Deus sive natura?

di Francesco D’Alpa

[L’ATEO, 2/2018]

 

Che rapporto esiste fra l’uomo e la natura? e vi è qualcosa che media questo rapporto? La risposta a questa seconda domanda, come sappiamo, è un ‘si’ per il cristianesimo, cui si oppongono sia il ‘materialismo’ scientifico moderno che antecedenti concezioni filosofiche, ad esempio quella seicentesca di Baruch Spinoza.

L’espressione «Deus sive natura», usata dal filosofo olandese, definisce infatti l’identità fra Dio (sostanza infinita, ‘causa sui’) e la Natura (unica realtà, non solo delle cose materiali, che tutto comprende e nulla lascia al di fuori di sé; ciò che è in sé e per sé si concepisce). Ma il dio di Spinoza non è personale e trascendente; non c’è distanza fra lui e il mondo; egli è la realtà stessa considerata nella sua totalità, con tutte le sue infinite espressioni e manifestazioni; è causa immanente e non trascendente.

Spinoza suddivide la Natura in ‘Natura naturans’ (come causa primigenia dell’universo; ciò che per comodità definiamo Dio con i suoi attributi), e ‘Natura naturata’ (l’insieme dei suoi stessi effetti).

Per questo è stato considerato dai più un panteista (anche se il suo ‘panteismo’ si discosta da quello della filosofia greca, giacché il suo Dio non si identifica con ogni singola parte della natura), e da taluni perfino un ateo (al limite un ‘ateo virtuoso’, in considerazione della sua statura morale).

Azione di Dio e finalismo

Questa concezione della natura (uomo compreso) è indubbiamente materialistica e meccanicistica.

Dio, potenza impersonale, non può produrre nulla fuori di sé, altrimenti la sua assolutezza sarebbe limitata; agisce per una necessità legata al suo stesso essere, senza alcun fine e non per una propria volontà. Esiste un legame strettissimo fra lui ed i fenomeni mondani (sia spirituali che materiali). La perfezione (vera o apparente) che ammiriamo nella natura non è dunque il frutto di un deliberato atto creativo.

Tutto il contrario del cristianesimo, che reclama una perfezione nella natura: creata a misura dell’uomo, e amministrata tramite la cosiddetta ‘Provvidenza’, il cui scopo è compiere il volere di Dio applicando le regole e i principi che egli ha stabilito, una volta per tutte, per governare il funzionamento delle cose. Ciò vale (secondo la Bibbia) per l’universo nel suo insieme, per il mondo fisico, ma anche per le vicende delle nazioni, per la nascita ed il destino umano, per i successi e i fallimenti umani, per la protezione del suo popolo eletto.

Mentre per il cristianesimo vige un assoluto finalismo; Spinoza lo nega risolutamente, sia riguardo la natura, sia riguardo l’uomo; ogni cosa tende piuttosto al solo proprio utile, in virtù del quale agisce. L’idea umana che esista un finalismo è solo il frutto di un pregiudizio: l’uomo individua nella natura cose che gli sono utili, e congettura che sia stato il suo dio antropomorfo a mettergliele a disposizione; al tempo stesso interpreta come punizione divina ciò che va contro il suo utile (ad esempio le malattie e le calamità).

In quanto dipendente dalle leggi universali, senza usufruire di alcun privilegio, il comportamento dell’uomo deriva solo da un continuo sforzo (‘conatus’) di autoconservazione (‘volontà’, se riferito alla mente; ‘appetito’, se riferito al corpo); dall’appetito derivano (come ‘affetti primari’) la letizia o la tristezza.

Questa concezione ha importanti riflessi sull’etica. A differenza di quella cristiana, nella quale esistono dei ben definiti concetti di bene (ciò che è conforme alla volontà di Dio) e male (ciò che non lo è), questi termini hanno in Spinoza un senso quanto mai relativo. Dio non è un giudice; per lui, bene e male non esistono come valori assoluti; l'uomo, per natura, come tutti gli esseri viventi, cerca solo di ottenere il proprio utile, al fine di garantire la personale conservazione; ed a ragione di ciò è portato ad attribuire un valore ed un senso alle cose solo in relazione alla loro utilità.

Qui, in particolare, si consuma la rottura con il cristianesimo, secondo il quale invece Dio ci ama infinitamente, conosce tutto di noi, guida la nostra esistenza fino nei minimi dettagli tramite la Provvidenza, e tutte le forze dell'universo sono al suo servizio per il nostro bene.

La Provvidenza

Il termine Provvidenza (o Divina Provvidenza), era già stato usato da Platone, ed indica l’insieme delle azioni operate costantemente da Dio affinché ogni cosa nel creato realizzi il proprio giusto fine. Il mondo infatti, secondo la spiegazione religiosa, non sarebbe retto da un destino cieco: poiché Dio ha creato tutte le cose è logico che egli stesso direttamente le preservi. Il primo atto della Provvidenza (secondo il cristianesimo) sarebbe stato la creazione dell’universo; ma Dio (almeno secondo una impropria rilettura moderna di ‘Genesi’) non avrebbe voluto crearlo già perfetto e completo in se stesso, quanto piuttosto in evoluzione costante. L’uomo occuperebbe un posto particolare nell’ordine del creato, come oggetto privilegiato (ed anzi unico) dell’amore (dunque della Provvidenza) di Dio; tutto il resto non avrebbe senso in sua mancanza. La terra stessa sarebbe un pianeta privilegiato ed in nessun altro luogo dell’universo sarebbero mai esistite le stesse condizioni privilegiate necessarie per sviluppare la vita. A giustificazione di ciò che a noi appare negativo nel creato, la teologia insegna che alcune cose che dipendono dalla Provvidenza avvengono grazie ad una ‘volontà permissiva’ di Dio, che persegue scopi non comprensibili all’uomo. Inoltre, talvolta, Dio può sospendere le sue stesse leggi, dando luogo al ‘miracolo’.

Per Spinoza, tutto al contrario, la natura non è provvidenzialmente buona per l’uomo, né risponde ai suoi desideri. Occorre dunque studiarne le leggi, proprio per renderla abitabile ed utile.

Il libero arbitrio

Secondo il cristianesimo, Dio, sin dall’eternità, ha stabilito l’intero corso degli eventi futuri. Ma all’uomo (e solo a lui) è concesso il ‘libero arbitrio’, che lo rende padrone del proprio destino. Si può dunque obiettare che alcune cose sfuggono al controllo diretto di Dio, in chiaro contrasto con l’idea della onnipotenza divina; anzi con l’idea stessa di Dio.

Secondo Spinoza, invece, l’uomo non è libero, ma inserito in una necessaria concatenazione, e la sua libertà sta nell’agire secondo la trama in cui si trova, spinto dalla volontà di autoconservazione. Non ha dunque alcun senso affidarsi passivamente al corso degli eventi.

Il conflitto con le religioni

Spinoza, pur non mostrandosi blasfemo, inevitabilmente nega l’ispirazione e rifiuta l’autorità della Bibbia, che considera uno strumento prodotto per ottenere che coloro che sono incapaci di seguire la ragione obbediscano a determinate leggi morali; rifiuta il primato morale della Chiesa; nega la possibilità dei miracoli, che violerebbero le leggi immutabili del creato. Lo stesso termine ‘Dio’ (per quanto ancora adoperato) non ha in fondo più per lui alcun significato. Non a caso Nietsche (che invece porta ben oltre la sdivinizzazione della natura) gli contesterà proprio d’avere continuato ad usarlo, e di non avere adoperato la più appropriata formula «chaos sive natura» (ritrovata in un suo quaderno di appunti), nel senso che non esiste neanche un odine intrinseco nella natura, e dunque nessun ordine cui l’uomo appartenga.

Il contributo di Spinoza allo sviluppo del pensiero moderno è comunque indiscutibile; rappresenta un passaggio importante in quel processo di affrancamento della filosofia dalla religione, che troverà il suo culmine proprio nel grido di Nietsche: «Dio è morto; e noi lo abbiamo ucciso». Una visione della realtà prossima a quella della scienza contemporanea, secondo la quale l’universo è costituito da una materia in caotica espansione, e tutto è regolato da leggi intrinseche alla materia stessa (composizione chimico-fisica, genetica, etc…), e dai rapporti di interazione reciproca e di interdipendenza fra i vari elementi.