Fuori dallo sguardo di dio. Woody Allen e il senso di colpa

Socrate, alter ego di Platone, discute con i giovani ateniesi  sui problemi morali, ma con una tesi preconcetta: basta conoscere il bene per essere automaticamente spinti ad attuarlo. Ad un certo punto, però, le sue convinzioni entrano in crisi: se un tiranno, che non deve rendere conto a nessuno, fa il male e continua a farlo per tutto il resto della vita, si può ancora sostenere che esista la giustizia? La soluzione viene, per Platone, dall’idea di una punizione extramondana; un concetto che, inserito nelle cultura religiosa occidentale, avrà l’effetto di svincolare l’uomo dall’ottimistica idea socratica dell’ineluttabile spinta al bene.
Più o meno come il filosofo greco, Woody Allen inizia la sua attività di intellettuale nella città simbolo della cultura occidentale, New York; lo vediamo impegnato nei suoi film in interminabili discussioni sui più svariati aspetti della vita nelle moderne agorà, i bar e le gallerie d’arte. I suoi primi personaggi sono di preferenza tipici figli della metropoli, alle prese con le piccole nevrosi quotidiane, con i problemi del lavoro, con le infedeltà coniugali; non dibattono sui ‘grandi principi’.
Ma, ad un certo punto della vita, come Socrate, il regista newyorkese si trova ad affrontare il problema dell’impunità del male e quello conseguente del senso di colpa; e la sua risposta è totalmente diversa.

Nel 1985 Woody Allen realizza “Hannah e le sue sorelle”, un film corale in cui si ritaglia la parte di Mickey, ex marito della protagonista: personaggio ipocondriaco che, convinto di avere un tumore al cervello, sprofonda in una crisi esistenziale, da cui cerca di uscire tentando  inutilmente di ‘convertirsi’ alle religioni più improbabili.
Il film costituisce una tappa importante nell'evoluzione delle tematiche del regista che anche in questo caso, come d’abitudine,  porta molto della  propria vita nel film.
Woody Allen infatti, nato da una famiglia ebrea praticante, ha finora ad ora riservato all'argomento ‘religione’ solo frequenti salaci battute. Ma in questo film la ‘questione dio’ viene invece trattata con una serietà inusuale.  E da questo momento in poi dio, la religione e la morale saranno per lui temi ricorrenti.
Nel 1989 con “Crimini e Misfatti” Woody Allen affronta in maniera seria il dilemma morale dell'impunità del male. Judah, uno stimato oculista, cresciuto in una famiglia di ebrei praticanti (e che pur suggestionato dall’idea dello ‘sguardo di dio’ -da qui fra l’altro la sua scelta professionale-  era tuttavia rimasto scettico sull’argomento), si  trova a fronteggiare la minaccia che una sua amante gli distrugga famiglia, reputazione e carriera. Disperato, chiede aiuto al fratello Jack, individuo cinico e senza scrupoli, che senza pensarci troppo assolda un killer per uccidere la donna. Di fronte all’omicidio, compiuto nella più assoluta impunità, Judah rivive atmosfere e situazioni della sua infanzia, ed in particolare gli ammonimenti del padre, profondamente credente e praticante, sulla inevitabilità del giudizio divino; così entra in una profonda crisi di coscienza, chiedendosi: se dio non esiste la nostra coscienza è l'unica arbitra del nostro agire? se  col passare del tempo i sensi di colpa si affievoliscono, ha senso  cercare una punizione in una legge ‘altra’ da quella umana? Judd chiede dunque consiglio ad un suo paziente, un rabbino che sta diventando cieco (metafora della cecità della morale eteronoma) che da credente si rifugia in una morale che però non convince e non appaga Judah il quale sembra sprofondare, insieme al suo omologo Woody, nella anomia più cinica.
Anni dopo, questa situazione esistenziale viene replicata nel film “Match Point”, definito da alcuni critici ‘gemello’ di “Crimini e misfatti”; ma con rilevanti differenze. In questo caso, infatti, il pensiero di dio si è del tutto volatilizzato: una volta scampata la punizione, il giovane e affascinante tennista Chris (stavolta omicida lui stesso, per salvare il proprio matrimonio dalle minacce di una amante messa incinta) non trova altra soluzione che ucciderla, fra mille sensi di colpa, aspettandosi una punizione che tuttavia non arriva. Superato un incubo notturno in cui rivede per un'ultima volta l'amante uccisa, e scampato ad una formale incriminazione grazie ad una serie fortuita di eventi, Chris archivia i sensi di colpa e torna impunito alla quotidianità (siamo ben lontani dalla psicologia autolesionista del protagonista di Delitto e Castigo, evocato in alcune scene del film).
Con “Match point”, Allen sembra dunque approdato ad un assoluto cinismo, nel quale non ci sarebbe posto per una vera morale, autonoma o eteronoma che sia. Lo confermerebbe, due anni dopo, “Sogni e delitti”, storia di due fratelli che accettano la commissione di un omicidio in cambio del denaro occorrente per salvarsi da un disastro finanziario. Compiuto il crimine, i due protagonisti pagheranno con la vita i loro dilemmi di coscienza, vittime del ‘fato’, ma non di alcun giudice.
A giudizio di molti critici, Woody Allen, sembra decisamente avere preso, con questi film, una deriva amorale, confermata dal successivo “Vicki Cristina Barcellona”, intriso di sconcertante disimpegno morale. Ma appena un anno dopo raffigura in Boris, il protagonista di “Basta che Funzioni” un suo nuovo alter ego: un cupo misantropo, che odia tutto  e tutti; e che, dopo aver tentato un suicidio, incontra e poi inopinatamente sposa una ragazza semplice, spontanea e piena di vita di cui si innamora e che lo aiuta a riconciliarsi con alcuni aspetti della vita che egli aveva sempre disprezzato. Pur non avendo, così come il precedente, grande valore artistico, questo film rappresenta un deciso passo avanti nella elaborazione delle tematiche morali del regista. Boris, infatti, sembra recuperare il valore dell'umanità ed il piacere della vita. La presenza di un dio giudice, con i suoi occhi scrutatori dell’intimità, ancora una volta non è neanche ipotetica. Di conseguenza Woody Allen non sente più il bisogno di sfidarlo, di dimostrare la sua irrilevanza quale giustiziere, di confrontare le proprie scelte di coscienza con le formule teologiche. Il ‘vecchio’ Allen è morto simbolicamente con Boris, ed il ‘nuovo’ torna a godere delle piccole grandi cose che la vita ci può offrire a qualunque età.
Woody Allen così si rilassa e prepara la tappa successiva “Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni”; una piccola commedia dove sembra ritrovare lo smalto dei suoi tempi migliori.  I protagonisti, ognuno a suo modo alla ricerca di un senso della vita, si confrontano con l’assoluta imprevedibilità degli eventi, di fronte ai quali non valgono strategie preconfezionate. Le loro scelte sono dettate più dalla convenienza del momento che da scelte morali di fondo; ma senza quelle forzature drammatiche, legate in passato ai conflitti di coscienza ed al tentativo di sopprimerli drasticamente.
Dopo un sofferto itinerario, il discorso morale sembra così passato del tutto dalle scelte morali di fondo a quelle di vita pratica; meno filosofia; nessuna inutile sovrastruttura.

Francesco D’Alpa

Pubblicato su: "L'Ateo" n. 76 (4/2011)