Un’utile giornata contro le superstizioni, religione esclusa

Con una iniziativa nazionale e diverse manifestazioni locali, il CICAP ha lanciato, venerdi 17 luglio 2009, la sua “Prima giornata anti-superstizione”; un’occasione in più per sottolineare l’importanza di contrastare certe espressioni dell’irrazionalità e del pregiudizio.
I partecipanti ai vari eventi sono stati invitati a compiere alcuni controrituali liberatori, ad esempio: passare sotto una scala aperta, rompere uno specchio, versare del sale in terra, fare a pezzettini una lettera con la classica catena di sant’Antonio, aprire un ombrello
al chiuso. Buon successo di pubblico, ottima visibilità sui media, e promessa di repliche future.
Un plauso all’iniziativa, ovviamente, anche da parte dell’UAAR. Peccato, tuttavia, avere glissato sulla superstizione religiosa. D’altra parte, come ben sappiamo, è comune distinguere da parte dei credenti una ‘sana religiosità’ dalla superstizione ‘magica’ e da una certa superstizione ‘religiosa’, che comprenderebbe (nel cattolicesimo) solo alcuni aspetti della religiosità ‘popolare’. Ma l’origine stessa del termine dimostra l’inconsistenza di tale distinzione.
Per i romani, infatti, la ‘superstizio’ era qualcosa da disprezzare, ovvero la fede nella potenza soprannaturale di oggetti, gesti ed invocazioni, ritenuti atti a produrre effetti estranei o superiori alla causalità fisica naturale. Dunque per loro era superstizioso implorare le divinità con preghiere, doni e sacrifici a beneficio della propria vita o salute; ma erano superstizione anche l’esagerazione, il disordine, il superfluo rispetto alla comune religiosità.
In tempi a noi più vicini, atei e libertini hanno associato con decisione religione (intesa come documentata ideologia) e superstizione, descrivendo di conseguenza la storia delle religioni come storia naturale delle superstizioni, parallela e contrapposta alla storia delle scienze naturali.
La Chiesa Cattolica, a suo tempo, ha invece stravolto a proprio beneficio il concetto originario, riservando il termine a quelli che essa ritiene ‘falsi culti’, o ‘pratiche religiose indebite’: ed ha così tolto dal calderone delle superstizioni più o meno tutte le proprie pratiche, anatemizzando nel contempo quelle spesso del tutto analoghe (vedi ad esempio il battesimo) di altri culti.
Tommaso d’Aquino riteneva  superstizione ogni credenza soprannaturale estranea al cristianesimo; e per lui essere superstizioni equivaleva a relazionarsi con il demonio. Il Catechismo del 1997, tace sul demonio, ma pretende ancora di distinguere la ‘vera’ religione dalle pratiche superstiziose, sentenziando che:  [n. 2111] “La superstizione è la deviazione del sentimento religioso e delle pratiche che esso impone. Può anche presentarsi mascherata sotto il culto che rendiamo al vero Dio, per esempio, quando si attribuisce un'importanza in qualche misura magica a certe pratiche, peraltro legittime o necessarie. Attribuire alla sola materialità delle preghiere o dei segni sacramentali la loro efficacia, prescindendo dalle disposizioni interiori che richiedono, è cadere nella superstizione [Cf Mt 23,16-22 ].”
Qualunque descrizione attuale della superstizione da parte dei credenti, che miri a distinguerla dalla ‘normale’ religiosità, traduce dunque questi pregiudizi in una opportuna formula applicativa. Così, per i cristiani, non è superstizioso farsi il segno della croce entrando in chiesa, o passando davanti all’altare; nè recitare giaculatorie davanti ad un edicola votiva,  appendere ramoscelli d’ulivo al capezzale, usare il sale nel battesimo, immergersi nelle piscine miracolose, astenersi dalla carne il venerdì, e così via. Mentre è superstizioso appendere ferri da cavallo ed amuleti, fare cerchi col fuoco e quant’altro derivante dalle culture pagane.
A chi vuole essere assolutamente razionale tutto ciò ovviamente non appare coerente. Per  noi dell’UAAR occorre partire dall’assunto che è superstizione ogni attribuzione a cause soprannaturali (a Dio, ai santi, agli spiriti), o altrimenti definite ‘paranormali’, ciò che piuttosto appare spiegabili scientificamente. ‘Sacro’ e ‘profano’ in ciò si sovrappongono; non a caso, molte pratiche religiose cattoliche un tempo ritenute legittime oggi sono bollate come superstizione, e viceversa simboli e pratiche pagani un tempo ritenuti superstiziosi ora fanno parte a pieno titolo dei rituali cattolici.
L’ambito di inclusione delle credenze e delle pratiche superstiziose è certamente differente se si utilizza un approccio da ‘credente’ o uno libero da pregiudizi; ma se vale quest’ultimo, non ha senso, e non è metodologicamente corretto, guardare da una sola parte.

Francesco D’Alpa

Pubblicato su: www.uaar.it (24 luglio 2009)