Pio IX: illiberale, antirisorgimentale, antiunitario.

Il più stretto collaboratore del Papa ha assistito alla deposizione della corona di alloro del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e poi ha preso la parola per pronunciare un breve, ma intenso discorso, che alla fine si è sciolto in preghiera” [a]. Così, su Avvenire del 21 settembre 2010, un articolista del giornale dei vescovi italiani ha sintetizzato lo storico incontro a Porta Pia fra il presidente della Repubblica Italiana, erede della monarchia sabauda, ed il segretario di stato Vaticano, cardinale Tarcisio Bertone; durante il quale il nostro presidente aveva sottolineato con compiacimento la “mancanza di ombre nel rapporto fra laici e cattolici in Italia”. Con buona pace di Mazzini, di Garibaldi, della repubblica Romana, e di tutti coloro che hanno lottato perché non avvenisse più che il potere politico si prostrasse, in nome del popolo, ai piedi di un papa re; che restasse succube di una ideologia religiosa che è stata nel periodo risorgimentale soprattutto illiberale ed antimoderna.
Secondo un editoriale dello stesso numero di Avvenire, in questa occasione, “Dalle  due sponde del Tevere è riecheggiato ieri il giudizio concorde sull’unità d’Italia e sul ruolo indiscusso di Roma sua capitale”; la presenza ad una comune cerimonia (dal “significato simbolico forte e rassicurante” di Napolitano e Bertone, avrebbe testimoniato “un cammino storico lungo, a tratti sofferto” e dimostrato “la capacità dello Stato e della Chiesa di superare i conflitti, le divergenze anche forti, in una sintesi superiore di reciproco riconoscimento” [b]. Ancora, secondo l’editorialista, “Il conflitto c’è stato, è stato vero (e nobile), ma le due parti hanno sempre evitato che esso assumesse il carattere ultimativo che spesso nell’Ottocento era tipico dei conflitti nazionali”.
Per questo motivo, il Cardinale Bertone si è sentito in pieno diritto (evidentemente concordato con le massime autorità della Repubblica, di pregare così: “Noi contempliamo l’opera della Tua Provvidenza che si è dispiegata mirabilmente anche in questa Città e in questa terra d’Italia per ridonare concordia di intenti dove aveva prevalso il contrasto. […] Riecheggia nei nostri cuori l’invocazione del Beato Pontefice Pio IX: «Gran Dio, benedite l’Italia!» […]  questa Nazione e il mondo intero godano sempre della Tua protezione e del Tuo aiuto, affinché il corso della storia si realizzi in conformità ai Tuoi voleri, sotto la guida dello Spirito, fino alla pienezza dei tempi annunciata da Cristo Signore. Amen”.
Mai avremmo immaginato tale scempio della laicità, con un presidente a fungere quasi da chierichetto alla recita cardinalizia; ed ancor meno avremmo immaginato un tale oltraggio della storia (che, con buona pace dei clericali, ha avuto un corso ben diverso) e delle idee che l’hanno determinata.
Quando, infatti, nel febbraio 1848 aveva pronunciato (con tutt’altra intenzione) la citata frase “Gran Dio, benedite l’Italia!”, Pio IX aveva ancora per molti fama di papa liberale, e molti lo vedevano favorevolmente alla guida di uno stato nazionale unitario; ma ciò in realtà ripugnava al pontefice, che non a caso avrebbe poco dopo scritto: “al cospetto di tutte le genti, non possiamo non rigettare i subdoli consigli, manifestati anche per mezzo dei giornali e dei libelli, di coloro che vorrebbero il Romano Pontefice Presidente di una certa nuova Repubblica da farsi, tutti insieme, dai popoli d’Italia” (Allocuzione “Non semel”, 29 aprile 1848).
In quel 1848 la storia dei popoli europei aveva avuto una brusca impennata ed il papa si andava schierando sempre più con quella parte, ostile al liberalismo ed alla modernità, che inopinatamente (per lui) ne sarebbe uscita sconfitta; e poco può il revisionismo di taluni storici e politici a farne quasi un profeta o artefice del campo opposto.

Il liberale pentito
Pio IX, ultimo papa-re, di nefasta memoria per i patrioti italiani (quanto invece ‘santo’ e difensore della fede per i cattolici) è anche e soprattutto, nella coscienza laica, il primo e maggiore oppositore dell’idea di una ‘Repubblica italiana’ (peraltro non invisa a molti cattolici del suo tempo), il tenace assertore di un potere temporale che la Chiesa riteneva (e fa finta oggi di non ritenere) indispensabile per la sua sopravvivenza.
Uno dei primissimi atti del suo pontificato, che da speranze ai liberali, è un editto di amnistia (“Nei giorni”, 16 luglio 1846), per circa mille prigionieri politici ed un centinaio di esuli. Pio IX si professa pastore compassionevole che richiama all’ovile, graziandoli (in cambio di una sottoscrizione di piena sottomissione), “quei traviati figliuoli” rei di delitti “meramente politici” rispetto ai quali dichiara: “non potemmo difenderci da un sentimento di dolore pensando che non poche famiglie dei Nostri Sudditi erano tenute indietro dal partecipare alla gioia comune, perché nella privazione dei conforti domestici portavano gran parte della pena da alcuno dei loro meritata offendendo l’ordine della società e i sacri diritti del legittimo Pontefice”. Ma, da buon monarca, non risparmia un severo monito: Dove però le nostre speranze in qualche parte fallissero, quantunque con acerbo dolore dell’animo Nostro, Ci ricorderemo pur sempre che se la clemenza è l’attributo più soave della Sovranità, la giustizia ne è il primo dovere”. Ma la storia incombe; ed é subito “quarantotto”!
Che il tempo (politicamente parlando, e non solo) prometta brutto, il neopontefice lo sa bene, e non a caso nel suo programma di pontificato (“Qui pluribus”, 9 novembre 1846) vengono subito condannate la libertà di stampa, di coscienza e di pensiero ed esecrati gli ‘errori’ delle dottrine socialiste e comuniste emergenti. Il quadro dipinto dal pontefice è quanto mai fosco; ma le preoccupazioni dottrinali sembrano ancora prevalere su quelle strettamente politiche. Senza prestare alcuna attenzione agli ideali ed alle ragioni sociali che animano i rivoltosi, Pio IX condanna i suoi antagonisti essenzialmente come avversari (perché spinti da una ‘ragione fallace’) della religione e negatori del soprannaturale; ed in quanto tali, come nemici della Verità, della giustizia, dell’ordine e della concordia sociale.
Ecco allora, a margine della nuova “Costituzione apostolica sullo Statuto dello Stato Pontificio” (“Nelle istituzioni”, 14 marzo 1848), un nuovo e più severo “Ammonimento ai sudditi dello Stato Pontificio (“Romani e quanti “, 14 marzo 1848). Stavolta non basta richiamare la sua autorità di padre; la sorte stessa dello Stato Pontificio viene elevata a dramma cosmico, passibile di vendetta divina: “Roma è la Sede della Religione, ove sempre ebbero stanza i Ministri della medesima, che sotto diverse forme costituiscono quella mirabile varietà della quale è bella la Chiesa di Gesù Cristo. Noi v’invitiamo tutti e vi inculchiamo di rispettarla, e di non provocare giammai il terribile anatema di un Dio sdegnato, che fulminerebbe le sue sante vendette contro gli assalitori degli Unti suoi”. Con abile gioco dialettico, il pontefice inverte dunque addirittura le parti e si pone egli stesso a difesa del popolo ‘traviato’, corrotto più che corruttore: “Non vogliamo amareggiare il Nostro spirito e il cuore di tutti i buoni con la previsione delle risoluzioni che saremmo costretti a prendere per non soffrire lo spettacolo dei flagelli con i quali Iddio suole richiamare i popoli dagli errori”.

La svolta reazionaria
Con l’Allocuzione “Non semel” (29 aprile 1848) comincia la irreversibile marcia indietro del papa ‘liberale’, che, ritirando le sue truppe dal contesto della guerra piemontese-austriaca, separa la causa della Chiesa ‘universale’ da quella dell’indipendenza italiana, ritenendole inconciliabili, e nel timore di provocare scismi e la creazione di Chiese cattoliche nazionali, in particolare in Austria.
Fra il novembre 1848 ed il luglio 1849 si consuma la breve avventura della Repubblica Romana, con il papa esule a Gaeta. Per Pio IX è l’occasione di una completa ed irreversibile scelta di campo, non solo antirisorgimentale, ma di radicale chiusura al ‘nuovo’, in ogni campo.
L’ 1 gennaio 1849 (“Da questa pacifica”), scrive dal rifugio di Gaeta, “pacifica stazione, ove piacque alla Divina Provvidenza di condurci, onde potessimo liberamente manifestare i Nostri sentimenti ed i Nostri voleri”. Aveva confidato in una ampia condanna verbale ed in una protezione, da parte dei sovrani europei, “dalle frodi e dalle violenze di quella stessa schiera di forsennati, che ancora tiranneggia con un barbaro dispotismo Roma e lo Stato della Chiesa”. Ora protesta contro “la convocazione di una sedicente Assemblea Generale Nazionale dello Stato Romano […] per stabilire nuove forme politiche da darsi agli Stati Pontifici”. Invoca il rispetto della “autorità temporale del Romano Pontefice sui Domini di Santa Chiesa, […] irrefragabilmente stabilita sui più antichi e solidi diritti, venerata, riconosciuta e difesa da tutte le nazioni”, non assoggettabile a controversie né al “capriccio dei faziosi”.
La convocazione dell’Assemblea della nascente Repubblica Romana viene definita atto “abominevole per l’assurdità della sua origine, non meno che per la illegalità delle forme e per l’empietà del suo scopo”, “enorme e sacrilego attentato commesso in pregiudizio della nostra Indipendenza e Sovranità, meritevole dei castighi comminati dalle leggi sì divine come umane”. Impossibilitato ad una reazione militare, Pio IX ricorre sempre più e quasi grottescamente alla furia verbale, sicché evoca (rifacendosi ai decreti di Trento) “la Scomunica Maggiore da incorrersi, senza bisogno di alcuna dichiarazione, da chiunque ardisce rendersi colpevole di qualsivoglia attentato contro la temporale Sovranità dei Sommi Romani Pontefici [e da] tutti coloro che hanno dato opera all’atto suddetto, ed ai precedenti, diretti a danno della medesima sovranità, od in qualunque altro modo, e sotto mentito pretesto hanno perturbato, violato ed usurpato la Nostra autorità”.
Il momentaneamente perduto dominio temporale viene definito “sacro deposito del patrimonio della Sposa di Gesù Cristo” che va difeso con “la spada di giusta severità a tal uopo dataci dallo stesso Divino Giudice”. Quindi un atto di umiltà: “Ci dichiariamo pronti, coll’aiuto della potente Sua grazia, di sorbire sino alla feccia, per la difesa e la gloria della Cattolica Chiesa, il calice delle persecuzioni che Egli pel primo volle bere per la salute della medesima, non desisteremo dal supplicarlo e scongiurarlo, affinché voglia benignamente esaudire le fervide preghiere, che di giorno e di notte non cessiamo di innalzarGli per la conversione e la salvezza dei traviati”.
In tale contesto, la successiva Enciclica scritta ancora dall’esilio (“Ubi primum”, 2 febbraio 1849) sembra un’abile mossa propagandistica, di raccolta dei cattolici sotto uno stendardo dottrinale. Pio IX annuncia di avere chiesto ad eminenti personalità della Chiesa un parere teologico sulla vantata nascita ‘immune dal peccato originale’ di Maria, madre di Gesù. I fedeli credono in questa ‘verità’ da secoli, e non è mai mancata la richiesta di una definizione dogmatica. Quale momento migliore per accontentarli ed accrescere un offuscato consenso?

L’eletto della providenza
Nel 1850, protetto dalle truppe francesi, Pio IX rientra a Roma, ed in un certo senso ammorbidisce la sua posizione. Così, nel suo primo documento dopo il reinsediamento, l’Allocuzione “Si semper antea” (20 maggio 1850), ringrazia  Dio per quello che ritiene un sicuro intervento della Provvidenza, alleata del potere temporale del papato contro il “principe delle tenebre”. Roma, secondo il suo pensiero, è destinata irrevocabilmente al papato, perché scelta da Dio stesso come sede della “Verità cattolica”, e come tale gode della sua difesa. La difesa di Roma è difesa della religione stessa; i nemici dello stato pontificio sono innanzitutto nemici di Dio. La lotta contro di loro è innanzitutto un combattimento spirituale fra luce e tenebre, fra verità ed errore, fra virtù cattoliche ed empietà. Gli alleati del soglio di Pietro sono le pratiche cristiane,  la Vergine Maria, Dio stesso, prima che gli eserciti (stranieri!) chiamati al soccorso.
Particolarmente accorato è il richiamo al rinsavimento della gioventù, traviata dalle nuove ‘erronee’ idee, a motivo della sua inesperienza. Questa visione della storia è assolutamente manichea: da una parte l’essere cristiano; dall’altra le forze del male che corrompono gli spiriti, sotto l’apparenza di nuove idee ‘sociali’. In questo contesto, il Papa si autocelebra come pastore cui è affidato il mondo intero; che guida, assistito dal clero, le armate cristiane contro gli inganni e le frodi, nelle “battaglie del Signore opponendo un muro per la casa d’Israele”.
La seconda Enciclica dopo il ritorno a Roma (“Exultavit cor nostrum”, 21 novembre 1951) sottolinea il compiacimento papale per l’adesione popolare al recente Giubileo, ma, ancora una volta, ha un significato eminentemente politico. Dopo avere lamentato “le assidue e gravissime angustie dalle quali siamo oppressi in questa e così grande malvagità di tempi”, Pio IX si rallegra del ravvedimento dei molti che si sono purificati “dalle sozzure del peccato per mezzo del Sacramento della riconciliazione” e “da una condotta viziosa hanno intrapreso un salutare cammino di vita seguendo i sentieri della verità”. Il riferimento, si noti bene, non è ai peccati in genere, ma all’animo rivoluzionario, causa dei recenti disordini, al momento repressi almeno nei territori pontifici.
Pio IX ne fa sempre e comunque una questione d’ordine generale: una guerra contro l’ordinamento civile che fa guerra alla religione e viceversa. L’appello pressante alla preghiera ed all’affidamento alla protezione celeste (“alziamo i nostri occhi e le nostre supplici mani alla santissima e immacolata Madre di Dio”) preannuncia già il clima in cui si giungerà alla proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione. Il disprezzo degli ideali civili dei ‘rivoltosi’ preannuncia le condanne del “Sillabo”.
Le norme per “implorare la divina misericordia” onde lucrare le indulgenze del Giubileo sono esposte nella Enciclica “Ex allis nostris” (21 novembre 1851), che ha veste di documento pastorale, ma sostanza di proclama poliziesco, giacché la prima condizione richiesta ai penitenti è “che entro un mese, da stabilirsi da ognuno di voi e da calcolare a partire dal giorno che ognuno di voi avrà indicato, abbiano confessato i propri peccati umilmente e con sincero pentimento e, purificati dall’assoluzione sacramentale, abbiano ricevuto con venerazione il santissimo sacramento dell’Eucarestia”. Considerato il richiamo in premessa alle attuali “così grandi calamità della società cristiana e civile”, il papa non può che riferirsi ad una piena confessione di colpa per i reati politici e di opinione.
Passano meno di tre anni, e Pio IX torna sul tema della lotta alla Chiesa ed alla cristianità (“Inter multiplices”, 21 marzo 1853) : fra i tanti bersagli c’è ancora la stampa, rea di corrompere le intelligenze ed i costumi.
Nella successiva Enciclica “Apostolicae nostrae’” (1 agosto 1854) Pio IX lamenta i dissidi interni alle nazioni, le guerre e perfino i terremoti scatenati da un dio irato per gli accadimenti terreni (quasi un delirio di persecuzione di un papa incapace di guardare le realtà sociali). Ed ancora una volta esorta clero e fedeli alla preghiera, unica soluzione a questi mali in quanto mezzo capace “per beneficio singolare di Dio misericordioso […] di ottenere tutti i beni dei quali abbiamo bisogno e di allontanare i mali che temiamo”. Il pontefice si raccomanda ancora una volta a Dio perché redima quanti, principi o popolo, si sono allontanati dalla dottrina della Chiesa ed hanno abbracciato l’errore. I mezzi indicati per superare i flagelli sono i consueti: “suppliche, digiuni, elemosine ed altre opere di pietà”. E se questo non bastasse, ci si può rivolgere alla “Vergine, Madre amorevolissima di noi tutti”.
Ripristino dell’autorità e accresciuto prestigio sembrano al momento le maggiori preoccupazioni di Pio IX. In qualche modo tranquillizzato dalla situazione politica, o all’inverso angosciato per lo scollarsi della cristianità, il papa si appresta dunque a compiere l’atto più spettacolare compiuto in Vaticano da molti secoli in qua: la proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione, funzionale probabilmente, nel suo intento, a rinserrare le fila dei cattolici intorno ad una affermazione di fede.
Il nuovo dogma, preannunciato nell’Allocuzione “Inter graves” (1 dicembre 1854), viene poi definito nella Costituzione apostolica “Ineffabilis Deus” (8 dicembre 1854). Ma forse il papa non si illude e licenzia subito un nuovo documento politico, l’allocuzione “Singulari quadam” (9 dicembre 1854) nella quale il linguaggio appare forse meno aggressivo, ma non è meno decisa la protesta contro l’ignominia della miscredenza attribuita ai “membri delle società segrete”, che “adoperano ogni arte per turbare e rovesciare con la violazione di ogni diritto la Religione e lo Stato”. Ai cospiratori politici vengono assimilati nella condanna quei “reggitori delle cose pubbliche” che, pur dichiarando la loro fede cattolica, ardiscono sottomettere la Chiesa alle regole dello Stato.
L’allocuzione ‘Cum saepe’ (26 luglio 1855) è tutta un grido di dolore per la ‘persecuzione’ della Chiesa e per la soppressione dei suoi ‘diritti’ (“contro ogni legge umana e divina”) in Piemonte, Spagna e Svizzera. Ai persecutori attuali della Chiesa, e a quanti non intendono rispettare i suoi beni ed i privilegi della religione cattolica (anche se si dichiarano cattolici), Pio IX oppone “censure, sanzioni spirituali”. Particolarmente pressante è il richiamo alla Spagna affinché tuteli la religione cattolica come religione di Stato, unica e privilegiata dalle leggi civili.
La successiva Enciclica ‘Singulari quidem’ (17 marzo 1856), scritta non a caso subito dopo il Concordato con l’Austria ed indirizzata proprio all’episcopato austriaco, riprende il tema dell’insegnamento religioso e della lotta alla modernità avanzante. Pio IX si scaglia in particolare contro il razionalismo e l’indifferentismo; e riprende il tema del cristianesimo quale “unica verità” e dunque unica vera religione, da professare e da proteggere nelle leggi civili.
Il 16 dicembre 1857 un violento terremoto colpisce il Regno delle Due Sicilie. Addolorato, Pio IX si rivolge ai vescovi locali invitandoli innanzitutto ad implorare il Signore con atti di fede ed opere di virtù. Ma il tema centrale della Lettera Enciclica “Cum nuper” (20 gennaio 1858) è il dovere di inculcare nei seminaristi e nel popolo le verità del cristianesimo, proteggendoli dalle insidie delle sempre più diffuse e pericolose idee filosofiche, ritenute causa di rovina del vivere civile.
Nello Stato Pontificio, intanto, si intensificano le rivolte popolari: a Bologna, Ravenna e Perugia.
Il papa risponde con l’Allocuzione “Maximo animi” (26 settembre 1859) che riafferma la necessità dell’autonomia temporale della Chiesa e ribadisce la scomunica, le censure ecclesiastiche e le pene canoniche per i colpevoli. Ed ancora una volta indica nella preghiera il rimedio a tanti mali.
Sconfitto sul campo, con la Allocuzione“Iamdum cernimus” (18 marzo 1861) Pio IX condanna le pressioni alle quali è sottoposto, affinché ceda i territori occupati dalle truppe piemontesi; ma, più in generale, prosegue nella sua ostinata lotta contro la “odierna civiltà, per la cui opera succedono mali così grandi e non mai deplorati abbastanza, si promulgano tante orribili opinioni e tanti errori e falsi principii completamente opposti alla Religione cattolica e alla sua dottrina”.
La successiva Allocuzione “Maxima quidem” (9 giugno 1862), ma soprattutto la Lettera Enciclica ‘Quanto conficiamur’ (10 agosto 1863) condannano ancora una volta severamente gli errori del liberalismo, che contagiano anche il clero.
Dello stesso tono è la lettera apostolica ‘Tuas libenter’ (21 dicembre 1863) indirizzata al Nunzio di Baviera, in risposta ad una che informa il pontefice del Congresso teologico, organizzato da laici e tenuto a Monaco nel settembre del 1862, con a tema la discussione di alcuni problemi, aperti dalle teorie  del clero modernista, circa l’insegnamento delle materie teologiche e filosofiche. Pio IX si compiace degli esiti del Congresso, che ha difeso “la genuina dottrina della Chiesa cattolica” contro le “nefaste e pericolosissime opinioni e dagli attacchi di tanti avversari”, ma è preoccupato dal fatto che esso sia stato indetto senza il suo preventivo assenso (“l’invito a detto Congresso è stato fatto e diramato da persone private senza che in alcun modo vi entrassero l’iniziativa, l’autorità e la missione della gerarchia ecclesiastica, a cui unicamente spetta, per proprio e naturale diritto, vigilare e indirizzare l’insegnamento delle materie teologiche. Un fatto […]  assolutamente nuovo e fuori di ogni consuetudine nella Chiesa”).  A suo conforto, nel Congresso è stata comunque riaffermata la necessaria “obbedienza che tutti i cattolici di qualunque grado e di qualunque condizione debbono prestare all’autorità e al magistero della Chiesa”, mentre si é impedito che “si instaurasse a poco a poco un metodo di lavoro che toglie qualcosa ai diritti del potere ecclesiastico e di quell’autentico magistero che per divina istituzione spetta al Romano Pontefice e ai Vescovi uniti e concordi con il Successore di San Pietro”.
La vicenda contribuisce comunque a rafforzare l’allarme nelle gerarchie vaticane verso il dissenso che monta internamente alla Chiesa; e ciò spingerà Pio IX a promulgare il dogma dell’infallibilità papale.

Il fustigatore della modernità
Il 1864 è l’anno dell’attacco più aperto e violento alla modernità, preannunciato nella Enciclica “Maximae quidem” (18 agosto 1864) e concretizzato nel famigerato “Sillabo” (8 dicembre 1864), forse il documento più importante del pontificato di Pio IX, che in esso ribadisce imperiosamente la condanna di tutti i cosiddetti errori della modernità e del liberalismo: primi fra tutto la libertà di coscienza e di culto, la separazione Chiesa-Stato (intesa a discapito della Chiesa), e le dottrine socialista e comunista. Si rafforza la posizione dei cattolici più intransigenti, in tenace opposizione ai governi del Regno d’Italia.
Pio IX adesso cerca almeno di ricompattare, in funzione politica, i cattolici; e per questo dà vita al suo progetto più ambizioso: la convocazione di un Concilio Ecumenico (il primo dopo quello di Trento) che rafforzi la Chiesa Cattolica e lo riconosca come suo capo infallibile per privilegio divino. L’ Enciclica ‘Pastor aeternus’ (18 luglio 1870), che concretizza il desiderio papale, ha la sua ragion d’essere nell’accanimento delle “forze dell’inferno” contro la Chiesa.
Oltre che infallibile, Pio IX si crede uomo della provvidenza. Ma la storia non concede tregue. Le truppe piemontesi occupano Roma e violano il Quirinale (considerato proprietà personale del papa). Il deposto papa-re non può reagire che verbalmente alla sopraffazione “ingiusta, violenta, nulla e invalida” (Enciclica “Respicientes ea”, 1 novembre 1870).
Da qui in poi, sconfitto ma sufficientemente tutelato entro il Regno d’Italia, Pio IX modera la sua aggressività verbale, e si dedica maggiormente a temi di fede e pastorali. Giunto al venticinquesimo anno di pontificato, non esita ad autocelebrarsi nell’Enciclica ‘Beneficia Dei’ (4 giugno 1871) come protetto da Dio, a dispetto delle tribolazioni del passato e del presente. Dal suo punto di vista ha raggiunto grandi risultati con la convocazione del Concilio Ecumenico Vaticano e la proclamazione dei due dogmi dell’Immacolata Concezione e dell’Infallibilità papale.
Nella successiva Allocuzione ‘Ordinem vestrum’ (27 ottobre 1871) e nella Lettera apostolica ‘Costretti nelle’ (16 giugno 1872) affronta alcuni gravi problemi: la situazione delle Diocesi italiane dopo l’occupazione di Roma; la ribellione di quanti in Europa contestano il recente dogma sul’Infallibilità papale; gli attuali rapporti fra il Regno d’Italia ed il papato. Non cessa di protestare  energicamente contro la perdita del potere temporale, che gli impedisce di esercitare appieno il potere spirituale e di guida religioso-politica, e ribadisce il primato della Chiesa sulle altre istituzioni pubbliche.
Il momento storico è critico per la Chiesa, giacché in molti paesi (come Germania, Svizzera, Austria), si pongono limiti (in nome della laicità e della separazione fra poteri) alla sua libertà ed autonomia o si vogliono invalidare i precedenti Concordati.
Il Giubileo del 1875, esteso a tutti i paesi cattolici, è l’ultima grande manifestazione ecclesiale del papa, che muore nel 1878. Inizialmente sepolto in Vaticano, nel 1881 la sua salma viene traslata nella basilica di San Lorenzo al Verano, e ciò è occasione di gravi scontri fra clericali ed anticlericali.

Lascito e riabilitazione
Sia pure aperto alle idee liberali, almeno nella prima parte del suo pontificato, il ritratto di Pio IX consegnato alla storia è quello di un monarca autoritario, in lotta perenne con il mondo contemporaneo e con i suoi mutamenti, in nome di un superiore interesse di Dio e dei valori cristiani di cui si sente e si proclama portavoce e responsabile.
Poco interessano al laico il papa di preghiera, ed il suo operato in quanto alla riforma del clero, alla riorganizzazione della gerarchia cattolica, alla apertura di nuove diocesi, ai tentativi di riunificazione dei cristiani, alla condanna delle eresie: tutti eventi interni alla cristianità. Ancor meno interessa la proclamazione dell’astruso dogma della “Immacolata Concezione” di Maria.
Più importante appare invece l’approvazione, da lui fortemente voluta, del dogma dell’infallibilità papale, in uno con la forte riaffermazione della concezione assolutamente monarchica della Chiesa di Roma. Un punto di vista che tenta, ma inutilmente, di sbarrare dogmaticamente le porte alla modernità politica e culturale; in rotta con il movimento risorgimentale e con l’Unità d’Italia. La pretesa infallibilità papale, in quanto estesa ed estensibile (nel progetto di Pio IX) anche a cose non strettamente di fede e di morale, ha fortemente contribuito infatti a radicalizzare il dibattito fra mondo laico e credenti.
Dal punto di vista strettamente politico, il regno di Pio IX (dimenticato l’iniziale liberalismo) ha manifestato i tratti della peggiore reazione: condanna radicale della modernità, regime poliziesco ed illiberale, persecuzione e condanna a morte dei dissidenti politici, uso macabro di pubbliche esecuzioni esemplari.
Come scrisse il cardinale Giovanni Battista Montini nel 1962, e come ricorda Avvenire “nel 1870 il conflitto toccò il l’acme, ma «la Provvidenza aveva diversamente disposto le cose, quasi drammaticamente giocando sugli eventi. [Il papa] uscì «umiliato per la perdita delle sue potestà temporali nella stessa sua Roma ma, com’è noto, fu allora che il Papato riprese con inusitato vigore le sue funzioni di Maestro di vita e di testimone del Vangelo, così da risalire a tanta altezza nel governo spirituale della Chiesa e nell’irradiazione morale sul mondo, come prima non mai»[b].
La provvidenza, ben lo sappiamo, agisce come soggetto politico; sempre sul carro del vincitore, senza problemi di coscienza, ed alla faccia dei princìpi e della tradizione. Oggi il papato festeggia, libera Chiesa in suddito Stato, sia pure con libertà parzialmente condizionata; ma Pio IX avrebbe mai immaginato di divenire un giorno il profeta della riconciliazione?

Riferimenti
[a] Gianni Cardinale: A Porta Pia il Segretario di Stato vaticano partecipa alla cerimonia per il 140° e invoca dal Cielo la pace per i caduti delle due parti, Avvenire, 21 settembre 2010, pag. 8
[b] Carlo Cordia, Il prezioso patrimonio di una storia condivisa, Avvenire 21 settembre 2010, pag. 2

Francesco D’Alpa

Pubblicato su: "L'Ateo" n. 73 (1/2011)