Recensione a:

Jean-Pierre Castel. Le déni de la violence monothéiste.
ISBN 978-2-296-12825-5
L’Harmattan, Parigi, 2010. Pag. 374. 

 di Francesco D'Alpa

La relazione fra violenza e monoteismi suscita, anche sull’onda della cronaca, un crescente interesse saggistico. Nel caso di J-P. Castel (un non specialista della materia, ma dotato di eccellenti capacità di analisi ed espositiva) l’accento è posto non tanto sulla violenza suscitata da dottrine religiose basate sul presupposto di una verità rivelata, assoluta, immutabile ed esclusiva, da accettare ed imporre, quanto sul processo sistematico di negazione di tale violenza.

Alla verità rivelata (simbolizzata da Gerusalemme) si opporrebbe storicamente una verità in continuo divenire e oggetto di attiva ricerca: quella ad esempio di Atene. Il popolo ebraico è ossessionato dalla purezza, anatemizza ogni diversità e gli opposti, e bandisce il libero arbitrio; ma allo stesso tempo è teso ad affermare la propria identità ed il proprio dio, contro le occorrenze della storia e a dispetto della diaspora; non a caso nella Bibbia non si ride, al più si cantano inni religiosi. Al contrario, le genti greche affermano il primato della saggezza, cercano la conciliazione degli opposti, accettano l’equilibrio ed il relativo, non debbono scegliere di necessità fra bene e male, si rendono plasmabili ad influssi e culture diversi.

Mentre nel giudaismo (e poi nel cristianesimo e nell’Islam) alla verità rivelata si può solo obbedire, nel mondo greco la verità è nascosta e per questo l’imperativo morale è di ricercarla, in tutti i suoi aspetti. Al giudaismo si aderisce non per scelta spirituale ma per obbligo di appartenenza ad un popolo, ad una etnia; per mantenerne l’unità e la coerenza; anteponendo l’obbedienza alla giustizia.

Per solo fatto di inglobare le scritture sacre ebraiche, il cristianesimo (costruito progressivamente attorno alla figura di un Gesù più concettuale che storico, frutto di una condensazione storica fra svariati miti) secondo J-P. Castel ha reciso solo in apparenza ciò che lo lega alle sue radici giudaiche, e non potrebbe fare diversamente se non risolvendo la contraddizione esistente fra irrinunciabile pretesa di verità e propositi di tolleranza. Risultato anche oggi tutt’altro che ottenibile, nel momento in cui si rivendicano, anche da parte di un certo mondo ‘laico’ le radici giudaico-cristiane dell’Occidente e si dipinge il cristianesimo come apoteosi dello spirito umano, occultando nel contempo le sue responsabilità nel male (guerre di religioni, inquisizione, ostacoli alle libertà civili ed al progresso) che ha segnato per secoli l’Occidente.

Ovviamente, il discorso vale anche per l’Islam, il terzo dei grandi monoteismi, il cui grado di penetrazione (se non altro per ragioni demografiche) e di pericolo per la nostra società è in vistosa crescita.

La Bibbia (ma lo stesso vale per il Corano) ci racconta la storia della relazione di un popolo col suo dio, il cui peso culturale non muta nel momento in cui la si giudichi reale o simbolica. In entrambi i casi essa è intrisa di violenza, diretta da un dio geloso, collerico, impietoso anche verso il suo popolo. Negare questa perenne violenza intrinseca, ridurla ad espressione di un tempo e di una cultura ancora abbastanza primitivi non cancella la presenza di una analoga violenza ideologica nel cristianesimo, che a sua volta si esprime nelle vesti certo più accettabili del proselitismo, fenomeno tipico dei monoteismi più evoluti, e motivo di scontro inevitabile in ogni tempo fra di essi, ovvero fra cristianità e islam. Il dio amorevole dei cristiani è certo più accettabile del dio ebraico, ma non per questo è meno esclusivo, ed il suo potere simbolico non è minore. La differenza sta nel dominio dell’interiorità, nella gestione dell’etica, altrettanto rigidi ed etero-determinati che il precetto ebraico della purezza.

L’analisi di J-P. Castel va comunque ben oltre, e non è possibile renderne in poco spazio una adeguata sintesi. Ne sottolineo comunque un tema che ci tocca da vicino: il tentativo dell’occidente cristiano, o per lo meno di una sua parte, di circoscrivere la violenza religiosa all’islam (o alle sue frange fondamentaliste): per il nostro autore non è che l’ennesimo tentativo di negare la violenza intrinseca ed inestirpabile di tutti i monoteismi.

 

Francesco D’Alpa
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