Peter Greenaway: Goltzius and the Pelican Company (Goltzius e la compagnia del pellicano)

Scritto e diretto da Peter Greenaway (2012; durata 128 minuti)

 di Francesco D'Alpa

In questo colossale film dal linguaggio ibrido (fra racconto, cinema e teatro; molta computergrafica, molti nudi e sesso esplicito) scritto e diretto nel 2012, Peter Greenaway (regista irriverente che dichiara di entusiasmarsi per due soli soggetti: la morte ed il sesso) affronta il rapporto fra religione e sessualità da un insolito punto di vista: la doppiezza, ovvero la copertura sotto le spoglie del sacro della sensualità dell’artista e della voyeuristica ammirazione di ciò che è impudico, scabroso o perverso.

Secondo Greenaway tutta l’arte sacra prodotta dal rinascimento in poi è pregna di erotismo e pornografia, non meno di quanto lo sia oggi il mondo virtuale; nell’arte, come nella vita, ciascuno può costruirsi infatti una propria seconda vita, nella quale appagare liberamente anche i più inconfessabili  desideri.

Protagonista del racconto è Hendrick Goltzius (1558-1617), importante incisore manierista olandese, molto attivo nella stampa di nudi fortemente sensuali, che propone al mangravio di Alsazia di finanziare il suo progetto di un libro illustrato sulle più ambigue storie del vecchio testamento (Adamo, Eva ed il serpente; David e Betsabea; Lot e le sue figlie, e così via), ampiamente trattate da innumerevoli artisti, ciascuno dei quali non ha saputo o voluto nascondere la carica erotica e perlopiù trasgressiva insita nella storia. Il progetto viene accettato, ma solo a patto che gli attori della compagnia itinerante diretta da Goltzius mettano in scena realisticamente gli episodi biblici in questione, legati ai tabù dell'incesto, dell'adulterio, della pedofilia, della prostituzione, della necrofilia; un’impresa che innesta inattese e complesse dinamiche fra i soggetti coinvolti, attori ed uomini di corte. Le previste conturbanti recite si trasformano infatti in tragici giochi sessuali, con gelosie, assassinii, torture, depravazioni, massacri. 

Il continuo confronto fra vita, celebri dipinti e rappresentazione mette a nudo quello che, per i pittori ed incisori era solo un sottile escamotage per contrabbandare come artistico ciò che, fuori dall’alibi biblico, sarebbe stato considerato fortemente impudico e dunque censurato. Di fronte al soggetto ‘sacro’, in particolare nel rinascimento, gli ecclesiastici compiacenti chiudevano infatti facilmente entrambi gli occhi, non senza inconfessabile compiacimento.

La morale è presto fatta: trasgressione, blasfemia ed irriverenza sono parte essenziale della quotidianità, e convivono tranquillamente con la fede, il rispetto e la deferenza nei confronti della religione; l’arte è per eccellenza il luogo in cui qualunque psicopatologia o perversione è legittimata e convalidata, e fin tanto che ognuna viene artatamente racchiusa nel suo vaso di Pandora, la società e la Chiesa ne vengono relativamente discolpate.

 

Francesco D’Alpa