Cos’è l’uomo? Cosa ci rende umani?

di Francesco D’Alpa  (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.)

Pubblicato su L'ATEO  numero 1/2013

 

Grazie alle conoscenze sull’evoluzione dei viventi oggi conosciamo molto sulle origini dell’uomo. Ma cosa, durante questa lunga storia, ci ha reso veramente umani?

Le risposte sono molte, e coinvolgono vari ambiti del sapere. La più antica, in seno alla filosofia occidentale, pone l’enfasi sulla razionalità. E’ stato Aristotele a definire l’uomo ‘animale razionale’: tracciando un assoluto confine fra lui e l’animale; attribuendogli l’esclusiva di un qualcosa (ragione, parola, coscienza del bene e del male) che il secondo non possiederebbe in alcuna misura. Secondo la teologia cristiana questa razionalità appartiene all’anima immateriale; ma, prima di essa, la scienza greca aveva già intuito gli stretti legami fra il pensiero ed il cervello, ovvero l’organo che  oggi descriviamo, in prima approssimazione, come un meraviglioso supercomputer biologico: la cui capacità elaborativa supera qualunque macchina finora costruita; in grado di autoprogrammarsi, di variare la propria configurazione, di elaborare strategie adattandosi all’ambiente con cui interagisce, ma anche di autoripararsi.

L’uomo non è l’unico vivente a possedere un cervello, ed il suo non sembra in linea di massima granché diverso da quello degli animali più prossimi evolutivamente; ma qualcosa, presente solo in questo cervello umano, è il substrato del suo specifico ‘essere’. Individuarlo è lo scopo di molti attuali progetti nelle neuroscienze. Fra i tanti possiamo citare il Brain Observatory (la cosiddetta Biblioteca dei cervelli) che si propone di studiare approfonditamente in vivo (mediante test cognitivi, test psicologici e Risonanza Magnetica) il cervello di soggetti anziani che hanno accettato di donare post-mortem alla scienza questo loro prezioso organo, onde completarne lo studio con tecniche anatomo-istologiche. Si potranno così indagare, al massimo livello di complessità possibile, i nessi fra gli aspetti anatomo-funzionali del cervello e l’esperienza soggettiva dei donatori, permettendo di andare più a fondo, in particolare, nella comprensione di come l’esperienza modifichi la struttura cerebrale. Lo Human Brain Project si propone invece di costruire robot e supercomputer intelligenti, partendo proprio dalla ricerca di cosa rende così propriamente umano  il nostro cervello; ma anche di andare oltre, costruendo ‘protesi’ utili a renderlo ancora più versatile ed efficiente.

Cosa ha ‘umanizzato’ questo stupefacente organo? Abbiamo inequivocabilmente molto in comune con gli scimmioni che ci hanno preceduto nella linea evolutiva, ma ad un certo punto sono comparse caratteristiche che hanno dato una decisa svolta al processo dell’ominazione: maggiore massa cerebrale, abilità nel fabbricare strumenti, nascita del linguaggio, possibilità di pensiero simbolico (e forse anche di quello che approssimativamente viene definito ‘sentimento religioso’). Come ha fatto dunque l’uomo moderno a differenziarsi dalle tante specie di ominidi? Come oramai ben sappiamo, è soprattutto una questione di geni (ma anche di capacità di riorganizzare le connessioni fra le aree cerebrali: un processo non riconducibile ai geni). Con le scimmie abbiamo in comune la maggioranza del DNA (oltre il 98%) ed ancora di più con i neanderthaliani (uno degli ultimi rami ‘primitivi’ nel complesso cespuglio dell'evoluzione umana, ma già dotati anch’essi della capacità di costruire strumenti, di intelligenza discorsiva,  e portatori di almeno un gene implicato nella capacità di sviluppare la parola). Oggi sappiamo abbastanza bene come tutto ciò è avvenuto ed in quanto tempo. Basta chiedere al cosiddetto orologio molecolare, ovvero misurare la separazione temporale fra due individui appartenenti ad uno stesso ramo evolutivo contando le differenze fra i loro DNA (presupposto che le mutazioni del DNA, nucleare o mitocondriale, avvengano con un ritmo abbastanza costante nel tempo). E’ chiaro che, ad un certo punto, alcune di queste mutazioni hanno innescato una vera e propria rivoluzione nell’essere ‘animale’ consentendogli un balzo evolutivo senza precedenti, che ha cambiato radicalmente l’aspetto della biosfera. Esistono necessariamente geni specifici dell’essere umano; ma è fondamentale anche il modo in cui sono regolati (ovvero, quando e come svolgono la loro azione). Le più recenti ricerche sulla struttura e sulla funzione del DNA stanno rivelando l’importanza del DNA non codificante le proteine, le cui mutazioni (non avendo conseguenze importanti sulla struttura di elementi essenziali costitutivi dell’organismo) consentono l’apparire di nuovi caratteri morfologici e funzionali. La diversa regolazione genica (influenzata entro certi limiti dall’ambiente) rende anche ragione delle diversità fra individui che hanno apparentemente lo stesso patrimonio genetico di base; cosicché fra due uomini ‘moderni’ possono esservi in teoria altrettante differenze fenotipiche (ovvero nelle caratteristiche osservabili dell’organismo) quante fra un uomo ed il suo progenitore scimmia.

Una volta acquisita la moderna struttura, il cervello umano è divenuto capace di tutte le attività che sappiamo e sentiamo più squisitamente umane: pensiero astratto, elaborazione concettuale, linguaggio simbolico, lettura, scrittura, creatività. Tutto ciò ci ha reso veramente unici fra gli organismi viventi, in quanto ha permesso la nascita di una vera e propria cultura umana, con il suo patrimonio di conoscenze e le diverse arti espressive.

Ma l’elemento essenziale della specificità umana è probabilmente la coscienza. Comprenderne la natura e la sede rappresenta oggi il più ambizioso dei progetti. Come già più volte nella storia delle scienze, le speculazioni filosofiche sono utili a focalizzare il problema, ma le risposte fondamentali non possono venire che dalle neuroscienze. La coscienza è una entità sfuggente, frutto forse della organizzazione di specifiche reti neurali e dell’attività di un limitato numero di neuroni; una comunicazione ‘interna’ del cervello; una sorta di biofeedback che lo rende capace di ‘guardarsi’ mentre è in funzione. Non a caso l’estrema frontiera dell’informatica applicata alle neuroscienze è il progetto di costruire entità coscienti fatte di silicio o di altre sostanze diverse da quelle con le quali sono fatti i neuroni.

Nel differenziare lo specifico umano non va messo in second’ordine tutto ciò che appartiene al mondo dell’emotività (per lo meno nelle sue forme più elevate): capacità di ideali, di affetti, di sentimenti; che hanno un ruolo essenziale nella costruzione dei gruppi e delle società, così come nella strutturazione dei rapporti interpersonali e nella genesi del sentimento sociale. La religiosità, in particolare, ha da sempre attratto l’attenzione degli studiosi, in quanto fenomeno apparentemente peculiare della specie umana. In essa il fattore culturale trova probabilmente una importante base biologica, in particolari caratteristiche dei nostri processi mentali innati.  Secondo certe ricerche, ad esempio, mentre la capacità di trattare il mondo degli oggetti fisici è largamente condivisa con le altre specie, quella di trattare gli oggetti mentali è particolarmente sviluppata (o forse unica) nella mente umana. Ciò sarebbe alla base del cosiddetto ‘dualismo intuitivo’, ovvero la capacità di concepire corpi privi di menti e menti prive di corpo, che è alla base delle credenze negli dei, negli spiriti, nella vita dopo la morte.

Ciò non ha nulla a che vedere, ovviamente, con l’ipotesi di una specificità umana legata alla sua ascendenza divina, al suo status di ‘unica creatura fatta da Dio per se stesso’, come recitano le scritture sacre ebraico-cristiane. Infatti la visione scientifica e quella teologica dell’uomo, pur avendo alcuni importanti punti di convergenza (ad esempio, l’accento sul primato della razionalità), presentano soprattutto forti elementi di contrapposizione; primo far tutti il dogma teologico cristiano della caduta dell’uomo attuale dal suo modello progenitore. Infatti, quello che per la scienza è un insieme di continui cambiamenti, nella direzione che porta dal caos e dall’indifferenziato verso lo strutturato e la complessità, per il pensiero religioso è una sequenza di poche semplici tappe (fra l’altro in senso peggiorativo): dalla iniziale perfezione nel giardino dell’Eden al mondo attuale; una ipotesi fantasiosa quanto elementare (sia pure, ancora oggi per molti, convincente ed accattivante). La scienza va in altre direzioni ed ha ben altre certezze.