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L’incontinenza alimentare pretesca

di Francesco D’Alpa

[L’ATEO, 4/2018]

Luigi Francesco Leonardo Desanctis (1808-1869) inizialmente sacerdote cattolico camilliano, stimato teologo e controversista, dopo avere suscitato l’ira del Sant’Uffizio con le sue idee politicamente liberali, aderì al protestantesimo, si sposò, e pubblicò velenosi scritti anticattolici, fra i quali le anonime "Lettere di un prete cattolico convertito già membro dell'Inquisizione" poi raccolte in volume.  In questa nota alla ‘Lettera undicesina’ mette alla berlina l’incontinenza alimentare dei religiosi più altolocati.


Uno dei rimproveri che i preti fanno ai Protestanti è quello di non osservare la quaresima ed i digiuni: è lo stesso rimprovero che i Farisei facevano ai discepoli di Gesù Cristo; anzi il Fariseo ipocrita faceva suo vanto di digiunare due volte alla settimana. I Cattolici romani dicono di digiunare; i loro giorni di digiuno sono scritti nel calendario; ma qual è la pratica del loro digiuno? Noi non andremo a cercare il digiuno cattolico romano nelle case e nella tavola di coloro che sono cattolici solo perchè sono nati in quella religione; ma lo cercheremo alla tavola dei Vescovi, de' Prelati, e dei Cardinali; cioè di quelle persone che col loro esempio autorizzano la dottrina che insegnano. Non entriamo dunque a discutere in quel labirinto di leggi e di questioni teologiche sulla materia del digiuno; ma andiamo a vederne la pratica sulla tavola dei preti.

Entriamo dunque in un giorno di digiuno, non in una veglia, come quella che tanto scandalizzò il nostro abate, ma nella casa di un Vescovo, o di un Cardinale anche devoto. Alla mattina, finita appena la messa, si presenta il cameriere con un vassoio sopra il quale vi è una fumante tazza di cioccolata; e la cioccolata in Roma (sia detto fra parentesi) si fa ben solida, e per nulla spumante: fra i preti si chiama cioccolata alla gesuita, quando il crostino messo nella tazza resta ritto come un palo ficcato in terra. Sua Eminenza prende dei biscottini, ovvero del pane abbrustolito caldo, e santamente ne intinge una buona dose e li mangia: allorchè è quasi satollo, prende un biscottino in mano e si arresta come calcolando se potrà mangiare ancor quello senza guastare il digiuno: il Canonico segretario presente gli toglie lo scrupolo, dicendo che il crostino è piccino, e che è parvità di materia; e sua Eminenza cede. Poscia finge di non voler bere la succulenta limonata, e domanda invece dell'acqua: ma il Canonico segretario toglie anche quello scrupolo con l’aforisma teologico liquida non frangunt, e con questo convince il già persuaso padrone, che senza scrupolo ingoia anche la limonata.

Giunge l'ora del desinare: Sua Eminenza si asside a desco: il Segretario dice il benedicite, e Sua Eminenza incomincia a divertirsi coll'antipasto: esso è composto di acciughe, caviale, olive indolcite, ed altre bagattelle atte ad eccitare l'eminentissimo appetito. La minestra di magro è fatta ordinariamente col succo di vari pesci cotti, pestati, e ne permuta tutta la sostanza per farne brodo di magro: il resto del desinare è composto di altri quattro piatti almeno, dei migliori pesci, tramezzati con vari piatti di erbe. I cuochi dei Cardinali sono i migliori cuochi di Roma, e le loro salse, i loro intingoli sono tali da eccitare, come si dice in Roma, anche l'appetito ad un morto. Quando sua Eminenza è obbligata di sciogliere i bottoni della sua sottana per dar luogo alla espansione della stomacale circonferenza, vengono la frutta e la biscottineria per pasteggiare la bottiglia. Due ore almeno dura un tal desinare; poi si sorbisce il caffè accompagnato da confetture. È a memoria di tutti in Roma il fatto del Cardinal Vidoni, celebre ghiottone: uscendo un giorno da un magnifico desinare datogli dal Conte Lavaggi, mentre montava in carrozza un povero gli richiese una elemosina, dicendo che aveva fame: l'Eminentissimo epulone, eruttando una specie di sospiro, disse: beato te che hai fame, io per me crepo.

Sembrerebbe che questi due pasti potessero bastare per formare un buon digiuno ma si mangia ancora un’altra volta nella così chiamata colazione della sera. In essa si mangiano dei pesci, delle erbe cotte, dei legumi, dei salumi, delle sardine di Nantes, della frutta secca o fresca di ogni sorta; e così digiunano coloro che accusano noi di non digiunare.

Dirò cosa incredibile, ma vera: presso i PP. Gesuiti ed altri frati e monache, nei giorni di digiuno si mangia al desinare un piatto di più che negli altri giorni, unicamente perchè è giorno di digiuno. Eppoi hanno la sfrontatezza di accusare i Protestanti che non digiunano.

Quanto alla dottrina del digiuno, ecco cosa s'insegna. Nei giorni di digiuno non si possono mangiare nè carni, nè uova, nè latticini, salvo nel caso che se ne abbia la dispensa dal Papa. In quanto alla quantità non è permessa che l'unica commestione, cioè il solo desinare, che non deve neppure chiamarsi desinare, ma cena.

Questa è la dottrina ufficiale, per conformare ufficialmente per quanto è possibile, il digiuno cattolico col digiuno biblico e con quello della primitiva Chiesa, quando nei giorni di digiuno non era permesso di mangiare se non alla sera. La dottrina teologica poi ammette la refeziuncula della sera chiamata colazione, ed una piccola refezione la mattina sia di caffè, sia di cioccolata con pane secondo la coscienza dell'individuo. Per la colazione della sera si ammettono generalmente otto oncie di cibo solido; ma nessuno va in tavola con la bilancia. Quale poi sia la dottrina pratica, basta vivere fra i preti, i frati, e le monache per vedere quale essa è.

Quando io ero studente di teologia in Roma, pensavo che essendo la mortificazione del corpo lo scopo del digiuno, non fosse lecito in giorno di digiuno mangiare cose ghiotte, come dolci, confetture ecc…; pensavo che in quei giorni si dovesse mangiar meno che negli altri. Esposi i miei dubbi al mio professore, il quale mi rispose con molta gravità, che finis legis non cadit sub lege: che chi voleva mangiar meno, ed astenersi da cose ghiotte, faceva bene; ma chi non lo faceva non trasgrediva la legge del digiuno.

 

Luigi Desanctis: Roma papale, descritta in una serie di lettere con note. Tipografia Claudiana, Firenze, 1865, pagine 224-225. [Il testo è stato minimamente adattato all’attuale ortografia].