Editoriale

di Francesco D’Alpa

L’ATEO 2/2014

 

Visto che non me ne intendo (e dunque lascio ad altri il compito di introdurvi autorevolmente alla “Sociologia della laicità”), consentitemi, cari lettori, di bilanciare tanta laicità costruttiva con un poco di anticlericalismo puro, forse anche “ottocentesco” (come direbbero tanti uomini di chiesa): fra il serio ed il faceto. Meglio infatti “ucciderli con il riso”, come proponeva l’ottocentesco Leo Taxil [1], o aprire il vaso di Pandora delle incongruenze teologico-dottrinali? L’uno e l’altro, direi.

Natale è passato da un pezzo, ma ‘scripta manent’. Monsignor Bressa, vescovo di Trento, come se non bastassero i ricorrenti proclami contro i festeggiamenti ‘pagani’ di Hallowen, se l’è presa una volta di più con il profano Babbo Natale, al quale in buona sostanza verrebbe data troppa importanza . A suo avviso «anche le pastorali natalizie, i presepi, le rappresentazioni sceniche, la statuaria possono contribuire a creare un clima; lo stesso albero può essere messaggio di vita; ma non le leggende che nulla hanno a che fare con la nascita di Cristo: è inutile invocare potenze inesistenti. Sarà necessario invece prenderci del tempo per riflettere, per contemplare nel silenzio, per meglio comprendere quale grande dono è la fede» [2].

C’è da credere che la maggior parte dei cattolici si dichiari in linea (almeno in via teorica) con il vescovo di Trento. Ma nel mondo reale (prendiamo esempio da qualche commento all’articolo) la si pensa in tutt’altro modo; e lo si dichiara con sincerità, perfino con sfrontatezza: “Prendersela anche con Babbo Natale, poveraccio. Proprio i più grandi fautori di leggende come la chiesa vogliono insegnarci ciò che esiste o non esiste?”; “Mi ricorda molto il film ‘Religiolus’. Quando un fedele dice di non credere in Babbo Natale il regista risponde: ma certo, figuriamoci se un uomo riesce a scendere in tutti i camini portando regali in una sola notte. Uno che sente bisbigliare tutti contemporaneamente è molto più credibile”; “Dopo Halloween e Babbo Natale la prossima scomunica toccherà alla Fata Turchina e al Grillo Parlante? La Befana è salva o la bruciamo sul rogo? La Fata madrina di Cenerentola è compatibile o sarà dismessa anche lei? Rottamiamo le favole? Ma che vi siete fumati?"; “Bravo! Come dice il Vescovo: 'è inutile invocare potenze inesistenti..' per cui è inutile continuare a predicare la presenza di Dio.”

Indubbiamente, festa per festa, la sola discriminante è la ‘fede’.

Ma quale? Fede in un fatto storico? In Gesù e nelle sue miracolose nascita e risurrezione?  Attualmente si dibatte sempre più, non  dimentichiamolo, sul Gesù storico, riconoscendo un qualche fondamento ai racconti e tradizioni sull’uomo ‘rivoluzionario’, sul leader perdente di una delle rivolte giudaiche; ma quello dei Vangeli, con i suoi presunti miracoli, è altra cosa; frutto di una invenzione collettiva e progressiva, un mito bell’e buono. La fede che ne è derivata, sulla persona Gesù e sulle sue opere, è arbitraria quanto Babbo Natale.

Più che della fede, comunque, il monsignore intendeva parlare di morale, del dovere morale dei cristiani di porre attenzione ai poveri più che rispondere alle sirene del consumismo.  A questa ‘educazione cristiana’ miravano le sue rampogne, che però hanno bisogno, come tali, giusto del supporto di una favola. E se invece provassimo ad essere buoni a Natale (festività prettamente ed originariamente pagana) per semplice umanità e non per accumulare punti per il Paradiso?

La spiritualità, l’altruismo e l’amore, in fondo, possono essere pienamente laici. Senza dimenticare che le leggende (pagane) dicono anch’esse molto, e che su di loro si sono edificate culture (come la greca e la romana) sulla quali si fonda a tutt’oggi il nostro mondo occidentale.

Ma c’è dell’altro in questo ragionamento ‘ex-cathedra’. Una ipocrisia di fondo, che permea tutta la cultura cattolica attuale. Ne ha dato esempio lo stesso papa Francesco, battezzando in san Pietro la figlia di genitori sposati solo civilmente. Atto ‘dovuto’, ben inteso, perché la Chiesa deve aprire le porte a chi chiede di aderirvi. Ma le parole del Papa sono quanto mai forzate; le definirei teologicamente inappropriate: “Voi siete coloro che trasmettono la fede, i trasmettitori; voi avete il dovere di trasmettere la fede a questi bambini. È la più bella eredità  che voi lascerete loro: la fede! Soltanto questo. Oggi portate a casa questo pensiero. Noi dobbiamo essere trasmettitori della fede. Pensate a questo, pensate sempre come trasmettere la fede ai bambini" [3].

Qual è la fede di una coppia che non ha suggellato davanti al sacerdote il vincolo coniugale, e che (almeno agli occhi della chiesa ‘ottocentesca’, cui guardano tante componenti cattoliche) avrebbe violato l’obbligo della castità prematrimoniale e vivrebbe (intendiamoci: sempre agli occhi della morale cattolica tradizionale!) in un peccaminoso ‘concubinato’? Una fede ‘personale’, ritagliata a proprio uso e consumo! Proprio quello che la chiesa rimprovera a quei credenti che vogliono abbandonarsi a ritualità pagane.

Di concessioni come questa gli uomini della chiesa maggioritaria ne fanno tante, palesi o sotto-banco. Affari loro, si potrebbe dire. Affari nostri invece; perché nel contempo vorrebbero imporci leggi civili rispondenti ai loro ‘princìpi’; dimenticando le ‘prassi’ opportunamente tollerate, ovvero il comportamento ‘reale’ della maggior parte dei ‘credenti’.

E non solo dei credenti laici: perché anche i preti e le suore, nel loro piccolo…!

Poveretti. La castità forzata è una condizione innaturale, come scrive Antonio Lombatti nel suo ultimo volume ‘La moglie del Monsignore’, recensito in questo numero dell’ATEO. Tanto più se messa alla prova da un ritorno di fiamma. Come nel caso, balzato recentemente agli onori della cronaca, della suora salvadoregna giunta in ospedale a Rieti già in travaglio di parto (ma lamentando solo del ‘mal di pancia’), e che nonostante l’evidenza ha cercato di difendersi sostenendo “di non essersi accorta di nulla” e che “una suora non può essere incinta”. Anche a volerle concedere la scusante (poco credibile) dell’inesperienza circa i sintomi della gravidanza, di certo non le si dovrebbe perdonare (da suora; non da donna) l’avventura sessuale. Anche se, da cattolici, si può al limite bilanciare il peccato con il merito di non avere usato (all’occasione) mezzi o procedure anticoncezionali, né di avere abortito.

La maggior parte dei giornali ha ben presto tacitato la vicenda. Idem la RAI, se si eccettua qualche impertinenza della solita Luciana Littizzetto. Ma i cattolici, come l’hanno presa? Fa scuola ‘Avvenire’, che ha sottolineato le parole (o sarebbe meglio dire: le ‘veline’?) del vescovo di Rieti, dichiaratosi stupito del ‘clamore mediatico suscitato dalla vicenda’: “La diocesi è vicina alla sorella. È molto probabile che lascerà l’istituto religioso per avere cura del piccolo. È preferibile che conduca una vita secolare” [4].

Ai tempi di Teresa d’Avila, santa e ‘Dottore della chiesa” (una che dunque fa ancora testo, quando ciò conviene all’apologetica!), ci sarebbe stato ben altro che umana compassione e amore per quel bimbo a cui è stato dato il nome del papa, quasi in funzione espiatoria: come pena per il “cadere nel peccato della sensualità (non lo permetta mai Dio, fortezza di coloro che sperano in lui) ed esserne ree convinte (intendo dire gravemente indiziate)” la santa deliberava: “Qualunque sia la colpevole, venga subito portata in carcere dalle altre […] Vi sia una prigione destinata a tali colpevoli, le quali, se detenute per motivi scandalosi, non potranno esserne liberate che dal visitatore [ndr.: del superiore del convento]. Siano detenute perpetuamente in carcere…” [5].

Papa Francesco sembra seguire altri precetti, certamente più popolari e mediatici Ed anche all’impenitente donnaiolo e doppiamente adultero presidente Hollande potrebbe realmente aver detto “Chi sono io per giudicarti?” come ironicamente ha commentato qualche giornale popolare d’oltr’Alpe.

C’è da stupirsi dunque se una giornalista ha ‘laicamente’ solidarizzato in toto con la suorina, commentando a sua volta: “Il clamore intorno alla suora salvadoregna che ha partorito un bimbo all’ospedale San Camillo de Lellis di Rieti ha qualcosa di sconcertante. Come se una-suora-che-partorisce suonasse ancora come un incredibile tabù, forse quasi più per i laici che per i religiosi.” [6] La suorina diviene così oggetto di una ricostruzione edulcorata che richiama i toni della verghiana ‘Storia di una capinera’: “Poche invece le parole di tenerezza per una ragazza che forse non era consapevole, o forse sì, visto che il suo corpo e le sue emozioni hanno scelto diversamente da quello che l’obbedienza le imponeva. Una donna esattamente come tutte noi, in preda al conflitto evidente tra desiderio di un figlio e tutti i suoi angosciosi ostacoli (un lavoro che non c’è, la precarietà, la sterilità).” Infine l’assoluzione formale: “Forse la Piccola discepola del Gesù ha scelto un bimbo per andare via dal convento. O forse, in maniera più o meno consapevole, sentiva che le due cose non erano per forza in contraddizione, almeno nelle sue emozioni.”

Ma no; troppo buonismo! La storia della suorina (con alle spalle dieci anni di noviziato e voto finale di castità!) non può che riportare al Boccaccio, messo all’indice dalla Chiesa proprio per quella sua impudenza senza remore, che pone allegramente sullo stesso piano laici e religiosi; e che si dimostra ancora una volta quanto mai attuale. Abbiamo tutti in mente l’ingenua adolescente Alibech, fattasi “romita”, alla quale “Rustico monaco insegna rimettere il diavolo in Inferno” [7] oppure (con licenza per le future prescrizioni di Teresa d’Avila) le suore che apprendono grazie all’ardore di Masetto da Lamporecchio come “tutte l’altre dolcezze del mondo sono una beffa a dispetto di quella quando la femmina usa con l’uomo” [8].

Non c’è che dire, la chiesa ne ha fatta di strada; verso un atteggiamento più umano, senza dubbio, ma (forse anche per questo) fortemente relativista. E soprattutto, abdicando in quanto a coerenza. Qui sta il punto che ci riguarda. Ne abbiamo scritto spesso, e tante altre volte vi torneremo; perché l’accusa di relativismo morale è quella che più spesso ci viene rivolta.

Francesco D’Alpa

 

[1] L’ATEO, 4/2013 (89), p. 16

[2] Stop a Babbo Natale «Dico no alle leggende».  L’Adige, 27 dicembre 2013

[3] Omelia del Santo Padre, Domenica 12 gennaio 2014. Su www.vatican.va

[4] Suora salvadoregna partorisce un bambino. Avvenire, 18 gennaio 2014

[5] Teresa D’Avila: Costituzioni (anno 1567), cap. XVII

[6] Elisabetta Ambrosi: Se una suora incinta suscita ancora scandalo (invece che tenerezza). Il fatto quotidiano,  19 gennaio 2014

[7] Boccaccio: Decameron. Giornata terza, novella decima

[8] Boccaccio: Decameron. Giornata terza, novella prima