Miracoli: fatti e misfatti 

(Editoriale)

“Se Cristo non è risorto, è vana dunque la nostra predicazione e vana è pure la vostra fede. Anzi diventerebbe manifesto che noi saremmo falsi testimoni di Dio…” (I Corinti, 15:14-15): con queste parole Paolo pone al centro della speranza cristiana ciò che (per lui e per tutti i credenti) ‘è’ al di fuori ed al di sopra della ‘comune esperienza’, e al tempo stesso ‘è’ un segno del soprannaturale che opera nel mondo. Per questo motivo e per altre ragioni, da sempre, la predicazione cristiana da un lato ha celebrato miracoli e prodigi come prova oggettiva delle verità della fede; dall’altro ne ha messo in risalto l’elemento soggettivo riferendosi, come S. Agostino, a “tutto ciò che appare oltremodo difficile o insolito, che va al di là delle aspettative o delle facoltà di chi ne rimane sorpreso” (De utilitate credendi, XVI, 34: PL42,90).
Fra presunta oggettività (dominante nel passato) e inesplorabile soggettività (prevalente oggi) si dipana la storia dei miracoli e dei prodigi nel cristianesimo; una sterminata casistica in perenne rinnovamento, a misura dell’abbandono di antiche  certezze, rimpiazzate da sempre nuovi racconti di meraviglie apparentemente inesplicabili, oggi pressoché tutte sul piano medico.
Se un tempo erano le insufficienti conoscenze scientifiche a giustificare certi slanci, oggi a mantenere in voga il ‘miracoloso’ è più spesso l’insufficienza critica, o il bisogno di dare comunque un precostituito ‘senso’ a ciò che non si spiega con immediatezza: con tutti gli usi ed abusi che ne conseguono. Si ha infatti sempre una gran voglia di miracoli, come testimoniano gli strilli giornalistici e le adunate di fedeli acclamanti, davanti ad ogni stranezza che sappia di intervento soprannaturale. Anche l’antichità greco-romana, è vero, guardava al prodigio: ma come ordinaria azione di un dio concreto, e non piuttosto come fatto oltre natura, da collocare nel metafisico.
Nonostante i lumi della modernità, la cultura popolare e la stessa cultura ‘dotta’ religiosa, continuano a nutrirsi e compiacersi delle proprie antiche radici, senza problemi di commistione con il magico ed il superstizioso: da qui la fede nelle reliquie (come la Sindone) ed il loro commercio, la partecipazione a quei riti paganeggianti che accompagno un presunto prodigio (come la liquefazione del sangue di S. Gennaro), i pellegrinaggi terapeutici ai santuari mariani.
Non si tratta, in molti casi, di semplice collocazione dell’immaginario nel contesto della teologia o semplicemente del folklore; quasi sempre, nei casi più eclatanti, è possibile ricostruire un preciso itinerario che parte da un fatto (vero, falso, presunto o frainteso che sia), ma che di esso si appropria stravolgendolo, modificandone la memoria, forzandolo, adattandolo a quanto al momento conviene, ‘pro bono fides’.

Francesco D’Alpa

Pubblicato su: "L'Ateo" n. 70 (4/2010)