Recensione a:

RODOLFO CALPINI, Colonialismo Missionario.
ISBN 978-88-548-7173-1
Aracne, Roma, 2015, pagine 500.

di Francesco D'Alpa

Pubblicata su L'ATEO, numero 2/2016

Che le chiese cristiane, ed in particolare quella cattolica, abbiano più che avallato anche negli aspetti più nefasti (fatte ovviamente le debite eccezioni) le grandi espansioni coloniali europee (prima nelle Americhe e poi in Africa), è un dato più che ovvio ad ogni storiografia non ciecamente confessionale (e poco valgono in tal senso a purificare la storia le balbettanti richieste papali di perdono degli ultimi decenni); ma mostrare quanto in realtà il colonialismo si è sempre imbevuto di argomentazioni teologiche ed ha operato quasi in subordine ad esso (e non viceversa) è operazione certamente meno praticata.

Rodolfo Calpini, profondo conoscitore della tematica dell’inculturazione, ben sottolinea in un questa opera dotta, convincente, e quanto mai esaustiva gli stretti legami fra interessi economici, impresa militare ed inculturazione religiosa, sviscerando in particolare i temi dell’etnocidio e del genocidio.

Appena un anno dopo la storica scoperta di Cristoforo Colombo, Papa Alessandro VI conferiva a Spagna e Portogallo il ‘diritto’ di spartirsi i territori appena scoperti (Bolla Inter coetera, 1493), e dovettero passare alcuni decenni prima che il papato riconoscesse finalmente la natura ‘umana’ degli indios, definendoliì “uomini veri [che] non solo sono capaci di ricevere la fede cristiana, ma, come ci hanno informato, anelano sommamente la stessa”(Bolla Veritas Ipsa, 1537). Ma ciò non migliorò il tragico destino degli amerindi, anzi per certi versi ne facilitò l’etnocidio. Tanto è vero che nel 1550 il teologo Juan de Sepulveda, storico di Carlo V, sosteneva sia la piena legittimità dell’imporsi su di una civiltà ‘inferiore’ da parte di una che si reputasse ‘superiore’, sia il diritto di civilizzare e convertire gli indios tramite la schiavitù; tutto questo in piena sintonia con le direttive papali, che giustificavano senza remore la necessità di una conversione forzata.

In questo senso, la responsabilità storiche delle devastazioni operate dal colonialismo vanno assolutamente riequilibrate fra potere temporale e potere religioso, dando ampio peso al secondo. In particolare (e questo è un argomento forte di Calpini) la critica dell’etnocidio (momento finale del colonialismo) va ricollegata, secondo la teologia cattolica per renderla inoppugnabile, al tema della incarnazione di Cristo; ed ancora va sottolineata l’ambiguità del moderno concetto di dialogo interreligioso, esibito dalla chiesa post-concilio Vaticano II, che in realtà mal nasconde il persistente pregiudizio cattolico circa la sua superiorità nei confronti di ogni altra concezione del mondo, sia essa laica o religiosa, tale da giustificare, sempre e comunque, una più o meno forzata inculturazione del diverso.

La critica serrata di Calpini della ideologia e museologia missionaria, e l’analisi dei suoi strumenti sono il frutto di anni di ricerca documentaria, come ben evidenzia la struttura dell’ampio volume, che unisce studi già apparsi in varie riviste a considerazioni suggerite dal tempo presente.