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Le favole gender e la favola del gender

di Francesco D'Alpa

Pubblicato su L'ATEO, numero 1/2016

Uno degli ultimi casi sui quali ha polemizzato il mondo cattolico è quello di Massa Carrara, dove nel mese di ottobre 2015 due genitori hanno ritirato la propria figlia dalla scuola pubblica elementare (iscrivendola in una privata cattolica) dopo aver appreso, in base ad un appunto sul suo diario, che all’interno del percorso educativo di quell’anno era compresa la lettura di due fiabe ‘Una bambola per Alberto’ e ‘La principessa e il drago’.

Perché mai, hanno strombazzato i media di parte, un maschietto dovrebbe candidamente giocare con le bambole ed una femminuccia combattere invece il drago, rinunciando agli abituali ruoli di Bella addormentata o di Cenerentola?

Perché, ribadisce la parte avversa, lo chiede il nostro Ministero dell’Istruzione, perché lo sostengono motivatamente le varie direttive europee, perché lo si rimarca in ambito ONU (esclusi ovviamente i paesi ultracattolici ed islamici).

Ma da quale pulpito partono queste obiezioni, e quanto sono legittimabili anche solo storicamente? In un paese come il nostro nel quale la religione cattolica è stata a lungo imposta come materia obbligatoria (e sostanzialmente, fino ad anni piuttosto recenti, come riferimento prioritario alle elementari) senza prendere in alcuna considerazione il parere dei genitori, improvvisamente si vorrebbe trasformare la loro opinione in potere censorio contro una presunta ideologia immorale ed innanzitutto anticristiana, contro “un progetto impartito, quasi imposto, soprattutto partendo dai più piccoli che si affacciano alle prime lezioni scolastiche [..] Perché traumatizzare i figli dal primo giorno di scuola con certe favole?”. [1]

Il capovolgimernto del paradigma acculturativo va ovviamente di traverso a chi ha esercitato per secoli il potere indiscusso di indottrinare a proprio uso e consumo. Ma quali sono i valori in gioco? Da una parte troviamo, come sempre, la pretesa di un controllo sociale su base confessionale dogmatica, dall’altra ovviamente una laicità che rifiuta tale arbitrio, in nome dell’irrinunciabile diritto delle persone ad esprimersi secondo la propria incomprimibile individualità.

Lo spauracchio ultimo è naturalmente il denunciato rischio che una educazione libera da stereotipi di ruolo sia in realtà la madre di ogni perversione sessuale, in primis la legalizzazione della genitorialità omosessuale.

Di tutto questo, e non poteva essere altrimenti, si occupa a profusione l’entourage del sempre combattivo Roberto De Mattei (delle cui esternazioni e passato ruolo istituzionale in ambito CNR ci siamo più volte occupati), che dal suo sito “Corrispondenza Romana” martella ostinatamente ogni richiesta aconfessionale o anticonfessionale alla luce dei suoi ultrereazionari eroi ed ispiratori ideologici.

Esemplificativo della supposta violenza gender, secondo uno dei collaboratori di questo sito, sarebbe il film “Limina” di Florian Halbedl e Joshua M. Ferguson, riguardo al quale viene affermato: ‘Decostruire i cosiddetti stereotipi di genere fin da piccolissimi è la regola numero uno dei promotori dell’ideologia del gender. Una evidente via preferenziale, volta a sradicare alla radice il “problema” dell’eterosessualità innata, violentando da subito la natura e l’innocenza degli inconsapevoli bambini. […] Limina, inteso come forma plurale di “Limen”, dal latino “soglia”, che già nel titolo vuole esprimere il concetto volubile di confine di genere, è un cortometraggio che racconta la storia magica e colorata, ambientata sullo sfondo delle incantevoli alpi svizzere, di Alexandra, una bambina gender-fluid di circa 8 anni. La piccola è la protagonista di un racconto fiabesco che si propone di ispirare compassione e comprensione, incoraggiando, secondo le intenzioni degli autori, i genitori e le famiglie a non imporre ai bambini il genere in maniera “poliziesca”. Il cortometraggio, per il fatto di essere esplicitamente rivolto ai più piccoli e per aver centro della sua storia, ambientata in Svizzera, una piccola bambina, è stato presto definito una rivisitazione di “Heidi” in versione gender fluid. […] La surreale storia di Alexandra, la Heidi “gender fluid”, rivolta ai piccolissimi, con il fine di sconvolgere per sempre la loro naturale innocenza, rappresenta un attentato alla loro infanzia dalle conseguenze psicologiche e sociali devastanti.

 

[1] Sonia Bedeschi: Blitz delle maestre in classe: favole gender alle elementari. Il giornale, 28 ottobre 2015-

[2] Lipo Glori: Anche “Heidi” diventa gender-fluid, http://www.corrispondenzaromana.it, 3 giugno 2015. La polemica anti-gender è particolarmente accesa nel sito http://osservatoriogender.famigliadomani.it