Editoriale

 di Francesco D’Alpa

[L’ATEO, numero 1/2018]

Cari lettori, eccovi un numero della nostra rivista (in qualche modo anche darwiniano, come nostra tradizione per il primo dell’anno) di quelli che faranno discutere molti di voi, ed anche certamente arrabbiare certi improvvidi integralisti (a giudicare dal WEB ce n’è tanti per il mondo). Le ‘razze umane’; una realtà ‘biologica’, o un ‘flogisto’? Un termine ‘denigratorio, e dunque ‘razzista’, o semplicemente descrittivo, ‘tassonomico’)? La questione è spinosa, non v’è dubbio, non per nulla invocata a gran voce dopo la shoah.

Sul banco d’accusa, è risaputo, troviamo (dimenticandoci di similari fenomeni dei tempi antichi) soprattutto il ‘darwinismo sociale’, e di riflesso il suo presunto ispiratore, Charles Darwin; al suo seguito tutta la scienza ‘positivista’, ‘materialista’, ‘antireligiosa’. Ma non è proprio il caso di fare di tutta l’erba un fascio. Indubbiamente, molti grandi della medicina e della biologia hanno propugnato idee che supportavano scientificamente (a ragione o a torto; visto che spesso le loro osservazioni erano inconsapevolmente viziate da errori metodologici o interpretativi) il concetto di ‘diversità razziale’ (certamente, assai meno il razzismo).

Di tutto questo, e della richiesta di eliminare il termine ed il concetto stesso di ‘razza umana’ dai documenti legislativi, trattano i vari autorevoli contributi che potete leggere in questo numero, per i quali rimando all’ampia presentazione della nostra condirettrice.

La mia convinzione personale è che nel mondo medico-biologico positivista ottocentesco (quello maggiormente sotto accusa) le cose non andassero poi così male, o perlomeno che le idee siano state molto più variegate (a differenza della rigidità dogmatica degli antidarwinisti); che la grande platea degli operatori ragionasse con maggiore scientificità. Mi vien in aiuto l’imponente “Dictionaire enciclopédique des sciences médicales”, ovvero la ‘summa’ o ‘quintessenza della scienza medico-biologica del tempo. Alle voci ‘razze’ e ‘razze umane’ (volume 80, del 1874) troviamo infatti affermazioni tutto sommato in piena linea con le idee ‘antirazziste’ odierne; ad esemppio: «Le razze naturali si riscontrano frequentemente fra i vegetali, e le si ritrovano anche presso gli animali, che, grazie alla loro capacità di movimento sembrano potersi sottrarre  più facilmente alle leggi del mondo esterno. Presso l’animale, come presso il vegetale, il numero e le differenze fra le razze si accrescono in proporzione enorme sotto l’influenza della cultura e della domesticazione. Divenute libere, queste stesse razze si riavvicinano al tipo primitivo, ed una parte dei caratteri che le distinguono tendono a cancellarsi.» [p. 371]

Logica conseguenza, per gli estensori di queste ampie voci, è che non è proprio il caso di parlare di ‘razze umane’ in senso stretto; il termine può avere una certa utilità nel linguaggio comune ma non in quello scientifico; il termine ‘razza’ può essere adoperato solo nel caso dell’allevamento selettivo, dunque nel caso dei vegetali e degli animali; non in quello della specie umana, non soggetta ad un allevamento selettivo: «I gruppi umani, malgrado le differenze apparenti o reali che le separano non sono altro che delle razze d’una sola e unica specie. La morfologia ci ha insegnato che si passa dall’una all’altra per gradazioni insensibili, e che nessuna delle nostre specie domestiche presenta ad un grado più elevato l’incrociamento dei caratteri. L’universalità, la fecondità indefinita degli incroci ed i fenomeni di atavismo constatati ovunque, hanno permesso di porre fuori di dubbio l’unità della specie umana. Noi crediamo fermamente che questa opinione metterà d’accordo prima o poi tutti gli uomini di scienza che si attengono allo studio dei fatti» [p. 376].

Naturalmente, qualcuno noterà una contraddizione fra l’affermare che (al di là delle ambiguità terminologiche) vi è una sola ‘specie umana’ e non differenti ‘razze umane’ ed il fatto che l’uomo sia comunque un ‘animale’, dunque soggetto alle stesse leggi ereditarie dei vegetali e degli animali, ed in definitiva potenzialmente ‘selezionabile’ anch’’esso.

Ebbene sì; si tramandano almeno un paio di tentativi storici di mettere in pratica questo principio di ‘selezione ragionata’: quelli del prussiano Federico II di Baviera (1712-1786) e di un non meglio precisato alsaziano Duca di Deux-Pont. Del secondo non si hanno invero quasi notizie; che sono invece più consistenti per il primo. Federico II, definito a buona ragione un ‘monomaniaco militarista’, pensava bene (per sua unica vanagloria) di creare a Potsdam una razza di ‘giganti’ utili ad arricchire la sua guardia privata di granatieri (uomini di altezza decisamente sopra la norma, reclutati da lui stesso o ceduti da altri regnanti), spingendo o forzando fra i suoi sudditi gli uomini e le donne più alte a sposarsi fra di loro. Il tentativo riuscì in parte: anche se per qualche tempo (per come si racconta) si videro circolare a Potsdam molti uomini più alti della media, le generazioni successive evidenziarono un chiaro ritorno alla variabilità originaria.

Questo viene oggi ricordato come il primo ed unico tentativo ‘scientifico’ (sul modello animale) di creazione di una ‘razza umana’, premonitore di una vera e propria scienza, sviluppatasi in tempi successivi: l’eugenetica. Ma questa è davvero un’altra storia.