Silvia Bencivelli: Perchè ci piace la musica. Sironi, Milano, 2007.
ISBN 978-88-518-0075-8. Euro 14,90.

Da sempre, potremmo dire, l’uomo ha tentato di comprendere la natura della musica, e le spiegazioni metafisiche hanno lungamente prevalso: ad esempio anima del mondo o imitazione delle perfezioni del creato. La musica (o più genericamente il suono) era presso molte culture un ‘a priori’, legato all’essenza primitiva delle cose; pensiamo ad esempio al ‘grido’ del Dio egizio Thot, o al ‘verbo’ dei cristiani. Goethe la considerava la più sublime fra le arti, in quanto libera da qualunque rapporto con la materia.
I nostri quesiti sono diversi, e fra questi: perché ci piace? Darwin provò a dare una risposta non filosofica né religiosa: la musica, o meglio il canto, avrebbe a che vedere con la verbalizzazione. La musica, più in generale, sarebbe stata utilizzata in origine per comunicare emozioni; avrebbe un valore adattativo; sarebbe una delle forme espressive affermatesi nel corso dell’evoluzione, in quanto favorenti la socializzazione.
Oggi, poichè qualunque interpretazione dell’uomo deve fare i conti con la l’analisi naturalistica del cervello, neanche la musica può sfuggire al setaccio dei neuroscienziati. Il senso della musica, lo capiamo sempre più, risiede innanzitutto nelle caratteristiche dell’apparato uditivo; dipende dalle funzioni delle strutture nervose, ancor prima che dalle caratteristiche della specifica cultura in cui si è cresciuti. La ‘fisiologia dell’ascolto’ precede l’estetica dell’ascolto, e rende superflua ogni metafisica musicale di fondo. Anche i musicisti del sei-settecento lo avevano ben compreso; non avrebbero altrimenti elaborato quelle regole tecniche tutt’ora in uso in Occidente.
Il fatto sorprendente è che anche i primati (come ulteriore somiglianza ai tratti umani) dimostrano una certa dimestichezza con l’universo sonoro, ben oltre la semplice vocalizzazione; e compiono precise scelte di fronte al materiale che viene loro proposto, anche se sembrano non avere un vero e proprio ‘gusto musicale’.
Certo, l’interpretazione materialista evoluzionista non risolve alcune difficoltà. Come spiegare, ad esempio, perché il fare musica o ascoltarla siano attività onnipresenti nella nostra vita, pur se apparentemente slegate da ogni fine pratico? Semplicemente perché fonti di gratificazione? La risposta potrebbe venire dagli studi di neuroimmagine funzionale che fin qui hanno mostrato come la musica attivi specifici circuiti neuronali che sono comuni ai meccanismi di motivazione e ricompensa (legati ad esempio all’alimentazione ed al sesso) che verrebbero utilizzati per garantire la sopravvivenza dell’individuo.
Dopo avere brillantemente esposto le basi neurofisiologiche della propensione dell’uomo verso la musica, la Bencivelli non è ovviamente in grado di proporre una risposta definitiva al quesito sul perchè all’uomo piaccia tanto la musica, giacché ciò non è ancora pienamente comprensibile; ma quanto ci illustra, con linguaggio mediamente accessibile, si dimostra sufficiente a demitizzare, e dunque anche sottrarre al metafisico, un altro brandello dell’universo umano. L’atteggiamento pratico, che se ne può trarre, è di godere senza troppi perché dei prodotti di quest’arte.

Francesco D’Alpa

Pubblicato su: "L'Ateo" n. 53 (5/2007)