Recensione a

VITTORINO ANDREOLI: Follia e santità.
ISBN 978-88-211-6584-1.
Marietti 1820. Genova, 2005. Pagine 360. € 15.00

 di Francesco D'Alpa

Pubblicato su L'ATEO, numero 4/2014

“Perché mai la santità dovrebbe corrispondere ad un concetto di normalità?” “Perché se una donna è isterica, non può essere santa?”. Sono alcune delle domande sulle quali Andreoli esprime la propria opinione, in questo interessante ma non del tutto condivisibile saggio, che indaga la straordinarietà psichica di alcuni santi (da Francesco d’Assisi a Giuseppe Moscati, da Caterina da Siena a Gemma Galgani). Personalità controverse sulle quali si è abbattuta la critica razionalista, ma che all’opposto (e soprattutto in quanto tali) hanno la massima considerazione nel pantheon cattolico.

La psichiatria più recente ha insistito molto sulla impossibilità e sulla inopportunità di delimitare rigidamente gli ambiti della normalità e della follia; ed ha proposto di accettare come normali, secondo i contesti ed il vissuto, comportamenti e modi di essere che in altri contesti e con altri vissuti esistenziali andrebbero visti come francamente devianti. Ma come applicare ciò alla vita dei santi, e soprattutto di certi santi?

Andreoli procede sicuro. Innanzitutto ammette, nell’ambito psicologico (in quanto alle esperienze ‘straordinarie’ dei santi) la possibilità di risposte che esulino dall’ambito del naturale, in polemica con la pretesa positivista di rendere ragione di ogni aspetto abnorme della personalità; e su questa linea interpretativa concede alla chiesa una autonomia di giudizio sui ‘miracoli’. In secondo luogo cerca di differenziare, per quanto possibile, ciò che vi è di indiscutibilmente psicopatologico nei santi, da ciò che vi è di peculiarmente ‘santo’, premettendo che “l’essere santo non nega la possibilità di essere uomo e di essere valutato come tale”.

Nel contempo lancia una accusa: la cultura laica nega la santità e ben pochi non credenti se ne occupano.

Dovrebbero occuparsene, invece, perché la follia non può essere letta solo al negativo: ”si può essere santi anche se folli”; l’isteria, in particolare, non è incompatibile con la santità, ed anzi esiste una ‘isteria santa’ contrapposta ad una ‘isteria profana’. E d’altra parte, è stato proprio il cristianesimo ad autodefinirsi in tempi lontani (ma in metafora) una ‘follia’.

A mio avviso l’analisi di Andreoli non ha comunque affrontato (e questo ne costituisce un importante limite) il vero punto chiave: perchè la chiesa ha santificato taluni proprio a motivo di certe manifestazioni dalla loro patologia psichiatria (e non ‘nonostante’ la loro patologia psichiatrica, come vorrebbe Andreoli)? Perché ha messo in primo piano i digiuni (ovvero l’anoressia), le visioni (ovvero le allucinazioni ed i deliri), il furore religioso (ovvero la paranoia a tematica religiosa), e via dicendo?