Con riserva, sconsigliati, esclusi. Correva l’anno 1963

Allentata da parte dello Stato italiano, nel 1962, la censura sui film, la ‘Commissione di revisione del Centro cattolico cinematografico’ (l’organismo che orienta l’attività delle sale cinematografiche italiane legate alla Chiesa Cattolica) ha un bel da fare per tentare di arginare tutto ciò che oramai può arrivare con una certa libertà al pubblico. Prendiamo ad esempio di questo lavoro di controllo il volumetto “Segnalazioni cinematografiche” del secondo semestre del 1963.
Anno problematico, questo: in pieno boom economico gli italiani scoprono il consumismo, ma anche nuovi orizzonti culturali, nuove libertà; al cinema applaudono le ‘bellezze procaci’ e ammiccano sulle piccole trasgressioni erotiche. In barba all’ottimismo del momento, i vescovi italiani, sono invece fermi alla predicazione ottocentesca e ad una morale (almeno a parole) tradizionale quanto retrograda; e non percepiscono altro che un pericoloso degrado morale: «Salvo lodevoli eccezioni, che meritano considerazione ed incoraggiamento, la più impegnata produzione cinematografica italiana, negli anni recenti e specialmente in questa ultima stagione, è caduta costantemente verso un progressivo e sfrenato deterioramento morale […] In particolare sembra in atto un attacco sistematico, denigratorio e distruttore del matrimonio cristiano, dell’istituto familiare e dell’educazione morale del popolo. Ciò che è morboso e proibito, diventa motivo pubblicitario sulla stampa quotidiana e periodica che entra in ogni casa. Ogni persona onesta può riflettere e osservare quali ripercussioni negative abbiano su ogni genere di pubblico, ma specialmente sull’infanzia e sulla gioventù, tale cinema e tale propaganda, sul piano psicologico, educativo, morale e religioso» [CEI, Situazione morale del Cinema Italiano, 28 febbraio 1965].

Il cinema pone ai solerti censori ecclesiastici molti più problemi che non il controllo dei libri, per la più facile e capillare diffusione del mezzo e per l’effetto trascinante delle interpretazioni degli attori più celebri. Ciò che comunque sorprende, in questa attività di salvaguardia dei cosiddetti valori cristiani tradizionali, sono i rigidi schematismi valutativi; ad esempio l’assoluzione o condanna di un film solo in base al suo argomento (buone le storie di guerra, i western, i classici; cattivi i film troppo sentimentali, esistenzialisti, o che trattano argomenti tabù), oppure a ‘certe’ specifiche scene (vietati abiti scollacciati e movenze provocanti; ma nessun problema con sparatorie e violenze non gratuite) a prescindere dalla cifra artistica.
I giudizi morali sulla produzione cinematografica sono in effetti così stereotipi che per valutarne la logica non c’è minimamente bisogno di conoscere la trama dei film, né il parallelo giudizio tecnico.
Tanto per fare qualche esempio, in questo 1963 sono indicati come ‘per tutti’: “The music man”, che «affidato ad una storia alquanto antiquata e banale ha uno svolgimento piuttosto noioso», ma «dal punto di vista morale risulta innocuo»; “La ragazza più bella del mondo”, la cui vicenda «è innocua, anche se qualche effusione sentimentale poteva essere più sorvegliata»; “I due monelli”, «realizzato in modo assai debole, con una interpretazione modesta e ingenua», ma nel quale «buoni e cattivi sono disegnati con contorni ben precisi. La condanna della malvagità è esplicita; come è ben chiara l’esaltazione dei buoni sentimenti che nella vicenda riportano una schiacciante vittoria»; va bene per tutti anche “Il segno di Zorro”, che «ripropone in forma sciatta e priva del necessario clima di suspense, le note avventure del leggendario personaggio», e che «privo di elementi negativi, risulta ingenuamente moralistico».

Riservata ai soli adulti è invece la visione di “Sherlocko, investigatore sciocco”, interpretato da Jerry Lewis «che non ha altra pretesa che divertire, non presenta particolari di rilievo dal punto di vista morale», ma purtroppo contiene «alcune insistite scene relative ad effusioni sentimentali, che d’altra parte la presenza di Lewis rendono quasi comiche». Stessa sorte tocca al mediocre “L’invasione dei mostri verdi”, «tratto da un fumoso romanzo di fantascienza ed a questo nettamente inferiore», realizzato con trucchi cinematografici grossolani e «dettagli insignificanti», e nel quale «la natura della vicenda, nonché il finale moraleggiante, è tale da non richiedere riserve» ma «il carattere fantastico del lavoro e una scena inopportuna consigliano però di riservare la visione del film a soli adulti maturi».
Di scene inopportune, in quanto propongono qualche (oggi la giudicheremmo inoffensiva) quasi nudità femminile o blandi richiami sessuali, ovviamente nei film ce n’é parecchie, soprattutto in quelli di minore impegno (e che comunque vogliono in qualche modo fare cassetta), quasi tutti invariabilmente inseriti nell’ultima delle categorie: ‘escluso per tutti’.
Cominciamo con “Africa sexy”, «solita esibizione di nudi di colore con i pretesti più vari sull’amore e i costumi indigeni dell’Africa», ‘escluso’ perché la «compiaciuta esibizione di nudità, presenta negativi effetti psicologici e morali»; “Sexy nel mondo”, «costituito da una serie di numeri di varietà provocanti e sensuali, cerca di fare leva – sotto il profilo del richiamo spettacolare – su numerose scene di spogliarello, assolutamente biasimevoli»; nel caso di “Canzoni in bikini”, «la vicenda in sé innocua comprende alcune sequenze offensive del comune senso morale e due spogliarelli molto audaci». Esclusi puri: “Siamo tutti pomicioni”, con Sandra Mondaini e Raimondo Vianello’, perché «le quattro storie che costituiscono il film sono ispirate ad una volgarità programmatica e mortificante che dà all’intero film un significato equivoco ed un contenuto inaccettabile. Oltre a ciò scene e sequenze sconvenienti, battute ed abbigliamenti indecenti…»; “’90 notti in giro per il mondo”, perché «comprende numerosi brani di varietà, balletti, spogliarelli, che si vantano esibiti in varie parti del mondo» e «contiene scene e sequenze gravemente immorali e del tutto inaccettabili»; “Parigi nuda”, una «escursione nella Parigi notturna […] ravvivata qua e là da riprese in esterno e da una regia non di rado ricercata e suggestiva»,  ma che purtroppo è «ulteriore epigono del filone sexy che presenta scene e sequenze moralmente inaccettabili».
Al di là della pruderie di facciata, sull’argomento sesso gli italiani amano invece discutere, e per questo esso è ampiamente presente sullo schermo, dai film più leggeri e scanzonati, a quelli cosiddetti impegnati, secondo una moda che viene soprattutto dal cinema francese e che porta il pubblico più attento a riflettere su una certa varietà di temi spauracchio della chiesa: libertà nel vestire, infedeltà coniugali, convivenze, divorzio. Su di essi, secondo gli esperti di mamma chiesa, non si può né scherzare né riflettere liberamente.
Cominciamo da ciò che è ‘escluso’ per tutti, ad esempio lo scanzonato “Gli italiani si divertono così”, il cui giudizio negativo recita: «la vicenda, che vorrebbe dimostrare quanto sia difficile divertirsi, si risolve per la maggior parte nella esperienza di fatti ed episodi del tutto sconvenienti e immorali che starebbero a dimostrare la generale indifferenza in fatto di costumi e immoralità». Peggio è ovviamente scherzare sui ‘triangoli’ amorosi, come nel caso di “La donna degli altri è sempre più bella”, pur nobilitato da attori che sono o diventeranno simbolo di un certo cinema leggero italiano di grande successo (Walter Chiari, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, Mario Carotenuto, Aroldo Tieri). La commedia umoristica “Le vergini” che ha fra gli interpreti Charles Aznavour e Stefania Sandrelli viene bollata come «squallido film […] vero e proprio insulto ai principi della morale, della logica, della psicologia, di quell’etica infine che è alla base di ogni consorzio civile che si rispetti»; perfino “Irma la dolce”, grande successo di Billy Wilder interpretato da Jack Lemmon, oggi fruibile quasi come commediola per educande, è ‘escluso per tutti’, «pur riconoscendo all’autore di avere trattato lo scabroso argomento con una pretesa moralistica e un lieve tono da commedia», per più motivi: «l’indole della vicenda, la natura dei personaggi e la pretesa di numerose scene gravemente sconvenienti e di doppi sensi del dialogo».

Escluso dalla programmazione è ovviamente “In Italia si chiama amore”, film inchiesta, nel quale «il contenuto acido e talvolta pesante, quando non apertamente divorzista contribuisce a presentare gli italiani quasi sempre come retrogradi e dà al film un carattere decisamente negativo».
Molto pesante anche il giudizio su “Sexy che scotta”, che va ben oltre la semplice riprovazione morale: «film osceno: forse non secondo la legge, ma certo secondo la morale cattolica che dichiara apertamente immorale l’esibizione voluta, ostentata, insistita, senza neppure il paravento dell’arte, di nudità quasi integrali, di atteggiamenti gravemente morbosi e provocanti, di un commento che dileggia, con fatua superiorità, ogni pudore e ogni senso morale. Nella completa condanna del film, sempre secondo la morale cattolica, è necessario indicare le gravi responsabilità di chi l’ha ideato, di chi l’ha prodotto, di chi vi ha collaborato e di chi lo lascia circolare».
Anche una quasi nudità basta a condannare un film come immorale: ecco dunque ‘sconsigliato’ “Marilyn”, che ripropone brani dei film di Marilyn Monroe, a causa di «diverse sequenze della protagonista in abiti succinti»; ed ecco ‘escluso per tutti’  “Il disprezzo”, tratto da un romanzo di Alberto Moravia, a causa della «ostentata nudità» di Brigitte Bardot. Un tono più leggero non salva neanche “Gli italiani e le vacanze” (riservato ad ‘adulti in piena maturità’), in quanto «l’inchiesta è in sé irrilevante per quanto riguarda il contenuto. Tuttavia scene poco convenienti, un dialogo libero, abbigliamenti succinti e una danza indecente impongono ampie riserve».
Ma passiamo alle storie d’amore meno lineari, ovvero a quelle che oggi in effetti (senza scandalizzare quasi più nessuno) spadroneggiano nei programmi televisivi. “Tra due donne”, dramma psicologico a  toni forti centrato su di un adulterio, viene ‘sconsigliato’ a causa delle «situazioni coniugali dei personaggi, al di fuori di ogni legge morale» e per «qualche scena sensuale», anche se «un bisogno di sincerità e di verità potrebbe avere un valore positivo». Nel caso di “I giochi dell’amore” (anch’esso ‘sconsigliato’) «la parte conclusiva del film con la decisione di consacrare l’unione con il matrimonio vorrebbe in qualche modo osannare una situazione, che fra screzi e rappacificazioni, rappresenta, in chiave lievemente ironica, una storia di concubinaggio». Visto il lieto fine potrebbe salvarsi dal giudizio negativo dei censori “Accadde sotto il letto”, che però è ‘sconsigliato’ in quanto «la vicenda fondamentale, conclusa con l’affermazione del sincero amore tra i due giovani protagonisti, non presenta elementi negativi; tuttavia la deliberata insistenza nell’esibizionismo di nudità femminili e alcuni brani del dialogo inducono a sconsigliare la visione del film».
In generale, secondo la chiesa, i corpi nudi ed il sesso fanno più male al pubblico della cruda esibizione della violenza e della superstizione. In questa logica “Lo sceriffo dalla frusta d’acciaio”, un «assai modesto western realizzato con povertà di mezzi secondo usualissimi schemi», rimane ‘per tutti’, perché «l’ingenuità della vicenda ed il finale moraleggiante rendono innocue le consuete scene di violenza». E “I misteri della magia nera” è solo ‘sconsigliato’, con questa motivazione: «una storia di per sé incredibile, in cui all’inizio viene volutamente portato come tesi, con appoggio di argomenti pseudo scientifici, un discorso di vera marca superstiziosa. Oltre alla denunciata impostazione le numerose scene di violenza, il clima piuttosto macabro nonché il dialogo inducono a sconsigliare la visione del film».
Giudizi peggiori sono riservati, manco a dirlo, ai film sia pure vagamente antireligiosi, come anche a quelli che semplicemente prendono a pretesto la religione per una satira innocente, come nel caso di “Il monaco di Monza”, interpretato da Totò, Nino Taranto ed Erminio Macario, vera e propria pietra dello scandalo: «film di pessimo gusto e gravemente offensivo del sentimento religioso. La stupida storiella pare non avere altro obiettivo che sfruttare qualunque pretesto per parodiare la religione e vilipenderne i simboli: dal farsesco e irriverente uso degli abiti, delle formule liturgiche e sacramentali fino a quello blasfemo delle preghiere, delle formule liturgiche e sacramentali in un contesto di volgarissimi doppi sensi e di battute triviali. È un lavoro veramente disonorevole per la produzione e per coloro che ne consentono la circolazione». Va ovviamente peggio a “Anonima peccato”, escluso per tutti, che «presenta una pericolosa confusione, talvolta anche torbida, che mescola sacro e profano, situazioni negative e sentimento religioso, maledizioni, fede e miracoli. Pur non trattandosi direttamente della religione cattolica, non si può fare a meno di rilevare l’aspetto negativo assunto dalla rappresentazione di valori, simboli, citazioni e nomi che fanno parte di un comune senso religioso, presentazione deplorevole che contribuisce a gettar discredito su ogni fede».
Ma veniamo a due ultimi esempi di censura, di ben diverso genere. “Il processo”, ispirato al romanzo di Kafka, ed interpretato da Anthony Perkins e Jeanne Moreau, viene sconsigliato, nonostante sia presentato come film di grande spessore artistico, «valido esempio delle possibilità espressive del cinema», anche se «prodotto di difficile lettura». Il giudizio morale è infatti assolutamente negativo, in quanto «la concezione proposta dal testo di Kafka e ripresa dal film, purtroppo non può dirsi positiva. Sulla falsariga del romanzo, il registra si è accontentato di descrivere l’angoscia esistenziale che assale l’individuo nonché l’inutilità di qualunque tentativo di salvezza. L’amare il prossimo, la giustizia, la logica, la religione stessa, tutto viene distrutto. Niente infatti può resistere alla potenza misteriosa che istituisce il processo contro un uomo convinto di non avere nessuna colpa. La stessa coscienza del protagonista incomincerà a tentennare ed egli finirà per dubitare anche di sé stesso. […] si è di fronte a situazioni assai sfruttate da un certo esistenzialismo e non accettabili dal punto di vista morale».
“Le mani sulla città” di Francesco Rosi, classificato per ‘adulti con riserve’, turba i preti per altri motivi. Qui sesso e religione non c’entrano nulla; si tratta piuttosto di una delle prime serie denunce del malaffare politico-imprenditoriale post-bellico, con chiara distinzione fra cattivi (allora) di destra e buoni (sempre allora) di sinistra: troppo per una gerarchia miope se non oggettivamente collusa, secondo la quale il film è «tendenzioso ed equivoco. E la polemica contro la speculazione edilizia diventa un pretesto per fare propaganda, e faziosa per di più».

Francesco D’Alpa

Pubblicato su: "L'Ateo" n. 76 (4/2011)