sessuale cristiana, meglio se confrontandone più d’uno, scritti a distanza di decenni o secoli l'uno dall'altro, è ben chiaro come la posizione della chiesa di fronte alle singole pratiche sessuali sia variata considerevolmente nel tempo.
Al centro della "pastorale del matrimonio" (giacchè il sesso fuori del matrimonio sarebbe, per tradizione costante, "innaturale" e gravemente peccaminoso) sono sempre stati due principi: il primo, che non si deve mai fare uso del sesso per il piacere in se, essendo un minimo di appagamento concesso solo in quando utile al meccanismo dell'accoppiamento e dunque anch'esso connesso alla generazione; il secondo, che la sessualità deve essere sempre aperta alla vita, bene supremo da rispettare e perseguire.
Si sa bene come le conoscenze scientifiche sulla generazione siano fortermente cambiate nel corso  del tempo, e come solo da meno di un secolo se ne siano definitivamente chiariti i meccanismi. Ma la maggior parte delle persone forse ignora quanto la storia delle idee della chiesa sia stata condizionata in ogni tempo più dalle idee della scienza medica corrente che dai passi biblici, con buona pace di certi principi generali; tanto per fare un esempio, il diritto morale per la donna di provare piacere sessuale è stato avversato, tollerato, consigliato o addirittura quasi imposto secondo che la scienza medica pensasse che esso fosse necessario o meno al concepimento. Si tratta di un argomento molto vasto e che merita un approfondimento a sé. Vorrei qui invece accostarmi a qualcosa di più eclatante e sconcertante, al peccato dei peccati, quello che per la Santa Romana Chiesa (e per la Bibbia) rende l'uomo bestia e grida vendetta al cospetto di Dio. Dante pensò bene di collocare all'inferno il pur tanto da lui apprezzato Brunetto Latini proprio per questa sua predilezione e tutti noi siano logicamente portati a credere che la condanna della Chiesa per l'uso del cosiddetto "vaso improprio" per la ricezione del seme maschile non possa essere meno grave se questo appartenga ad un essere di sesso femminile. Ma così non è. Ne da prova un trattatello teologico di qualche decennio orsono, assai diffuso ed apprezzato ai suoi tempi, che riservava ampio spazio, come da consumata tradizione dei teologi morali, a considerazioni teologico-morali riguardo tutte le possibili pratiche sessuali.
Mi si perdoni la citazione nel latino originario, che lascio a maggiore chiarezza (ed a protezione del lettore più sensibile). Scrive dunque il nostro autore, sotto il pieno imprimatur (ed i complimenti per l'opera tutta, tradotta in molte lingue e più volte ristampata) delle autorità religiose. "Sodomia imperfecta, id est concubitus mariti cum uxore in vase praepostero grave peccatum est sive vir in illo vase seminat, sive semen extra illud frustratur. Excluso affectu sodomitico, non est sodomia nec peccatum mortale si vir copulam incipit in vase praepostero cum animo consummandi copulam in vase naturali, aut si genitalibus tangit vas praeposterum sine periculo pollutionis. Positiva cooperatio uxoris ad congressum sodomiticum numquam licita est; ideo saltem interne semper resistere debet. Externe tamen potest pati concubitum, si eum impedire connatur et tunc solum permittit, quando absque periculo gravissimi mali eum impedire non potest; consensum vero in delectationem veneream est illicitus". [1]
Per meglio inquadrare quanto sopra è bene ricordare che secondo il canone 1119 del Diritto canonico, la sodomia compiuta senza il consenso del coniuge è causa di scioglimento perpetuo della convivenza matrimoniale, essendo essa equiparata all'adulterio.[2] Nei fatti la morale cattolica ha sempre definito cattivo un atto, se l'oggetto è cattivo, anche se il fine è buono (per esempio: non è lecito rubare per fare elemosina); in qualche caso il fine può valere semmai da attenuante. Un'azione cattiva per il suo oggetto non diventa buona se si mira ad un fine buono; ovvero, il fine non giustifica i mezzi: "Non si deve fare il male affinchè ne venga il bene". [3]
Dall'articolo citato, che trova piena conferma in altre opere "teologico-morali", emerge un quadro sconcertante. Per dirla in breve: l'atto, sempre definito esecrando e contro natura (e come tale, in certi contesti storici, punibile perfino con la pena di morte) viene riabilitato se inteso come utile preparazione ad un naturale prosieguo culminante nel possibile ingravidamento; e sembra non avere alcuna importanza (ai fini del giudizio morale) che l'uomo vi provi o no piacere. Questo ultimo particolare è invece importante da parte della donna, che in pratica può solo subire "non per piacere ma per dare un figlio a Dio". Non è difficile riconoscere una logica in tutto questo, il fatto che in fondo il piacere maschile (anche nella varietà delle pratiche), nonostante le esplicite affermazioni contrarie, viene di fatto sempre ammesso anche dalla Chiesa come parte insopprimibile dell'atto generativo; cosa che non si può attualmente sostenere biologicamente per il piacere femminile (come si era ritenuto in altri tempi, in cui si avevano idee praticamente opposte).
In pratica, per l'atto procreativo non sembrano valere valere le stesse considerazioni poi espresse da Papa Woityla riguardo l'atto contraccettivo: " La norma morale è tale da non ammettere eccezioni: nessuna circostanza personale o sociale ha mai potuto, può o potrà rendere in se stesso ordinato un tale atto. L'esistenza di norme particolari in ordine all'agire intra-mondano dell'uomo, dotate di una tale forza obbligante da escludere sempre e comunque la possibilità di eccezioni, è un insegnamento costante della Tradizione e del Magistero della Chiesa che non può essere messo in discussione dal teologo cattolico". [4]
Qualcuno obietterà: si tratta di cose di altri tempi, idee morali che la chiesa ha superato. Rispondo io: la Chiesa ha sempre affermato di possedere una morale unica in quanto divinamente ispirata e comandata, perfezionabile certo nel tempo, ma non al punto da contraddirsi così radicalmente nei suoi principi. Né tali contraddizioni sono cosa dei tempi passati, giacchè se ne trovano validi esempi in opere recenti sulla sessualità.
La verità che ci interessa è un'altra: che si parli di guerra giusta, di giusta esecuzione capitale, di obbligatoria "apertura alla vita", indebite razionalizzazioni stravolgono (se ritenute utili alla "causa di Dio") quelli che altrove vengono ritenuti capisaldi morali. La chiesa risulta, a chi ben legge i sui documenti, non una istituzione ispirata e sicura "maestra di vita", quanto piuttosto una associazione di uomini come altri (con i loro pregi e difetti), spesso abbastanza ignoranti delle cose della vita e del mondo reale, ma certamente più presuntuosi.

[1] Jone E., Compendio di teologia medica, Marietti, Torino, 1952, pag. 656
[2] id., pag. 662
[3] San Paolo, Lettera ai romani, 3, 8
[4] Giovanni Paolo II. Discorso del 12.11.1988

Francesco D’Alpa

Pubblicato su: "L'Ateo" n. 46 (5/2006)