Recensione a

Francesco Agnoli, Enzo Pennetta: LAZZARO SPALLANZANI E GREGOR MENDEL. ALLE ORIGINI DELLA BIOLOGIA E DELLA GENETICA. Cantagalli, 2012. ISBN 978-88-8272-877-9. Pag. 104, Euro 9.00

di Francesco D’Alpa    Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Secondo Francesco Agnoli, giornalista del ‘Foglio’ e di ‘Avvenire’, uno degli animatori dei Mendel Day, scienza e tecnologia sono ‘figlie ingrate’ del cattolicesimo; la maggior parte degli scienziati dei secoli passati sarebbero stati infatti uomini di fede, e fra questi la quasi totalità cristiani, moltissimi cattolici, tanti i sacerdoti ed i membri di ordini religiosi. Per rivendicare questo primato Agnoli ha pubblicato “Scienziati, dunque credenti” (Cantagalli, 2012; pagine 185, euro 14), pretendendo di dimostrare come siano state la Bibbia e la Chiesa a determinare questo primato, come la scienza sperimentale non poteva che nascere fra i monoteismi e nell’occidente cristiano, come non esista conflitto fra fede e scienza, ed infine come Spallanzani, Copernico, Mendel e tanti altri probabilmente non sarebbero diventati scienziati se non fossero stati guidati dalla fede.

Nel caso di Mendel, Agnoli sostiene che egli non sarebbe arrivato alle sue scoperte se non fosse stato convinto della realtà di una natura regolata da leggi ordinate e volute da un Creatore; in questo senso, egli sarebbe dunque il campione di una scienza buona, in opposizione alla scienza cattiva e indifferente di Darwin.

Ad ulteriore presunta dimostrazione delle sue idee, Agnoli è coautore con Enzo Pennetta di vari volumetti, fra i quali questo su Spallanzani e Mendel, nel quale evidentemente ci aspetteremmo ampiamente esposte e rese convincenti le sue idee. Nulla di tutto questo, invece.

Tanto per avere una idea, tralasciando ogni commento sulla prima metà del testo, dedicata a Spallanzani, che sarà oggetto di un mio più dettagliato prossimo commento, i capitoletti dedicati a Mendel occupano (tolte le illustrazioni) appena 37 pagine del volume. Di queste quindici descrivono la vita dei monaci, i loro orti e le loro diete, dieci pagine le altre passioni di Mendel (apicoltura, meteorologia, etc…), cinque gli sono di elogio quale uomo di carità. A trattare del Mendel genetista restano appena sette pagine, di cui tre come lunga citazione dalla Enciclopedia della Scienza e della Tecnica Treccani.

Di pugno dell’Agnoli, sul Mendel genetista, restano dunque appena quattro quanto mai discutibili facciate. A leggere Agnoli verrebbe infatti da intendere che la passione di Mendel per le scienze sia nata nel convento, e non all’opposto che egli sia entrato in convento proprio per potersi pagare gli studi cui ambiva ed accedere alla carriera universitaria (piuttosto che a quella religiosa). Potremmo sorvolare sulla affermazione che Mendel “a partire dal maggio 1956, compie i suoi esperimenti” se ciò non venisse a conferma della superficialità con la quale è prodotto il volume, ma questo è davvero uno dei pochissimi passi in cui si parla degli esperimenti piuttosto che di aspetti scientificamente insignificanti.

Tornando alla questione principale, che rapporto esiste, secondo Agnoli, fra l’indubbia statura scientifica di Mendel e la sua fede? Probabilmente poco più che affermazioni generiche sulla bellezza ed armonia della natura (peraltro abbastanza tipiche della sensibilità romantica ottocentesca, non solo fra i credenti); l’affermazione che Mendel fosse perfettamente integrato nella vita di preghiera del monastero ha ben poco a che fare con gli anni in cui frequentò l’Università di Vienna.

Per concludere, del poco che c’è da leggere nella seconda parte di questo più che striminzito e superficiale volumetto, resta una semplice idea: pessima apologia in divulgazione inconsistente.