L’approccio positivista al misticismo

di Francesco D’Alpa   Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

Prima della grande epoca del positivismo, lo studio dell’estasi è ristretto al sapere religioso, che dà ovviamente per scontati la divisione ed i rapporti fra naturale e soprannaturale, e dunque non ha alcun interesse per una controindagine di ciò che sembra fuoriuscire dall’ordine della natura. Per Giovanni della Croce (1542-1591), l’anima, infiammata dallo Spirito Santo, ne è naturalmente attirata, così come la pietra è naturalmente attirata dal centro della terra; ma le operazioni dell’anima, implicate nell’estasi, non avrebbero alcunchè di materiale, se non alcuni effetti secondari (luminescenze, tremori, levitazione, sospensione dei sensi), che dimostrerebbero al tempo stesso  l’intima unione fra anima e corpo ed il potere dell’anima spiritualizzata di dominare la corporeità.

Secondo questa chiave di lettura, l’estasi può dunque ben rientrare sia nel discorso metafisico (come descrizione degli stati dell’anima) che in quello naturalistico (come descrizione degli stati del corpo).

 

In epoca positivista, sullo sfondo delle discussioni sulla natura della follia e sui suoi rapporti con la normalità, e con l’imporsi definitivo del primato dell’osservazione naturalistica e del metodo scientifico, la psicologia e la psichiatria cominciano ad indagare a fondo questi aspetti della vita religiosa, suscitando le critiche e l’indignazione del mondo ecclesiastico. Nel corso dell’Ottocento si tratta di un atto di coraggio, in quanto sfida credenze radicate nella cultura, originate in un lontano passato, trasmesse ed elaborate da ogni religione secondo la propria utilità, difese contro ogni critica anche nelle loro assurdità.

 

Nel 1826 Alexandre Bertrand (1795-1831) pubblica il primo vero studio scientifico sull’estasi, nel quale (senza pregiudizi antireligiosi) cerca di spiegare le presunte meraviglie operate dai taumaturghi, dai sonnambuli, dai chiaroveggenti e dai grandi visionari religiosi. Secondo questo autore, l’uomo è capace di cadere naturalmente in quello stato psico-fisico che si osservava nei posseduti dei secoli precedenti e che ha ispirato le varie sette religiose; lo stato di estasi non può essere considerato una malattia, sebbene vari fattori predispongano ad esso: certe malattie, una spiccata esaltazione morale, i grandi timori, le grandi speranze, e soprapputto il fanatismo. Per questo è comprensibile come esso sia apparso frequentemente in tutte le epoche. Lo stesso non può dirsi per quanto riguarda i presunti fenomeni in corso di estasi (possessione demoniaca, conoscenza di lingue sconosciute o straniere, predizioni di eventi futuri, chiaroveggenza, sviluppo di straordinaria forza fisica, levitazione, trasmissione del pensiero), legati alle ideologie religiose, per i quali disponiamo solo di poco credibili testimonianze.

Un aspetto fondamentale della analisi di Bertrand, è che ogni manifestazione di questo genere viene fatta risalire al soggetto estatico stesso, ed in particolare al potere dell’immaginazione. La cosiddetta esaltazione delle ‘facoltà intellettuali’, comunemente riscontrata negli estatici, ha molto in comune con certi stati patologici di esaltazione cerebrale prodotti da una causa immaginaria, da una disposizione morbosa, oppure  effetto di una malattia del corpo.

Bertrand è portato comunque a riunire sotto il nome di estasi fenomeni solo apparentemente analoghi; dunque non è in grado (come tutti i suoi contemporanei e per molti decenni ancora) di differenziare l’estasi propriamente detta dal sonnambulismo e dall’ipnosi (o ‘magnetizzazione’), ma ha l’indubbio merito di avere rigettato le ipotesi soprannaturali, da sempre in auge e che interverranno ancora a lungo nella letteratura ottocentesca, non solo religiosa.

Per Bertrand, un fenomeno psicologico fondamentale dell’estasi in genere (e di quella sonnambolica in particolare) è l’inerzia morale, causata da un ridotto controllo dell’intelligenza sulle facoltà immaginative, e dunque da un indebolimento del ‘sé’; a causa di essa il soggetto tende ad attribuire le conoscenze che avrebbe acquisite in corso d’estasi alla rivelazione di una intelligenza estranea, personificandola a misura delle sue credenze.

 

Contemporanea a quella di Bertrand è l’opera di Victor Cousin (1792-1867), che interpreta anch’esso in termini assolutamente negativi, dal punto di vista psicologico e filosofico, il misticismo. Secondo questo autore, il misticismo trascura il mondo, la virtù e la scienza, a favore del raccoglimento interiore, della contemplazione, della fede, dell’amore; l’estasi è lo stato finale di questo processo di assorbimento artificiale dell’anima in se stessa, la soppressione di ogni modificazione interna ed esterna, e per conseguenza della coscienza e della memoria; ma si tratta di un processo che si può attuare altrettanto bene con mezzi fisici. Nell’estasi egli identifica comunque un aspetto positivo, già segnalato da Bacone: l’emergere di una vera e propria capacità ‘divinatoria’, il prevalere dell’intuizione reso possibile dall’assopimento dell’intelligenza.

 

Ben più radicale è l’analisi di Auguste Comte (1798-1857), che nel suo ‘Catechismo positivo’ parla senza mezzi termini di ‘malattie proprie degli organi della contemplazione’, raggruppate intorno ai due fenomeni dell’estasi e delle allucinazioni, precisando che questi due stati non sono altro che l’esagerazione dei fenomeni normali, e che resterebbero inspiegabili se non se ne conoscesse la loro esatta natura. Un tratto in comune fra contemplativi, visionari ed allucinati è secondo lui il particolare utilizzo della forma monologica del pensiero, in cui (anche nei soggetti normali) il soggetto è interlocutore di se stesso. Come sarebbe accaduto a Lutero, che durante le sue allucinazioni credeva di dialogare in stato estatico con il diavolo.

Per Comte, la predisposizione alle visioni ed alle allucinazioni è tipica della teologia giudea, cristiana e musulmana; ed ogni epoca ha avuto i suoi visionari ed allucinati, che credevano di parlare con Dio, la Madonna o gli Angeli. Questa predisposizione dipende dalla particolare soggettività delle immagini della divinità e dalla astrattezza dei dogmi, che rendono necessario un pesante ricorso all’immaginazione a discapito della capacità di osservazione ed analisi;  la soggettività (verso cui tutti siamo naturalmente portati e che era più forte nel passato dell’umanità) si sostituisce così alla oggettività, specie nel caso di fenomeni naturali ancora non spiegati. La vita contemplativa, a sua volta, antepone anch’essa le rappresentazioni soggettive all’azione esteriore, soprattutto nelle grandi epoche di esaltazione sociale e religiosa. Mentre nelle età antiche e nel medioevo la maggior parte dei credenti era in certa misura visionaria o allucinata, il fenomeno si è ridimensionato quanto più ci si è avvicinati all’età moderna.

Per Comte, le rappresentazioni mentali del soggetto estatico sono prodotte dalla sua stessa immaginazione durante uno stato di esaltazione, e solo in parte originano da una vera e propria meditazione; dunque sono assolutamente soggettive, così come quelle degli allucinati. Fra questi due prodotti della mente non vi è alcuna differenza, ma li differenzia la condizione della loro manifestazione: allorchè le immagini dell’estasi si sono prodotte una volta, esse hanno una tendenza naturale a riprodursi, e la loro intensità, come quella delle immagini allucinatorie, è tanto viva quanto quelle della realtà. Non bisogna tuttavia confondere lo stato d’estasi (che è perfettamente compatibile con la più completa ragione) con la follia: la condizione dell’estatico è esattamente quella di colui la cui attenzione è fortemente attratta da qualcosa, con perseveranza e forte partecipazione affettiva, con paralisi delle sensibilità e blocco dell’azione.

 

August Armand Marie (1865-1934) compie un deciso passo in avanti nello studio degli stati mistici (e dell’estasi), che ritiene manifestazioni psicopatologiche. Secondo le autodescrizioni degli estatici, esistono due specie di visioni (intellettuali e corporee), così come due specie di voci e locuzioni (interiori ed esteriori). Sulla base di queste è possibile stabilire due categorie di fenomeni. Nel primo caso si tratta di veri e propri automatismi, in quanto la motilità persiste fino ad un certo grado; nel secondo caso si tratta di una vera e propria estasi in riposo, simile al Nirvana dei buddisti (nella quale il mistico sperimenta varie sensazioni corporee, quali quelle di leggerezza etc.). L’automatismo e l’estasi rappresentano per Marie due espressioni successive di uno stesso stato patologico, nel quale il soggetto si sente dominato da una forza estranea, e che al suo estremo giunge fino alla completa inibizione della volontà.

 

Secondo Henri Delacroix (1873-1937) la storia del misticismo ci presenta, accanto a poche grandi personalità, una folla di mistici malati ed imitativi, la cui pratica della contemplazione è solo abbozzata, ed in cui la religiosità si manifesta nei suoi aspetti inferiori, con la complicazione di accidenti nervosi, di isteria, di follia religiosa. Non è a questi che bisogna rivolgersi per cercare una spiegazione autentica dei fenomeni del misticismo; ma piuttosto ai grandi mistici come Teresa d’Avila, Madame Guyon e Suso. In questi, stati morbosi e santità possono coesistere, ma lo psicologo deve essere capace di distinguere, senza essere prevenuto, ciò che va attribuito alla malattia da quello che invece rappresenta una varietà dell’intuizione e della condotta umana.

Più che guardare agli stati organici, Delacroix si interessa della coscienza che ha il mistico del suo atteggiamento mentale, della sua analisi introspettiva, della sua scelta di particolari concetti con il rifiuto di altri, della sua ricchezza morale. Il mistico sente la sua dipendeza da Dio e cerca di approfondire il sentimento di questa dipendenza, caratterizzandone la sua speculazione religiosa.

 

Per Théodule-Armand Ribot (1839-1916) l’estasi è in primo luogo una manifestazione patologia dell’attenzione. Egli non considera l’attenzione una facoltà, un potere speciale, ma piuttosto uno ‘stato formale’, uno ‘stato intellettuale predominante’, effetto di cause complesse che determinano un adattamento breve o lungo; essa dipende da quegli stati affettivi ai quali si riducono le tendenze dell’individuo, che non sono in fondo che movimenti (o arresti di movimenti) coscienti o incoscienti; e si contrappone all’associazione spontanea delle idee. Il grado d’attenzione varia dall’istante fuggitivo all’assorbimento totale. Quando intensità e durata coincidono, l’attenzione è al suo massimo.

L’attenzione volontaria, caratterizzata dalla capacità di resistenza, è antitetica a quella spontanea, caratterizzata dalla proprietà dell’attrazione; si tratta di due poli entro i quali sono possibili tutti i gradi, con uno intermedio nel quale, almeno in teoria, le due forme si congiungono.

In entrambi i casi, l’attenzione si presenta come uno stato fisso (eccezionale, transitorio) in contraddizione con il cambiamento, che è la condizione essenziale della vita psichica. Una lunga attenzione è possibile semplicemente se essa è intermittente nella sua apparente continuità; altrimenti, le sensazioni cui si presta attenzione tendono a divenire confuse od a svanire: non c’è infatti percezione senza movimento, senza cambiamento. L’attenzione prolungata oltre misura porta all’obnubilazione dello spirito, fino ad una sorta di ‘vuoto intellettuale spesso accompagnato da vertigine’. Queste turbe leggere, transitorie, dimostrano l’antagonismo radicale esistente fra attenzione e vita psichica normale.

L’attenzione arresta il poliideismo, ovvero il nomale flusso degli stati di coscienza, sostituendolo con un monoideismo. Nello stato estremo, ovvero l’estasi, il normale meccanismo delle associazioni mentali è totalmente bloccato. L’unità di coscienza non basta tuttavia a definire l’attenzione: occorre infatti tenere presente anche il suo oggetto, che è anche uno stato intellettuale, una conoscenza. Sulla base di queste considerazioni preliminari, Ribot definisce l’attenzione ‘un monoideismo intellettuale con adattamento spontaneo o artificiale dell’individuo’.

Non essendo primariamente legata alle esigenze della vita, l’attenzione volontaria è un fattore sociale, e deve essere plasmata. A tal fine, gli educatori in un primo tempo sfruttano i sentimenti più elementari: la curiosità innata, le tendenze egoistiche, l’attrattiva delle ricompense; quindi agiscono sui ‘sentimenti di formazione secondaria’: l’amor proprio, l’emulazione, l’ambizione, l’interesse, il dovere, Infine occorre organizzare tutto il processo d’attenzione volontaria, attivandolo e mantenendolo con l’abitudine, fino a farlo divenire una seconda natura.

Ma in virtù di quale meccanismo interiore è possibile che questo stato interiore monoideico venga mantenuto, malgrado la tendenza naturale a farlo scomparire? Secondo Ribot lo stato di attenzione, come ogni altro stato intellettuale, si manifesta anche attraverso manifestazioni corporee, giacché il pensiero non si svolge su di un piano soprasensibile ma è piuttosto una parola o un atto allo stato nascente, ovvero un inizio di attività muscolare, la causa di una espressione; non a caso le modificazioni respiratorie che accompagnano l’attenzione (il respiro profondo; i sospiri) somigliano ai fenomeni motori propriamente detti ed entrano in una certa misura nel sentimento dello sforzo.

Nell’attenzione entra dunque in gioco la capacità del sistema nervoso di inibire gli atti motori, a dispetto della sua proprietà fondamentale di trasformare le eccitazioni primitive in movimento. Lo stato di monoideismo può dunque essere mantenuto volontariamente a mezzo di percezioni, idee, immagini adattate ad uno scopo individuato in precedenza; nel mentre gli atti motori risultano inibiti.

Occorre inoltre considerare un altro elemento intellettuale importante, ovvero ciò che Ribot definisce ‘stato di attenzione aspettante’, nel quale viene evocata l’immagine dell’avvenimento previsto o presunto, che nello stato di monoideismo non diviene che il rinforzo della rappresentazione preesistente. L’attenzione aspettante fa si che di due impressioni simultanee venga considerata come anteriore quella più forte o verso la quale si dirige l’attenzione, o anche che le impressioni vengano poste in risalto o trascurate.

Una volta definiti i due tipi fondamentali dell’attenzione, Ribot passa all’esame degli stati morbosi dell’attenzione. La forma patologica dell’attenzione spontanea è l’idea fissa, cui si arriva con una transizione quasi insensibile a partire dallo stato di attenzione spontanea. L’idea fissa si presenta ripetitivamente, con ancora il carattere di intermittenza che è proprio degli stati normali di coscienza; ma ha maggiore intensità dell’attenzione spontanea; perdura a lungo nel tempo anche in forma inconscia; con un processo artificiale la si può rinforzare e rendere permanente. In forma lieve l’idea fissa può fare ancora parte dello psichismo normale; ma nelle forme più eclatanti (come nell’ipocondria) consiste invece in una insieme di stati di coscienza a direzione unica (con associazioni mentali talora incoerenti, ma più spesso in linea logica), senza alterazione formale del processo dell’ideazione: inibisce il cambiamento degli stati di coscienza e impedisce il meccanismo dell’associazione delle idee.

L’estasi è invece la forma patologica estrema dell’attenzione volontaria, e comporta un monoideismo assoluto: ma anche qui esistono dei gradi intermedi fra lo stato normale e l’estasi totale. Il fenomeno psicologico è riscontrabile nei martiri cristiani (rapiti da visioni beatifiche), ma raggiunge la massima intensità nel fanatismo politico. L’annientamento della volontà è il lato negativo dell’estasi. La capacità di concentrazione totale su di una sola idea sembra invece esaltare l’intelligenza di un soggetto colto e di grandi aspirazioni; laddove non può invece trasformare l’intelligenza di un soggetto ignorante.

Per Ribot, i soggetti estatici possono essere distinti in due categorie: quelli nei quali l’avvenimento interiore psichico consiste nell’apparizione di una immagine padrona attorno alla quale ruota tutto, e quelli (i ‘grandi mistici’) nei quali l’attenzione si fissa intorno a delle idee pure.

La descrizione esemplare di questo processo di concentrazione progressiva della coscienza è quella fornita da Teresa d’Avila nel suo ‘Castello interiore’: la coscienza, partendo dallo stato iniziale di diffusione, lo oltrepassa e gradualmente perviene, in qualche caso, alla perfetta intuizione. La fraseologia mistica impiegata da Teresa D’Avila è legata alle dottrine religiose ed al linguaggio del suo tempo, ma la si può perfettamente tradurre, secondo Ribot, nel linguaggio della psicologia contemporanea.

Nella prima dimora (orazione vocale), la parola articolata produce un primo grado di concentrazione, indirizzando su di una via unica la coscienza dispersa. Nella seconda dimora (orazione mentale) il linguaggio interiore si sostituisce al linguaggio esteriore, e la coscienza non ha più bisogno di appoggiarsi su parole articolate o udite; le bastano immagini vaghe. La terza dimora (orazione di raccoglimento) sembra solo una forma superiore della seconda. Con l’entrata nella quarta dimora (orazione di quiete), la coscienza passa dallo stato discorsivo a quello puramente intuitivo, dalla pluralità all’unità: non occorre più pensare, ma solo amare. Secondo l‘espressione di Teresa d’Avila, «adesso l’anima non produce più; semplicemente riceve». Questo stato non è esclusivo della mistica, ma si trova in tutte le grandi intuizioni.

La quinta dimora (orazione di unione) è uno stato instabile che dà inizio all’estasi vera e propria; non vi è ancora fissità completa della coscienza, che ha difficoltà a mantenersi in questo stato straordinario e contro natura.

La vera e propri estasia viene raggiunta nella sesta dimora (orazione di rapimento) nella quale compaiono, secondo Teresa d’Avila anche dei fenomeni somatici: raffreddamento del corpo, sospensione della parola e del respiro, arresto dei movimenti oculari, insensibilità corporea; talora, ma solo per brevi istanti, vi è privazione totale della coscienza. Con l’ingresso violento nella settima dimora (volo dello spirito) l’estasi raggiunge un grado più elevato; la coscienza (che Teresa descrive come sentimento) viene abolita proprio a causa del suo ‘eccesso di unità’; la divinità appare senza forma, come vuota astrazione: è stato raggiunto il monoideismo assoluto, lo ‘stato di coscienza uniforme’, che può essere tuttavia mantenuto solo per poco tempo, solo da qualche individuo, e raramente (Plotino l’avrebbe raggiuto solo quattro volte; Porfirio solo una volta). Questa condizione è totalmente innaturale.

 

Secondo James Henry Leuba (1867-1946), il misticismo è un atteggiamento emotivo che si esprime attraverso il corpo; l’estasi è essenzialmente un fenomeno cenestesico il cui culmine è l’estinzione della coscienza, dunque una evoluzione in senso regressivo della vita psichica. Fra l’estasi del cristiano e quella dell’uomo primitivo non vi è alcuna differenza, se non nel sistema di immagini nel quale si riversa lo sconvolgimento affettivo e nel fatto che il primitivo utilizza la sessualità per raggiungere l’estasi, mentre il cristiano la reprime. L’estatico crede di trovare entro di sé, in comunicazione con l’Assoluto, la soluzione di ogni problema; ma in realtà questo Assoluto non può essere pensato concretamente, e qualunque estasi si riduce a un progressivo eclissarsi della coscienza ordinaria che lascia spazio ad uno stato affettivo di straordinaria intensità, al cui centro c’è la percezione diretta, nella sua confusa totalità, del non-io; da qui l’esperienza della morte mistica. Analogamente, nelle psicosi estatiche, si ha prima una vaga espansione del campo della coscienza, quindi un suo graduale restringimento, fino a quando il soggetto non si interessa che di se stesso, espandendo la sua autopercezione e proiettando la sua attività mentale sull’esterno, all’infuori delle regole generali del pensiero; in una fase successiva il suo pensiero assume caratteri di anomalia e di incoerenza e va progressivamente a rarefarsi.

 

Ricordiamo infine Pierre Janet (1859-1947), noto soprattutto per il lungo studio di una ricoverata che presentava tutti gli stati psicologici descritti da Teresa d’Avila, inclusa la fenomenologia estatica, pur essendo chiaramente una paziente psichiatrica. Ciò lo ha portato a ritenere che gli stati mistici appartengano ad una costituzione psicopatica e che il fenomeno estatico in sé non abbia nulla di peculiare; giacché i suoi elementi chiave (sparizione dell’attività motoria, sviluppo del pensiero interiore e sentimento di gioia) sono presenti anche in altri stati (euforia dei morenti, paralisi generale, isteria, etc..). Lo stato mistico-estatico è solitamente preceduto da malinconia, dubbi, aridità mentale, sia nei grandi mistici che nei malati psichiatrici; e spesso insorge all’esaurirsi delle forze fisiche e mentali, allorchè il pensiero (la coscienza) si restringe fino a focalizzarsi su di una sola idea. In molti casi, la fenomenologia ha un carattere chiaramente imitativo.

Secondo Janet, i mistici sono attivi non perchè mistici, ma benché mistici. Dopo l’orazione e l’estasi hanno l’impressione soggettiva di un incremento della loro attività mentale in quanto la preghiera e l‘estasi costituiscono per loro un momento di riposo intellettuale