Scuse a Darwin? Si, forse, anzi no!

di Francesco D’Alpa   (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.)

 

Sul finire del 2008 (cfr. L’ATEO n. 61, 1/2009) fecero scalpore le inattese scuse postume indirizzate a Darwin dal reverendo Malcolm Brown, ampiamente riportate dai media anglosassoni. Nel suo provocatorio e ipercitato articolo “Good Religion Needs Good Science“ l’autorevole responsabile del dipartimento per gli Affari Pubblici della Chiesa d'Inghilterra, elogiava l’uso di una ‘buona scienza’ rispetto ad una scienza orientata ideologicamente e che escluda a priori l’ipotesi Dio, ed esponeva alcuni suoi convincimenti: l’evoluzione è oramai un fatto accertato; la Chiesa in passato ha sbagliato nel rigettare le idee  di Darwin ed incoraggiando i fedeli a non capirle; Darwin ha peccato, nel corso della sua vita, anteponendo le sue scoperte alla fede; la chiesa del suo tempo reagì istintivamente a questa minaccia di deriva ideologica più che al contenuto stesso della teoria; il maggiore problema attuale dell’evoluzionismo è oggi il suo uso in chiave materialista (dalla giustificazione del razzismo alla negazione di Dio); a dispetto dell’evoluzione delle specie l’uomo non ha mostrato alcun costante progresso morale; la ricerca scientifica non è di per sé contraria allo spirito del cristianesimo; la Bibbia contiene tutto ciò che serve alla nostra salvezza, ma non è un compendio scientifico; contestare il creazionismo non deve indurre necessariamente ad attaccare la Chiesa; le teorie di Darwin debbono uscire dalle agende politiche, dove rischiano di essere adoperate in modo improprio.

 

L’eco sui media

Trascorsi quasi quattro anni dalla sortita del reverendo inglese è interessante chiedersi: cosa ne è rimasto nei media? ci sono stati sviluppi?

A quanto emerge da una veloce ricerca in rete, durante questo periodo la Chiesa d’Inghilterra, diretta interessata, non ha espresso alcuna posizione ufficiale su quanto sostenuto da Brown, limitandosi a non fornire ulteriori spunti di polemica ai ‘nuovi ateisti’ (quale Richard Dawkins); la Chiesa di Roma, nel contempo, ha badato piuttosto a demarcarsi dai supporter più accesi del creazionismo e del cosiddetto ‘disegno intelligente’.

L’articolo di Brown sembra non avere scosso più di tanto neanche molti ferventi cattolici, ad esempio fra i genetisti ed i biologi evoluzionisti come Phil Batterham, dell’Università di Melbourne, che afferma candidamente di basare la sua attività scientifica tanto sulla “Bibbia” quanto sulla “Origine delle specie”, a suo dire per nulla mutualmente esclusivi. Una opinione  invero contrastante con quanto sostenuto da buona parte dei contendenti dei due opposti schieramenti: i credenti che non digeriscono l’evoluzione e gli evoluzionisti che scartano a priori la creazione.

Molti credenti si sono comunque mostrati alquanto perplessi, chiedendosi: se è vero che l’idea centrale del cristianesimo è l’incarnazione di dio, l’idea della ‘speciale’ relazione esistente fra dio e l’uomo non cambia in modo sostanziale se quest’ultimo è parte di un processo evolutivo che include il mondo non umano?

Un ostacolo all’accettazione, fra i cristiani, delle tesi Brown viene anche dal fatto che esse sembrano spianare la strada al teismo, giacché in buona sostanza equiparano l’opera di dio a quella della natura. Ad esempio, il vescovo anglicano australiano Tom Frame, autore di “Evolution in the Antipodes”, ha scritto: "Dio opera con e attraverso i processi naturali giacché, dopo tutto, questi sono processi di Dio, per cui la gente non deve essere intimorita da quanto evidenziano le osservazioni empiriche e le applicazioni della ragione”.

Nel diciannovesimo secolo molti biologi (come il celebre statunitense Asa Gray) si sono dichiarati ‘teisti evoluzionisti’; e molti oggi ritengono che Darwin sia stato, per gran parte della sua vita, sostanzialmente un teista. In realtà, con la sua teoria, Darwin (che finì col giudicare erroneo il cristianesimo ed immorale l’idea dell’inferno) ha finito col contestare apertamente anche il teismo.

Una dura opposizione all’articolo di Brown è venuta dal pastore evangelico statunitense Albert Mohler, Presidente del Southern Baptist Theological Seminary, secondo il quale non solo l’evoluzione è assolutamente incompatibile con la creazione, ma le scuse a Darwin sono solo un segno di debolezza della chiesa anglicana, che ha perso autorevolezza, ed evidentemente cerca di non perdere contatto con la società; una situazione radicalmente differente da quella dei tempi di Darwin, allorché si insegnava che ogni potere deriva da dio e che dunque ogni attacco al potere é anche un attacco a dio; a suo parere le inopportune scuse di Brown contribuiranno a dividere ulteriormente i cristiani che celebrano la nascita di Darwin da quelli che condannano il suo lavoro.

 

Le reazioni in Italia

Per quanto riguarda l’Italia, i commenti del mondo cattolico sono stati tanto superficiali quanto, spesso, basati su di una colpevole disinformazione; ne è buon esempio l’affermazione che la Chiesa cattolica non ha mai condannato Darwin e la sua teoria, come sostenuto da Monsignor Ravasi e prontamente riportato dalla stampa vaticanofila (con il giornalista Andrea Tornielli in testa). Come se la posizione della Chiesa fosse solo quella risultante dai documenti vaticani e non anche la sistematica derisione (da parte di predicatori ed apologeti, ad ogni livello), per oltre un secolo , delle teorie di Darwin; e glissando sulla chiusura netta al naturalismo certamente sancita da vari documenti papali a partire dal primo Novecento e almeno fino a Pio XII (primo fra tutti l’Enciclica Humani Generis, del 1950).

Un caso a sé, come in altre occasioni, è quello del teologo Vito Mancuso, secondo il quale se riabilitare Darwin sarebbe un atto di onestà intellettuale, non bisogna per questo santificarlo, e comunque l’evoluzione va ritenuta una spiegazione solo parziale dell’origine dell’uomo.

 

Difendere la chiesa, innanzitutto

Non è difficile sospettare che l’intento di Brown sia stato non tanto quello di rendere il dovuto merito a Darwin, quanto soprattutto quello di salvare il salvabile a pro della chiesa. Niente di meglio infatti, da parte sua, del sostenere che l’incomprensione verso ogni nuova idea dipende dall’essere  noi tutti (inclusi gli uomini di chiesa) “solo umani” (e dunque macchiati dal peccato e dall’errore).  Atteggiamento mentale, questo, inevitabilmente enfatizzato dai creazionisti più accesi, che non a caso ancora oggi contrappongono (a soluzione del ‘caso Darwin’) la ‘verità’ della parola divina alla fallibilità della ragione umana.

Alla causa del cristianesimo gioverebbe anche la considerazione che Darwin restò culturalmente sotto l’influenza della Chiesa anglicana lungo tutto il corso della sua vita (per avere frequentato scuole religiose; per avere inizialmente intrapreso la carriera ecclesiastica; per essere approdato allo studio delle scienze sulla scia di un maestro credente; per avere sposato una donna fortemente religiosa). Ma come spiegare allora  il suo progressivo allontanamento dalla fede? È stata l’idea di una selezione naturale a invalidare quella di una diretta creazione da parte di un dio personale, oppure è stato l’abbandono della credenza in un dio personale a fare strada alla teoria di una selezione naturale? Per i credenti, manco a dirlo, vale senza dubbio la seconda ipotesi, spiegata con la inevitabile ‘debolezza umana’.

Un ulteriore interessante aspetto dell’articolo di Brown è l’accostamento fra i casi Galileo e Darwin, entrambi oggetto di scuse postume. Ebbene, secondo alcuni il paragone è del tutto improprio. Infatti, Galileo non intese mai contestare direttamente la Bibbia (che a suo parere poteva essere letta in termini allegorici) ma attaccò le idee scientifiche aristoteliche prevalenti al suo tempo, che la Chiesa aveva fatto sue accordandole alla lettera biblica; Darwin invece ha  direttamente contestato la Bibbia, ritenendone il racconto assolutamente erroneo.

L’articolo di Brown, inoltre, sposta i termini della questione: secondo lui la Chiesa sin dall’inizio non ha rifiutato l’idea in sé dell’evoluzione, ma solo l’idea che dio non c’entrasse nulla con l’evoluzione; se dunque si ammette che dio invece c’entra qualcosa con l’evoluzione non vi è motivo di rigettarla: più o meno quello che molti oggi, in Vaticano, ammettono a denti stretti.

Ma nonostante questo sforzo argomentativo, secondo i più, non saranno certo le scuse tardive ad un ‘nemico della fede’ a riempire le chiese inglesi, oggi frequentate da quel cinque per cento circa della popolazione cui interessano solo il Vangelo ed il timore di dio.

 

Una conciliazione possibile?

Uscito, curiosamente, nel bel mezzo della campagna presidenziale statunitense, che ha visto la candidata vicepresidente repubblicana Sarah Palin impegnata in favore dell’insegnamento creazionista nelle scuole, la ‘strana’ idea di Malcolm Brown ha suscitato ampie reazioni ‘politiche’.

Molti commenti, più che sulla specifica questione, sono infatti risultati centrati sulla deprecabile pratica, oramai abusata da parte delle chiese cristiane, dell’uso strumentale delle ‘scuse’ postume. Un tema che, almeno in questo caso, non sembra toccare più di tanto le gerarchie vaticane.

La domanda da porsi, in ultimo, sulla intera vicenda, è allora questa: Brown è davvero un onesto difensore della ‘verità’, come lui stesso richiede ai suoi avversari, o il suo è solo un maldestro tentativo di salvare il salvabile? E in che misura il suo ragionamento è viziato dal preconcetto che il cristianesimo sia in fondo ‘la cosa migliore’, e vada preservato anche a costo di qualche adattamento alle nuove conoscenze? Pio XII, con le sue ‘timide’ ma molto parziali ‘aperture’ all’evoluzionismo aveva già fatto qualcosa di simile, e Giovanni Paolo II si era spinto poco più avanti, sulla stessa strada. Ma per la Chiesa è difficile, se non impossibile, proseguire oltre. E l’idea di doversi scusare altre volte per il proprio passato non va proprio giù ai molti che non vogliono la Chiesa sempre sul banco degli accusati dalla storia.

Alla resa dei conti, secondo molti creazionisti, chi ha fede ritiene ancora oggi che l’evoluzione non possa in alcun modo dimostrare che la religione sia erronea, e che chi ignora l’evoluzione ignori ben poco del mondo reale e di quanto gli serve per la salvezza finale.

Nel campo opposto, invece, ci si domanda: è sufficiente chiedere scusa, soprattutto se si ammette la colpa di avere anche, per più di un secolo, “incoraggiato altri ad una falsa interpretazione del darwinismo“? In tal senso, e paradossalmente, l’unico sistema pubblico e incontestabile di riabilitazione dovrebbe essere quanto meno una beatificazione di Darwin da parte di quella Chiesa nella quale egli era cresciuto e della quale (teoricamente) faceva ancora parte!

Ma non si dovrebbe chiedere scusa anche ai miliardi di esseri umani che sono stati indotti in errore da predicatori ed apologeti costantemente in polemica antidarviniana? E non dovrebbe la Chiesa compiere un segno evidente di riconciliazione, ammettendo quanto sia sbagliato umiliare la ragione ed imporre alla scienza di ritrarsi di fronte alla teologia, come nel deprecabile caso del Monitum, tuttora valido, del Sant’Uffizio contro Teilhard de Chardin (l’eretico gesuita che riteneva valido o prevalentemente valido il neodarwinismo pur credendo fermamente in dio e che ed aveva infruttuosamente cercato di conciliare la fede con la paleoantropologia)?

Al di là di queste dispute interne alla chiesa, la possibilità di un accordo fra creazionismo ed evoluzionismo è risolutamente negata (‘una perdita di tempo’) dal ‘misoteista’ (così lo hanno apostrofato certi suoi avversari) Richard Dawkins (ritenuto dai credenti l’immagine speculare dei fondamentalisti cristiani), che ironicamente ha chiesto: se la storia di Adamo ed Eva è solo simbolica, perché Gesù si è sacrificato per un peccato simbolico e per due individui mai esistiti?