Dobbiamo fare più figli?

Negli anni settanta, in “La vasca di Archimede”, Piero Angela illustrava, condividendole in pieno, le risultanze del ‘Rapporto Meadows’ del 1972 sui “Limiti della crescita”. Secondo questo studio, commissionato dal neonato ‘Club di Roma’ al Massachusetts Institute of Technology, non si può pensare ad una crescita indefinita della popolazione mondiale, visto che il nostro pianeta ha scarse risorse e limiti finiti; il tessuto ecologico del pianeta Terra va obbligatoriamente considerato come un unico sistema, i cui diversi settori sono assolutamente interdipendenti; ogni spinta o cedimento in una qualsiasi parte del sistema determina effetti su larga scala; lo sfruttamento crescente dell’energia e delle materie prime, che determina un progressivo calo della loro disponibilità, non appare più compatibile con l’equilibrio del pianeta (e secondo un successivo rapporto del ‘Club di Roma’, la capacità di carico del pianeta sarebbe già stata superata nel 1992). Al punto cui siamo arrivati, neanche un massiccio recupero delle materie prime porterebbe ad un qualche sollievo, perché il continuo aumento della popolazione impone la messa in campo di nuove materie prime, aggravando i problemi.
Per ribaltare le pessimistiche previsioni sul futuro della terra e della società umana, occorre dunque, scriveva Angela, modificare le dinamiche in atto, e soprattutto occorre cambiare il nostro stile di vita, “utilizzare bene le ricchezze materiali e mentali di cui disponiamo per costruirci una buona vita e un buon futuro”. Ideali nobili, condivisi dai movimenti ecologisti di fine secolo, che non hanno trovato purtroppo adeguate risposte nelle più importanti conferenze internazionali, come quelle di Stoccolma (1972), di Rio (1992) e di Kyoto (1997).

Trenta anni dopo, in assenza degli auspicati correttivi, molte delle pessimistiche previsioni del ‘Rapporto Meadows’ si sono in buona parte avverate: l’inquinamento e la carenza alimentare si aggravano giorno dopo giorno; e sono perfino scoppiate le prime rivolte alimentari su larga scala. Nonostante ciò, secondo i gruppi anticatastrofisti, quella del rapporto era più o meno un’impostura, costruita ad arte per salvaguardare il sistema occidentale capitalistico e mantenere le disparità con il terzo mondo, costretto invece a frenare la sua crescita demografica ed a rinunciare alle sue aspirazioni ad un benessere di tipo occidentale.
Ma ecco che Piero Angela e Lorenzo Pinna (senza più citare il ‘Club di Roma’) tornano sul tema, o almeno su una parte di esso, con il loro “Perché dobbiamo fare più figli”, individuando nel crollo delle nascite in Italia (e nell’Occidente in genere) un elemento di forte crisi sociale, una “distorsione pericolosa” che ha il suo punto nodale nel troppo rapido aumento del rapporto fra popolazione passiva e popolazione attiva, con allarmanti conseguenze in particolare nell’ambito del sistema pensionistico. Se dunque vogliamo evitare l’implosione del nostro sistema sociale non solo possiamo ma addirittura dobbiamo necessariamente fare più figli (oltre che lavorare in modo più efficiente). In sostanza, possiamo continuare a moltiplicarci.
Viste le premesse, a qualcuno potrà sembrare una scelta condivisibile; che però sconfessa pressoché in toto le tesi ‘scientifiche’ già sostenute da Angela quando, oltretutto, il problema demografico globale era meno grave.

A ben vedere, la odierna ricetta “demografica” proposta per risolvere la sopravveniente crisi del sistema sociale italiano ricalca uno dei metodi fallimentari già individuati (nella sua ‘dinamica dei sistemi’) da Jay Forrester, e ripresi proprio nel rapporto del ‘Club di Roma’: risolvere singoli problemi con interventi settoriali in apparenza efficaci, ma che innescano nel lungo periodo una spirale negativa di eventi, con conseguenze peggiorative sull’intero sistema. Tanto per fare un esempio, la costruzione di strade e parcheggi per risolvere i problemi di traffico dei centri urbani, produce inevitabilmente un ulteriore aggravio di traffico. Se, in modo analogo, cerchiamo di tamponare alcune emergenze (intensificando le colture, costruendo più centrali elettriche, estraendo più materie prime dal sottosuolo) fra qualche anno si ripresenteranno gli stessi problemi, ingigantiti dall’inevitabile sopravvenuta crescita demografica e dall’aumentato tenore di vita di quelle popolazioni che fino ad oggi consumano di meno (in pratica, se oggi salviamo un abitante del terzo mondo dalla fame, domani ne moriranno due o tre per lo stesso motivo).
Come effetto della crescita della popolazione totale del pianeta, della produzione industriale, dello sfruttamento delle risorse, del consumo di cibo e dell’inquinamento, secondo il ‘Rapporto Meadows’, il nostro pianeta  è destinato al collasso in poche generazioni; infatti, nessuno sa oggi come si potrà ad esempio provvedere alle necessità alimentari di 10 o 12 miliardi di persone. Secondo le tesi accolte in “La vasca di Archimede” questo problema va affrontato globalmente, tenendo presente che ogni beneficio in un punto si paga sempre con uno scompenso in un altro, e che i programmi di sviluppo basati su concetti come democrazia, giustizia sociale, uguaglianza e libertà sono di fatto incompatibili con l’ecosistema che dovrebbe esprimerli. È dunque assolutamente prioritario fermare l’aumento degli abitanti del pianeta, provvedendo poi a ridurne il numero; solo in questo modo eviteremo di compromettere gravemente la qualità di vita. Se queste sono le proiezioni degli esperti, e questo il fondamentale rimedio, la sua attuazione pratica richiede che nelle famiglie si comprenda (direttamente o indirettamente) l’urgenza di limitare le nascite, anche come dovere morale (“tanto evidente, che non varrebbe neanche la pena di soffermarvisi”), superando i nobili ma oramai anacronistici concetti di “intangibilità e sacralità della singola vita”, per approdare ad un più adeguato principio di “sacralità della vita della specie”, da salvaguardare ricorrendo ai contraccettivi ed all’aborto, ritenuti mezzi ‘morali’ a confronto con l’immoralità del degrado del pianeta.
Limitare le nascite ed azzerare la crescita demografica sembrava in sostanza qualche decennio fa molto più importante ed efficace che non inventare nuove macchine per soddisfare una richiesta crescente di risorse che a sua volta determinerebbe una ulteriore crescita demografica.

Per questo mi sembra che oggi si possa parlare di vera e propria metamorfosi del pensiero di uno degli autori più amati e rispettati dal pubblico italiano, ma anche criticato fino a qui per il suo materialismo di fondo. La sua attuale analisi sconfessa le tesi precedenti, privilegiando una sconfortante analisi degli effetti negativi della bassa natalità rispetto all’allarme per gli aspetti nefasti della alta natalità. Pur mantenendo un approccio ‘razionale’, ed evitando possibili accostamenti con le passate politiche demografiche di regime, egli sembra purtroppo strizzare l’occhio verso chi magnifica artatamente il ‘valore aggiunto’ della maternità
Si potrebbe sostenere che la proposta attuale di Angela e Pinna sia ispirata ad una nuova consapevolezza dei problemi reali. Ma il ‘Club di Roma’, tre decenni dopo il primo rapporto, sostiene ancora le sue tesi originarie (in particolare quelle demografiche), sia pure anteponendo il problema della degradazione dell'ambiente a quello dell'esaurimento delle risorse. Paradossalmente, infatti, nelle società occidentali è perfino divenuto necessario incrementare la produzione di merci e consumare più del necessario, pur di mantenere la crescita dell’economia di mercato, con tutti i suoi nefasti risvolti ambientali.
Ma secondo Angela e Pinna l’accento un tempo posto sulla crescita numerica della popolazione va ora spostato sulla sostenibilità dello sviluppo e, di conseguenza, sull’impatto tecnologico; ed occorre avere fiducia nel fatto che la tecnologia possa risolvere o comunque attenuare i problemi, in un momento storico nel quale le previsioni nefaste del secolo scorso sono tuttaltro che realizzate. È invece divenuto prioritario affrontare i rischi strutturali cui stiamo andando incontro nel mondo lavorativo e nell’ambito pensionistico e riflettere sul pericolo concreto che l’aumento degli immigrati e la loro maggiore natalità sovvertano radicalmente gli attuali rapporti di convivenza più o meno pacifica. Dunque, considerato il pianeta nel suo complesso, i nostri autori sembrerebbero preoccupati più per la temuta scomparsa o la messa in minoranza dell’uomo bianco che per il benessere dell’umanità nel suo complesso, anche se con qualche riserva morale in più di ieri: per il terzo mondo viene infatti proposta la soluzione degli anticoncezionali ma non quella dell’aborto, ritenuta moralmente accettabile in passato. Senza contare, si sostiene ancora, che i paesi poveri verranno alla  fine penalizzati dall’emigrazione dei più giovani, che il multiculturalismo è fino a qui fallito, e che l’immigrazione non risolve comunque fra di noi l'emergenza determinata dal crollo delle nascite e dalla crisi della famiglia. Per cui le nostre famiglie vanno aiutate adeguatamente; una argomentazione fin troppo prossima al campo dei politici devoti, nel quale l’allarme è suonato da un pezzo ed è chiaro ad esempio nelle parole di Ferdinando Casini: "Gli italiani fanno pochi figli, è una grande questione politica e civile, tra qualche anno nelle nostre scuole andranno solo ragazzi extracomunitari, perché noi non avremo italiani da mandare; dobbiamo fare più figli e aiutare anche la madre in diversi momenti della sua vita". Per non parlare del numero crescente di quanti ritengono ‘sic et sempliciter’ che non possiamo accogliere nel nostro paese tutti i negri, i rom e i delinquenti di ogni parte del mondo, molti dei quali terroristi e pure musulmani; giacché verrà pure il momento di porre un limite alla virtù cristiana della pietà e dell’accoglienza!

L’appello di Angela e Pinna è stato ovviamente accolto a braccia aperta dalla chiesa cattolica e dalle sue quinte colonne. Piero Angela è personaggio familiare e credibile, con il solo torto di sposare molte posizioni care all’ateismo (a partire dall’evoluzionismo), anche se non palesemente anticlericali. Ma nel momento in cui sottoscrive un forte e chiaro ‘moltiplicatevi’ diviene provvidenzialmente funzionale alle posizioni cattoliche (da qui il plauso di ‘Avvenire’ e ‘Famiglia cristiana’).
Il suo outing pro-life avrebbe infatti valore doppio, in quanto ateo redento a miglior causa. Tanto più che la chiesa cattolica attualmente non si limita più a stigmatizzare la ‘chiusura alla vita’, ma direttamente ‘impone’ di fare più figli. Assistiamo così alla singolare convergenza (direi meglio, all’impropria alleanza) fra un pensiero religioso, che non pone limiti alla crescita e sostiene ad ogni costo il principio di sacralità della vita, ed un pensiero spregiudicatamente utilitarista. Ma le preoccupazioni per la specie umana e per l’eco-sistema terra dove sono finite? Dov’è finita la scelta in favore della specie e contro il singolo?
Se l’attuale soluzione di Angela e Pinna fosse seguita a livello di singole nazioni occidentali, e quella più generale espressa nel ‘Rapporto Meadows’ rimanesse vincolante a livello planetario, il controllo delle nascite auspicato dal neo-malthusiani andrebbe dunque effettuato nei paesi a più alta natalità e maggiore indigenza. Ma su questo punto la posizione dei nostri autori è alquanto defilata, ladove la predicazione cattolica è pregiudizialmente ostile ad ogni controllo delle nascite; così le due proposte di fatto convergono, con tutto quello che ne consegue.
Questo volume non può certo essere considerato rappresentativo delle posizioni laiche; sembra infatti esprimere (inusualmente per gli autori) una valutazione abbastanza personale; nè lancia proposte radicalmente alternative. Ad esempio, anche se la prima emergenza fosse davvero l’aumento percentuale degli anziani, forse sarebbe il caso di ridurre subito drasticamente le nascite, almeno per un paio di generazioni, nell’attesa che l’aumentato numero di morti riequilibri i rapporti generazionali, piuttosto che immettere irresponsabilmente nuovi nati nel sistema; una scelta certamente dolorosa, ma alla lunga forse l’unica vincente, a patto che la si scelga universalmente.

“Una delle deformazioni più gravi e più evidenti del nostro eco-sistema è naturalmente l’aumento incontrollato della popolazione. Era inevitabile che premendo un certo numero di tasti tecnologici (senza inserire i giusti contrappesi) uscisse fuori, automaticamente, un flusso crescente di abitanti della terra. In base al principio di Archimede il livello dell’acqua si è alzato sempre di più e ora ha cominciato a debordare. Continuando di questo passo tutta la vasca sarà riempita di omini e non resterà neppure più un goccio d’acqua”.
“…anche se si riuscisse a operare il miracolo di riequilibrare l’eco-sistema, per quale ragione dovremmo continuare in questa espansione demografica insensata? In nome di che cosa? Lo sviluppo degli uomini deve essere proprio di quantità e non di qualità?”
“In queste condizioni è quindi estremamente urgente che tutto il nostro impegno culturale venga mobilitato per disinnescare la crescita demografica, cercando di capire quali sono oggi le ragioni e i meccanismi che la determinano e l’accompagnano”  (P. Angela: La vasca di Archimede, 1975)

 

Il racconto di ‘Genesi’ contiene l’invito o ordine esplicito “Crescete e moltiplicatevi”. Per gli antichi israeliti questa espressione ha un senso pratico, e riflette una preoccupazione tipicamente demografica, stante la assoluta mancanza di una credenza nella sopravvivenza individuale. Nel primo cristianesimo invece, accolto il concetto ellenistico di anima individuale, si attribuisce al precetto divino un senso diverso: la moltiplicazione degli uomini serve a completare l’opera di dio ed in particolare, secondo Agostino di Ippona, fino al raggiungimento del “numero degli eletti” (previsto in ‘Apocalisse’) che rimpiazzeranno gli angeli decaduti; raggiunto al più presto questo numero, non vi sarà più alcuna necessità di procreare. Il cristianesimo successivo dimentica però questa interpretazione e ripropone una crescita continua, non limitata al popolo eletto, giustificando dottrinalmente i tabù della contraccezione e della soppressione dell’embrione.

Francesco D’Alpa

Pubblicato su: "L'Ateo" n. 59 (5/2008)