Omeopatia: dubbi dalla medicina ufficiale

Non è agevole condensare in un breve intervento alcune fra le obiezioni, vecchie e nuove, all'omeopatia. Le parole di uno scettico rischiano di essere tacciate se non di arrogante compiacenza al modello scientifico dominante, almeno di presunzione nel volere parlare di cose male conosciute e comprese, o lette solo per sommi capi. Ammetto la personale limitata preparazione, ma confido molto in quanto affermato da voci ben più autorevoli, sottolineando anche come molte critiche siano comunque presenti, a volte tra le righe, nella stessa letteratura di parte omeopatica.

Accostarsi alla medicina omeopatica pone al medico formatosi nell'ambito delle scuole ufficiali, ma che voglia confrontarsi con questo mondo assolutamente estraneo al curriculum universitario, una serie di difficoltà. Mentre la medicina appresa nel corso di laurea si presenta come un insieme complesso di conoscenze, profondamente e continuamente rinnovantesi, a ritmi sempre più frenetici, l'omeopatia appare dall'esterno innanzitutto come un rigido corpo dottrinario, saldamente ancorato all'impostazione "fondante" di Hahnemann. I principi dell'omeopatia restano i principi da lui stabiliti e nessuna scuola omeopatica può definirsi veramente tale se non vi fa riferimento: fatto assolutamente in controtendenza con il procedere delle scienze biologiche.

Il "verbo" di Hahnemann ha conosciuto nel tempo contestazioni e corruzioni, e molte sue versioni si contendono attualmente la ribalta. Fatti salvi i principi generali (fra i quali la legge dei simili ed il principio dell'azione dinamica dei rimedi), la creatura di Hahnemann ha subito rimaneggiamenti, deviazioni, indispensabili correzioni, il tutto però senza mettere in discussione quanto, agli occhi di uno scettico, ha acquisito la consistenza di dogma. E se è vero che queste tante omeopatie pongono già ai loro praticanti problemi di reciproca convivenza, quanti ulteriori problemi non pongono a chi voglia identificare una definita controparte con cui confrontarsi?

Sconcerta ancor più una certa "immagine" mercantile: il crescere di una omeopatia da banco, pubblicizzata come semplice, rapida e sicura soluzione fai da te ai problemi della salute, dai banali disturbi stagionali ai più tormentosi malanni cronici, o anche (maliziosamente, direi) orientata alla promessa di uno stato di maggiore benessere individuale, ambito nel quale l'omeopatia si affianca ad altre pratiche alternative. La prescrizione dei medici omeopatici è poi così personale (per diluzione dei rimedi, dosi e tempi) da sembrare irrilevante ai fini curativi.

Tutto ciò confonde lo scettico e non resta estraneo alla responsabile riflessione dei colleghi medici omeopati. Sorprendentemente, tuttavia, nessuna revisione sembra toccare i concetti cardine; viste dall'esterno, le dispute fra scuole omeopatiche, non sembrano orientate a determinare quale fra due atteggiamenti aderisca di più all'evidenza clinica, ma quale si avvicini maggiormente all'impostazione di Hahnemann.

Fra le tante perplessità sull'opera di Hahnemann c'è quella sulla base sperimentale delle sue affermazioni: esse derivano da una congrua ricerca, o sono in gran parte solo speculazioni teoriche? in pratica, nel suo sistema c'è più filosofia o più scienza?

Il dubbio è venuto a molti, anche fra gli omeopati. Tanto per fare un esempio, quanti sono stati i provings effettivamente compiuti da Hahnemann e dai suoi collaboratori? quanti di questi sono accettabili metodologicamente? e quante e quali sperimentazioni sono state realizzate per convalidare clinicamente l’efficacia del rimedio scelto in base al proving?

La dottrina omeopatica originaria è vicina a tutto l'ampio spettro delle altre medicine non convenzionali, dalla chiropratica alla medicina tradizionale cinese, a quella ayurvedica, alla naturopatia. Questi sistemi hanno evidenti radici in epoche prescientifiche; hanno in comune molti principi, fra cui è fondamentale quello dell'analogia; sono stati sviluppati con procedimenti intuitivi o induttivi; sono in evidente difficoltà nel dimostrare una reale efficacia terapeutica; sono nettamente sopravanzati dalla medicina scientifica, che è per molti versi controintuitiva come molti altri aspetti della scienza moderna.

Il procedimento induttivo continua comunque ad ispirare la pratica degli omeopati attuali, ed orienta la valutazione dei provings. A dispetto della mancanza di studi convincenti sull'efficacia clinica dei singoli rimedi omeopatici, questi vengono prescritti in linea col principio dei simili, presupponendo dunque l'applicabilità assoluta di principi di carattere generale.

Stranamente, la contestazione della validità dei principi di carattere generale viene usata come argomento degli omeopati contro la scienza accademica. Un esempio per tutti: la presunta memoria dell'acqua, la cui spiegazione necessita la postulazione di variazioni nelle proprietà della materia in relazione allo stato del sistema; se si ammette la possibilità di questo tipo di "aberrazioni" rispetto alle dottrine scientifiche correnti, ben più si dovrebbe ammetterne la possibilità nell'ambito dei sistemi viventi, con ampie eccezioni al principio dei simili.

Il mito dell'olismo è diventato sempre più un elemento in primo piano e qualificante nell'immagine che il mondo dell'omeopatia dà di sé. È facile contestare la medicina pratica dei nostri tempi, fatta da operatori spesso sottratti ad un adeguato contatto con il paziente e con la sua malattia, da fretta e adempimenti burocratici, ma non è altrettanto credibile contestare alla medicina scientifica di essersi colpevolmente disinteressata della totalità dell'essere umano.

La medicina scientifica si è differenziata dalle pratiche mediche religiose e magiche proprio operando uno sforzo di separazione fra livello di funzionamento organico e strutture mentali e sociali lasciando ampi spazi operativi ad altri ambiti di intervento, come quello delle religioni, che hanno felicemente convissuto per secoli con la pratica medica ippocratica. Resta inoltre ampiamente da valutare fino a che punto il richiamo all'olismo sia oggi una necessità interna alla "scienza della guarigione e del benessere" o se questa spinta derivi dal dovere sopperire con un intervento, apparentemente ma non solo medico, al crollo dei sostegni della fede religiosa e dei vari credo sociali.

La Psiconeuroimmunologia dimostra indubbiamente la presenza di uno stretto legame fra sistema endocrino, sistema immunitario e psiche, e questo, secondo gli omeopati, conferma l'impostazione che, da sempre, si sarebbe data l'omeopatia. Ma il sistema endocrino e quello immunitario sono stati scoperti molti decenni dopo la nascita dell'omeopatia e compresi oltre un secolo dopo, ed il merito di questa scoperta è tutto della medicina scientifica. L'omeopatia ha peraltro utilizzato le conoscenze scientifiche per cercare di spiegare certi suoi assiomi; ma quali fra questi sono originali? L'unità psicofisica dell'individuo è un presupposto di tutte le medicine prescientifiche; in cosa l'omeopatia avrebbe fatto compiere un passo avanti a questo concetto, e quale apporto di comprensione avrebbe potuto dare senza il corpo di conoscenze della medicina scientifica? L'esistenza di un sistema immunitario e di un sistema endocrino rafforzano piuttosto, a mio modo di vedere, quell'immagine di macchina complessa che ha acquisito il corpo umano agli occhi della scienza materialista, laddove l'omeopatia si era tradizionalmente rivolta a non dimostrate strutture sovramateriali.

Sul piano strettamente biologico, non credo riduttivo sintetizzare che l'omeopatia, sostanzialmente, non si proponga altro che di cercare di riequilibrare (che ciò avvenga per effetto suggestivo o per altra via, poco importa) lo stato di salute e dunque la naturale capacità di risposta (ammesso che esista, in specifiche condizioni morbose) dell'organismo, e che solo a questa può fare riferimento la speranza di guarigione del paziente, laddove la medicina convenzionale è capace, in molte condizioni, di opporsi direttamente all'agente patogeno.

Dal punto di vista clinico, l'opposizione fra medicina scientifica e omeopatia potrebbe essere ricondotta ad una serie di reciproci pregiudizi: i medici di ciascuna delle due parti tenderebbero infatti a leggere gli incerti risultati delle casistiche e delle sperimentazioni in base al proprio punto di vista. Ciò deve fare riflettere sul significato che si vuole dare alla definizione "medicina basata sulle evidenze": certamente l'evidenza cui si riferiscono gli omeopati non è pari, per gli oppositori, ad un "chiaro" effetto.

Poiché due secoli di scienza "ufficiale" hanno costantemente rifiutato di convalidare le presunte acquisizioni dell'omeopatia, gli omeopati ostentano diffidenza verso il metodo scientifico. Ma è difficile contestare l'interminabile serie di benefici che ne sono derivati. Per questo occorre identificare un dominio entro il quale le presunte leggi dell'omeopatia funzionino: insieme, e non contro, alle leggi della fisica e della chimica.

Lo scopo dichiarato di molti testi recenti di omeopati è proprio quello di "tradurre in termini moderni le basi dell'omeopatia ed il suo messaggio scientifico". In questi testi si dà per assodato che dal punto di vista clinico l'omeopatia funzioni (ormai da due secoli) nel modo verificato e codificato una volta per tutte da Hahnemann, e che il solo limite reale dell'omeopatia sia la incapacità di dimostrarne (finora) il meccanismo d'azione.

D’accordo, ma solo in parte. Se è vero che l'obbiettivo fondamentale del medico e della medicina è quello di affrontare la malattia riportando l'individuo alla salute ed al benessere, l'omeopatia sarebbe comunque accettata dalla comunità scientifica se solo riuscisse a dimostrare inequivocabilmente la sua efficacia. Ma della casistica omeopatica vengono solitamente contestati molti limiti: la presentazione in genere di pochi o singoli casi; la mancanza di gruppi di controllo; le valutazioni qualitative più che quantitative, e soggettive più che oggettive. Limiti, d'altra parte, posti spesso in evidenza dagli stessi omeopati. Pochi lavori metodologicamente corretti, che al più dimostrano solo una possibile differenza fra il rimedio ed il placebo, costituiscono un ben misero contributo, se si pensa a quanto è, ed è stata, diffusa la pratica dell'omeopatia. Su che basi è stata allora costruita questa immagine di efficacia, per centinaia o migliaia di preparazioni omeopatiche?

La situazione presente dell'omeopatia appare allora, agli occhi degli scettici, questa: dopo quasi due secoli, non si è ancora in grado di dimostrare inequivocabilmente che un singolo rimedio omeopatico funzioni in una determinata situazione clinica. Gli omeopati debbono convenire che ogni loro convinzione sull'efficacia dei propri rimedi poggia evidentemente sull'esperienza personale (potenzialmente ingannevole) e sulla fiducia in quella dei propri colleghi.

L'impressione di molti scettci è dunque quella che il ricorso alla medicina omeopatica avvenga prevalentemente sulla base di una speranza, piuttosto che sulla credibile aspettativa di un risultato favorevole. Ma capita di leggere anche giudizi più severi. Secondo taluni, spogliata da tutto ciò che essa comunque utilizza della medicina scientifica, dalla semiologia clinica e strumentale alla nosografia, la pratica strettamente omeopatica appare così priva di evidenza, così arcana nelle sue giustificazioni e così condizionata dalle aspettative del paziente e dalla relazione terapeutica che la si può accostare alla magia bianca.

Il dibattito fra negatori e sostenitori della validità della medicina omeopatica si sviluppa per lo più intorno a due domande chiave: (a) la medicina omeopatica è scientifica? e (b) la medicina omeopatica è efficace? Nel caso si dimostri che è efficace ci si può chiedere (c) come agisce?

Ogni tentativo di unificare i due primi quesiti, ad esempio chiedendosi se è possibile dimostrarne oggettivamente l'efficacia, si è sempre infranto contro un muro di obiezioni da parte degli omeopati, costantemente orientati a dare maggiore valore all'esperienza clinica personale.

Di fatto il maggiore vanto dell'omeopatia è la sua crescente diffusione ed il gradimento da parte del pubblico. Se questa cosiddetta prova avesse valore, allora bisognerebbe prendere atto che la maggior parte delle medicine alternative è allo stesso modo valida, poiché tutte conoscono un'analoga crescita di consensi.

Ma come agirebbe l'omeopatia, anche ammesso che se ne dimostri l'efficacia? Qui il pensiero degli omeopati brancola nel buio, in una attesa speranzosa (a distanza di due secoli dalla "intuizione" di Hahnemann e dopo avere compreso tante di quelle cose che nessun uomo ai tempi del medico tedesco avrebbe mai pensato di potere conoscere) che "ulteriori studi di fisica (teorica ed applicata) individuino l'eventuale presenza nelle soluzioni ultradiluite di particolari strutture o energie che possano spiegare un effetto biologico".

Con una di quelle che sembrano, allo sguardo dello scettico, palesi contraddizioni, l'omeopatia è largamente praticata in autoprescrizione nel caso di patologie minori. Due elementi favoriscono questa scelta compiuta quotidianamente da milioni di persone: l'ampia pubblicizzazione, su riviste a larga diffusione, di specifici rimedi, preparazioni standard mirate a precisi quadri morbosi e la convinzione che nessun rimedio omeopatico può avere effetti nocivi sulla salute.

Da una parte abbiamo così lo scrupoloso medico omeopatico che si attarda non solo a collezionare, nel corso della visita, i sintomi e segni fisici del paziente, ma anche ad esplorarne i suoi aspetti mentali, emozionali e relazionali, al fine di scegliere con la maggiore accuratezza possibile il suo "simillimum"; dall'altra vi è il paziente che sceglie da sé (o aiutato dal farmacista dopo un breve colloquio) il suo rimedio sulla base di una diagnosi medica convenzionale o peggio di una sintomatologia generica. Stranamente, visto il gradimento del pubblico, tutte e due le forme di intervento sembrano funzionare: merito di chi e di cosa?

Essendo fondamentalmente l'omeopatia una pratica derivata da pochi rigidi principi, non è strano che molte delle sue spiegazioni siano costruite al fine di confermare le idee fondanti piuttosto che per spiegare i fatti osservati. Un esempio può essere quello del cosiddetto aggravamento terapeutico. La teoria prevede che esso ci sia sempre, perché, essendo la malattia una reazione dell'organismo, l'accentuazione dei sintomi non può che confermare la maggiore attivazione dell'energia difensiva dell'organismo. Si da il caso, però, che dopo la somministrazione del rimedio, certe volte i sintomi vadano attenuandosi ed altre volte si accentuino. Come spiegare questo comportamento contrastante?

Gli omeopati usano affermare tradizionalmente che l'aggravamento terapeutico si verifichi sempre, pur potendo essere impercettibile nel singolo caso, e che ciò non ne modifichi il significato. All'altro estremo si situa il caso dell'accentuazione vistosa dei sintomi, che ci si può attendere però anche nell'evoluzione naturale della malattia.

Quando un omeopata cerca di darsi ragione dell'inefficacia di un rimedio, trova facilmente un colpevole: la scelta erronea del simillimum, difficile da identificare, per il particolare terreno costituzionale del paziente, o al limite perché la preparazione omeopatica potrebbe non avere, per vari motivi (diversa origine del rimedio, modalità di preparazione, etc) , esattamente le caratteristiche previste. Insomma, se qualcosa non funziona è sempre più conveniente sostenere che non esistevano i presupposti affinchè funzionasse, piuttosto che riconoscere che è erroneo il principio a monte della scelta.

Riguardo alla capacità di reazione dell'organismo (cioè alla sua "forza vitale") gli omeopati sostengono che in certi casi questa capacità sia così ridotta, specialmente dopo un infruttuoso intervento "allopatico", che il rimedio omeopatico non possa agire nel modo che gli sarebbe proprio. Anche questa sembra una giustificazione ad hoc, comune a molte delle medicine cosiddette naturali. Fra l'altro, poiché tutti noi, in un momento o nell'altro della vita, abbiamo fatto ricorso ad un qualche farmaco e, cosa ancor più importante, siamo stati sottoposti a vaccinazioni, è logico, secondo la maggior parte delle medicine alternative, che la nostra capacità di reazione sia sempre in qualche modo turbata.

Pur condividendo di fatto la fisiopatologia e la nosologia della medicina convenzionale, la medicina omeopatica pretende una differente modalità valutativa dei propri risultati, che ne rispetti principi e metodiche. La valutazione dell'efficacia dei trattamenti dovrebbe ad esempio prendere a riferimento la "legge di guarigione di Hering", anche se per essa a tutt'oggi non è stato presentato un modello sperimentale valido.

L'obiezione, da parte scettica, dell'indimostrabilità con i criteri scientifici convenzionali va oltre le semplici contestazioni sull'efficacia dei singoli rimedi, e mina alle fondamenta tutto il sistema di Hahnemann. Se è pressoché impossibile verificare la differenza fra l'eventuale effetto curativo di un rimedio omeopatico e quello placebo, come poté allora Hahnemann concepire e convalidare clinicamente, con una congrua casistica, le sue intuizioni? La documentazione a disposizione degli storici è in questo piuttosto lacunosa.

Accettando il confronto con i sostenitori delle medicine alternative, la medicina accademica (che poi dovrebbe essere l'unica medicina plausibile) impone a se stessa di uscire dalla sua indifferenza rinunciando anche a preclusioni ideologiche; ma anche gli omeopati debbono dimostrare di sapere fare autocritica.

L'omeopatia fa proseliti. Prima e dopo Hahnemann, a quanto pare, sembra che il mondo medico "ufficiale" sia andato, e vada, avanti in mezzo a grossolani errori, laddove egli avrebbe invece trovato la chiave di volta dell'armonia universale e spalancato, inascoltato e deriso dagli invidiosi scienziati accademici, le porte della salute, dell’equilibrio, e dunque della felicità terrena.

Ma la critica degli omeopati alla medicina convenzionale è anche un vero attacco contro quella scienza che crede di avere raggiunta una solida base epistemologica e procedurale. Ed il potere del ricorso al pubblico giudizio ha dunque effetti devastanti, perché mina alla base la fiducia della gente nella conoscenza, mentre le medicine non convenzionali non hanno ancora presentato alcuna praticabile proposta alternativa ai metodi oggettivi che si è data la scienza moderna.

Fuor di polemica, gli omeopati moderni sentono di avere accesso ad un patrimonio di conoscenze relativo ad un livello più profondo e "vero" dell'essere, che integra e completa il "limitato" approccio degli scettici e riduzionisti; pur non condividendo questa posizione, occorre comunque prenderne atto, procedendo nella strada del confronto, sempre in attesa di fatti e dati certi. Che la medicina scientifica abbia finalmente concesso un'apertura all'omeopatia, nel senso che accetta di confrontarsi con essa sul piano dei trials, non va al momento interpretato come una convalida, ma come segno di apertura del sistema.

Francesco D'Alpa


Relazione al Convegno "Omeopatia e ricerca scientifica".
Catania, 6 aprile 2002.