Recensione a:

Carmelo La Torre, Il Grande Nulla del Vaticano
ISBN 978-88-6752-101-2
Abel Books (www.abelbooks.net), Civitavecchia 2014

di Francesco D'Alpa

Camelo La Torre ha un grande pregio, centrare bene i fatti, o meglio, in questo caso, i ‘non fatti’, vale a dire, almeno in relazione alla prima parte di questo testo: tutto ciò che la Bibbia vi ha raccontato e non è vero perché semplicemente non può essere vero. Eppure questa ‘non verità’ viene spacciata da secoli e secoli come l’unica cui acconsentire non solo per fede ma anche con la ragione.

Ma la ragione, quando non è ipnotizzata dalla fede, sa fare i suoi conti e riesce a vederci chiaro.

Che dire allora del popolo ebraico, se anziché stimarlo per il prediletto da Dio se ne racconta la storia come quella di una masnada attizzata da abili politici a mezzo dell’Antico Testamento, in quanto “trattato di insegnamento della guerriglia e di incitamento alla rivolta armata, finalizzato a scopi nazionalistici, attraverso obiettivi religiosi”? Salvo poi a cambiare le carte in tavole, dopo qualche secolo, per descrivere come leader religioso un Gesù pacifista.

Ma ben si sa, la Bibbia è per eccellenza il libro delle incongruenze. La Torre ce ne aveva già dato una brillante dimostrazione nel suo “Trionfo delle quaglie” (vedi: L’Ateo 6/2009) ma qui rincara la dose: doppia creazione, doppia storia di Noè, e così via. E che dire della cantonata del monito divino di non mangiare i frutti dell’albero che sta in mezzo al giardino dell’Eden pena la morte,  palesemente sconfessato nel seguito della storia (il cui senso è stato in seguito opportunamente alterato dai predicatori)? Che dire del Cantico dei Cantici, gioia e dolori degli apologeti che invano hanno sempre cercato un alternativa ‘onesta’ e teologicamente accettabile alla sua inequivoca sensualità?

Gli esempi in tal senso sono innumerevoli. Ma nella Bibbia c’è di tutto e di più: miracoli a fin di bene (guarigioni) che felicemente convivono con miracoli sanguinari  (le piaghe d’Egitto), promesse di felicità terrena per il ‘popolo di Dio’ accanto a legittime stragi degli ‘altri’: prove lampanti di un immaginario anche prevaricatore e financo perverso.

Niente di strano che il cristianesimo abbia aggiunto baggianate a baggianate, predicando miracoli, osannando immaginarie reliquie, contestando puerilmente ogni rivoluzione scientifica, e così via; salvo a inventarsi, il più delle volte, improbabili vie di fuga: le molte versioni della immaginaria traslazione della casa di Loreto ne sono un esempio tipico.

E qui mi fermo: sarebbe troppo lungo commentare il resto del volume che dopo l’Antico analizza minuziosamente il Nuovo Testamento, per poi passare alla diffusione del cristianesimo ed ovviamente alla storia della chiesa, con tutto ciò che ne è derivato: potere temporale, accumulo di ricchezze, condizionamento mentale, e via dicendo; per ultimo ci viene proposta una convincente disamina sulla nascita delle religioni e sui rapporti fra credenti e non credenti.

Ci troviamo senz’altro di fronte ad un testo di pregio, che affianca una accurata esegesi ad una godibilissima vena umoristica. Ma dato il testo in esame, ed alla luce della personalità del suo censore, era facile attendersi una buona dose di ilarità: una per tutti, la corposa graduatoria dei “protagonisti biblici che non necessitavano del Viagra”.