Recensione a:

RENATO TESTA. La Malafede. Perché è indecente essere cristiani.
ISBN 978-88-567-5818-4
Albatros, 2012

di Francesco D'Alpa

Pubblicata su L'ATEO, numero 1/2015

 

Dare un’idea della ricchezza di contenuti, della brillantezza espositiva e della capacità argomentativa presenti in questo volume richiederebbe troppo spazio. L’autore si è cimentato in un ampio trattato di anti-apologetica capace di controbattere convincentemente le principali asserzioni della religione dominante. Ma non mi sembra il caso di entrare nel merito dei singoli argomenti, in linea di massima gli stessi di cui scriviamo abitualmente in queste pagine: le prove dell’esistenza di Dio, l’esame dei testi sacri, i dogmi, i sacramenti, il conflitto fra fede e scienza, i miracoli, e così via. Mi limito a segnalare come Renato Testa riprenda innanzitutto le principali obiezioni storiche, aggiungendone molte di proprie, quanto mai documentate. Mi sembra invece più importante sottolineare l’atteggiamento dell’autore; anche in riferimento al titolo, che a prima vista può apparire ingiustificatamente offensivo. Il termine malafede, come ben precisato nel volume, non inquadra tout-court la ‘fede cristiana’ come ‘fede cattiva’, ma si riferisce piuttosto all’atteggiamento di chi crede ‘a prescindere’ e soprattutto ‘nonostante’ le convincenti contro-ragioni.  In effetti, quasi seguendo il modello socratico, prima l’autore espone in dettaglio le idee di parte contraria, poi le contesta ad una ad una, in modo quanto mai argomentato; infine esprime un proprio secco giudizio di valore: chi, nonostante le evidenze accumulatesi contro ognuno degli argomenti in favore della fede, ritiene ancora valida la ‘verità’ cristiana non può che essere ‘scientificamente’ in malafede.

L’unico possibile atteggiamento, rispetto alle domande poste dalla modernità, non può infatti che essere oggi quello dell’ateismo radicale; perché l’analisi storica, le evidenze scientifiche, la logica ed in fin dei conti anche il buon senso non possono che guidarci verso il rigetto del trascendente. Il rifiuto di Dio non è una scelta ideologia, almeno in tutto l’occidente evoluto. Certamente il credente in ‘buonafede’ trova difficile rinunciare all’idea di Dio, giacché a questa idea sono legati sentimenti, motivazioni, comportamenti (come ad esempio la bontà, l’altruismo la fiducia, la speranza nel futuro); ma oggi necessitiamo proprio dell’idea di un dio premiante e della promessa del paradiso per motivare le nostre buone azioni, o sarebbe preferibile concepire sentimenti umanitari incondizionati? e viceversa, non appare evidente quanto male abbia fatto la religione in sé, e quanto male sia stato fatto (in buonafede?) in nome della religione?

A giustificazione di qualche intemperanza dialettica dell’autore, occorre onestamente riconoscere che di fronte alla mitologia cristiana ed al cospetto di certe assurdità sacramentali l’atteggiamento del non credente può anche arrivare motivatamente allo scherno ed al dileggio; ed il nostro autore non può certo trattenersi; ma, almeno entro certi limiti, preferisce proporsi come professore burbero più che censore sprezzante.

In sintesi, i maggiori meriti di questo sostanzioso volume sono, a mio avviso, la ricchezza argomentativa e la pacatezza discorsiva. Ma quanti avranno, fra i credenti, il coraggio e l’onestà di andare oltre la apparente capacità respingente del titolo?

 

Francesco D’Alpa    Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.