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Il mondo ‘naturale’

di Francesco D’Alpa

[L’ATEO, 2/2018]

Gli adepti tout-court del ‘naturale’ prendono a misura di tutte le cose un ipotetico mondo, di cui l'uomo fa parte pur essendone una sorta di spettatore; un mondo al di fuori della storia umana, non segnato e contaminato da questa. Accettano, implicitamente, la concezione, tramandata dalle religioni, che la specie uomo abbia beneficiato, sin dalla sua comparsa sulla terra (quale che ne sia l'origine) di tutti i beni di un ambiente stabile e ottimale per la sua sopravvivenza. Con tale ambiente l'uomo avrebbe stretti legami di interdipendenza, secondo leggi immutabili ed universali. Quella di natura è dunque un'indebita astrazione, una ‘idea’ che sostituisce alla visione dell'ambiente per come ci è conosciuto (dunque per come esso ci appare oggi, nella nostra percezione della storia), l'immagine ideale di quello in cui si pensa abbia vissuto da sempre ed a lungo la nostra specie. Un mondo complesso, in cui prevale un ordine meraviglioso; che ci mostra una sua razionalità, che è per noi garante per la sua persistenza nel futuro. Questa idea della natura si ricollega inevitabilmente all'idea di un dio creatore e manutentore. Quale potesse essere l'ambiente ‘naturale’ dell'uomo lo immaginarono soprattutto i colonizzatori del ‘nuovo mondo’, che si trovarono di fronte ad una natura praticamente incontaminata (se non per le deboli modificazioni apportate dagli indigeni). Il mondo allora conosciuto era infatti già troppo modificato dall'opera umana, né si avevano testimonianze, se non mitiche, sulle epoche più remote. L'ambiente del nuovo mondo entusiasmò i suoi esploratori, e gradualmente cancellò l'immagine tradizionale di una natura brutale, non altrettanto affascinante e poetica. Si ignorava ancora quanto fosse antica la storia dell'uomo, quanti e quali erano stati i cambiamenti sulla terra, e soprattutto il fatto che la specie umana è il risultato di una serie di innumerevoli variazioni genetiche ed adattamenti che ne hanno ripetutamente modificato le caratteristiche. Solo l'ignoranza di questo passato poteva indurre a credere fideisticamente nella stabilità della nostra specie. L'ambiente cosiddetto naturale, in realtà, non è che il più recente fra una serie di scenari succedutisi nel corso dell'evoluzione, tutti altrettanto naturali anche se differenti, e nei quali certamente l'uomo attuale sarebbe stato incapace di sopravvivere. Se consideriamo la terra ed i suoi abitanti un unico organismo vivente (‘Gaia’, secondo la fortunata definizione dello scienziato inglese James Lovelock, nei primi anni settanta), questa terra non è indubbiamente mai stata la stessa, né immutabile, se non approssimativamente entro definite epoche storiche, sia pure molto lunghe.

In una certa visione ecologista, la natura può essere considerata come inclusiva dell'uomo, ma anche come esterna a lui, una provincia separata e selvaggia, un mondo a cui l’uomo si è adattato, sotto le cui leggi è nato e muore. Questa visione della natura concentra il suo interesse sulla percezione immediata del mondo, apprezza la bellezza di tutte quelle cose che restano sostanzialmente non modificate dall'opera dell'uomo, e rifiuta l'intrusione della spiegazione scientifica, come se essa snaturasse le cose, compromettendone la bellezza e la verginità. Proiettato il discorso nel futuro, l'idea della natura sarebbe ancora quella di un mondo che muta da sé, senza interventi umani, mentre gli interventi di altri esseri viventi vengono considerati legittimi (ad esempio, la costruzione di un termitaio o di una barriera corallina). Il mondo reale dell'uomo di oggi non sarebbe altro che un mondo ‘post-naturale’.

Ma l'attività umana non è pure essa, quale che sia, una parte inevitabile della scena naturale? L'esistenza di una netta contrapposizione fra naturale ed artificiale è sempre più in discussione. Se il pensiero umano, che si concretizza ad esempio nei manufatti, esprime le più alte potenzialità del vivente, forse anche un robot può essere ritenuto un prodotto naturale. Ma il senso comune fa sì che sopravviva la distinzione fra mondo naturale e mondo modificato dall'uomo, che al massimo viene fatto rientrare fra il ‘convenzionale’, seguendo l'ottica del pensiero sofistico. Va da sé che questo mondo ‘convenzionale’, somma di tutte le nostre strutture sociali e delle abitudini di vita, è soggetto a cambiamenti apprezzabili, oggi sempre più rapidi e frequenti. Il concetto di natura indipendente, dolce, eterna si mostra oggi sempre più debole ed insostenibile.