Pena di morte e sviluppo della dottrina secondo papa Bergoglio

di Francesco D’Alpa

Con la pubblicazione, su L’Osservatore Romano del 3 agosto 2018, del nuovo testo dell’articolo 2267 del Catechismo, la Chiesa Cattolica avrebbe definitivamente bandito la pena di morte, completando un incredibile dietro-front dottrinario, ma senza modificare in alcun modo quattro articoli concettualmente connessi (2263-2266) che riguardano il tema della legittima difesa.

Secondo papa Francesco (ultimo monarca assoluto del mondo occidentale a condannare la pena di morte e l’uccisione in nome di Dio: applicata nello Stato Pontificio fino alla sua caduta; definitivamente eliminata nella Legge Fondamentale dello Stato Vaticano solo nel febbraio 2001) non vi è più motivo di mantenere tale istituto giudiziario, in base ad una accresciuta coscienza del valore della vita, al bisogno primario di tutelare in ogni caso la dignità della persona, alle nuove possibilità di impedire al reo la reiterazione del crimine e per garantirgli una possibilità riabilitativa. Il nuovo testo afferma:

 

«Per molto tempo il ricorso alla pena di morte da parte della legittima autorità, dopo un processo regolare, fu ritenuta una risposta adeguata alla gravità di alcuni delitti e un mezzo accettabile, anche se estremo, per la tutela del bene comune. Oggi è sempre più viva la consapevolezza che la dignità della persona non viene perduta neanche dopo aver commesso crimini gravissimi. Inoltre, si è diffusa una nuova comprensione del senso delle sanzioni penali da parte dello Stato. Infine, sono stati messi a punto sistemi di detenzione più efficaci, che garantiscono la doverosa difesa dei cittadini, ma, allo stesso tempo, non tolgono al reo in modo definitivo la possibilità di redimersi. Pertanto la Chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona, e si impegna con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo».

Nella abrogata versione, contenuta nella Editio tipica latina del Catechismo del 1997, si ammetteva invece che «i casi di assoluta necessità di soppressione del reo sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti».

Il nuovo testo è accompagnato da una Lettera della Congregazione per la dottrina della fede, approvata dal Papa in data 28 giugno 2018 e da un commento a firma dell’arcivescovo Rino Fisichella. In entrambi sono particolarmente sottolineati alcuni punti: l’impegno del Papa per una abolizione incondizionata della pena di morte (definita oramai “inammissibile”), il valore supremo dato alla “dignità della persona” (che non verrebbe perduta neanche dai peggiori criminali), la diffusa consapevolezza della disumanità di tale pena, l’importanza di un riesame della questione “alla luce del Vangelo”, il concetto di “sviluppo dottrinario” nel rispetto della tradizione.

Giovanni Paolo II non si era spinto così avanti. Infatti, secondo quanto rivelato dall’allora cardinale Joseph Ratzinger, la formula utilizzata nel 1997 era stata chiesta esplicitamente alla Santa Sede da mons. Jorge Medina Estévez, rappresentante dell’Episcopato Cileno nel Comitato di redazione del Catechismo; e le imbarazzanti simpatie papali per la dittatura cilena sono state ben confermate dall’evidenza che egli nel 1987 non aveva rifiutato di affacciarsi dal balcone della Palazzo della Moneda assieme a Pinochet, e che ancora nel 1993 lui stesso ed il segretario di Stato, Angelo Sodano, avevano inviato a Pinochet due lettere di auguri in occasione delle sue nozze d'oro.

Il più citato documento personale di Francesco, su cui si basa il nuovo testo del Catechismo, è il Discorso ai partecipanti all’Incontro promosso dal pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione (11 ottobre 2017), in cui fra l’altro si sostiene che la pena di morte: è contraria al quinto comandamento ed al Vangelo; non può essere considerata una legittima difesa da parte della società, così come lo è quella personale; è contraria alla misericordia divina; è inumana ed implica un trattamento crudele e degradante; ferisce la dignità personale. E per questo Papa neppure l’omicida perde la sua dignità personale, di cui Dio stesso si farebbe garante. Non va inoltre dimenticato che Francesco si è sempre pronunciato anche contro l’ergastolo (definito pena di morte «nascosta» o «mascherata», che attenta alla speranza del condannato), e contro la carcerazione prolungata (che comporta l’impossibilità per il condannato di progettare un futuro in libertà).

Le motivazioni papali si oppongono tuttavia radicalmente alla tradizione. I teologi cattolici, infatti, hanno sempre proposto tre principali argomenti in favore della pena di morte: (1) la giustizia la richiede per certi crimini, in quanto ogni ingiustizia origina uno squilibrio sociale che occorre correggere, (2) ha un carattere espiatorio ed anticipa in terra il fuoco purificatorio del Purgatorio, (3) supporta il bene comune.

Se, come afferma Francesco, la pena di morte è invece “sempre” ed “intrinsecamente” immorale, è chiaro che tutti i precedenti Papi, Padri e Dottori della Chiesa erano in torto, e che lo stesso si deve ritenere oggi di innumerevoli passi delle “infallibili” e “divinamente ispirate” Sacre Scritture. Rispetto ai suoi predecessori, quanto oggi sottoscritto dal Papa rappresenta di fatto una “nuova dottrina”, in violazione a quanto prescritto dal Concilio Vaticano I, che vieta al Papa tale possibilità; a meno che non lo si voglia fare rientrare semplicemente fra le idee personali, che altri possono legittimamente respingere.

Dal punto di vista della teologia morale, le maggiori perplessità circa il nuovo testo provengono dall’uso del termine “inammissibile”, in quanto: (a) non fa parte del linguaggio adoperato per secoli da Magistero, canonisti, dogmatisti e moralisti, e dunque non è chiaro in che termini lo si debba intendere, (b) è ambiguo, poiché non è chiaro se l‘atto in questione vada ritenuto cattivo “intrinsecamente” o “estrinsecamente”, o entrambe le cose, (c) non è chiaro se sia da intendere come “sempre immorale” (il che contraddirebbe la precedente dottrina cattolica) o semplicemente come “contrario al contesto socio-politico attuale”.

Ed in molti, nell’opinione pubblica, sospettano della tempistica dell'annuncio, dato che il Vaticano e la Chiesa Cattolica sono attualmente sempre più sotto tiro per gli abusi sessuali del clero e per il modo in cui vescovi di tutto il mondo lo hanno coperto per decenni. In particolare, nei giorni in cui viene pubblicato il Rescritto papale, la Chiesa degli Stati Uniti è in pieno fermento per le comprovate accuse contro uno dei più importanti cardinali statunitensi, Theodore McCarrick, che aveva abusato decenni fa di minori e di seminaristi adulti.

Nel momento in cui definisce la pena di morte “inammissibile”, perché “contraria all’inviolabilità e alla dignità della persona”, Francesco assume una posizione morale non strettamente teologica, debordando come altre volte  dal suo ruolo di custode della tradizione cattolica, che ha sempre messo in primo piano l’importanza della pena. Non a caso, sin dai primi giorni del suo pontificato, egli ha infatti vistosamente glissato sul tradizionale concetto di giustizia (sia terrena sia ultraterrena) e posto invece in primo piano una poco convincente idea di “misericordia”, dimenticando che la misericordia consiste (secondo una secolare opinione teologica) nel rimettere la colpa commessa, ma non la pena. Proprio in tal senso si giustificava infatti in passato l’opera dei confessori dei condannati a morte: in quanto la pena di morte avrebbe dato al condannato l’occasione per riscattarsi di fronte a Dio.  E non a caso, lo stesso perdono sacramentale si accompagna ad una penitenza, ovvero ad una pena volontariamente accettata.

Dal punto di vista formale, Francesco ha promulgato, senza firmarlo personalmente, una sorta di “decreto di seconda mano”, in quanto semplicemente “proposto” dalla Congregazione per la Dottrina della fede, laddove per conferirgli maggiore rilievo avrebbe dovuto essere supportato da un ampio consenso sinodale o conciliare, o quanto meno essere inserito in una Enciclica. Ciò dunque non lo rende, secondo la prassi della Chiesa, infallibile.

La nuova formulazione del Catechismo non poggia dunque su altra autorità che quella pastorale di Francesco, che si fa forte di tre presunti dati di fatto: (a) una accresciuta consapevolezza della dignità umana; (b) una “nuova consapevolezza” del significato dell’azione penale; (b) una migliorata protezione dei cittadini; ma espone a due radicali critiche: (i) si tratta di un’affermazione corroborata dalle evidenze? (ii) se così non fosse, resterebbe ancora valida la tradizionale giustificazione della pena di morte?

Per gli osservatori laici, è quanto mai evidente che il Papa si è pronunciato alla stregua di un politico (dunque di un’autorità civile) e non di un teologo, lasciando aperta la porta a revisioni in senso contrario, laddove la protezione del bene comune richiedesse diversamente.

Ponendo in primo piano dei non meglio definiti provvedimenti contro la reiterazione del crimine piuttosto che la punizione per quello già commesso, Giovanni Paolo II aveva già trasformando la “biblica” religione della punizione in “evangelica” religione della misericordia, sortendo l’effetto non solo di contraddire tutti gli insegnamenti precedenti (scritturali e tradizionali), ma anche di rendere sempre più incomprensibile il concetto di una “pena” da scontare nell’aldilà. Francesco ora procede ulteriormente in senso antitradizionale, tanto da essere accusato di “neopelagianesimo”, ovvero di proporre argomentazioni che rimangono sul piano dell’opportunità e dell’evoluzione dell’organizzazione sociale, non basate prioritariamente su di un discorso teologico: di fatto un’eresia, ripetutamente condannata non solo da lui stesso ma in modo particolare dalla Enciclica Donum Veritatis, del 1990.

D’altra parte è chiaro che in pratica egli parla solo agli statunitensi: all’ottavo posto dell’ultima classifica delle esecuzioni capitali stilata da Amnesty International: il solo paese dell’Occidente evoluto in cui il dibattito sulla pena di morte non è puramente accademico, essendo ancora legale (anche se non applicata in tutti) in 31 Stati, ed esplicitamente ammessa dal Quinto emendamento, introdotto nel 1791; unico paese (in parte) antiabolizionista al mondo nel quale è presente una significativa percentuale di cattolici, tale da potere influire sul quadro politico. Più in particolare, egli parla a quella metà circa dei cattolici favorevoli alla pena di morte, e soprattutto ai giudici cattolici conservatori (3 attualmente, ben presto saranno 4) facenti parte della Corte Suprema di Giustizia statunitense, secondo i quali la pena di morte è costituzionalmente ammessa.

Secondo un sondaggio del Pew Research Center del 2018, il 54% degli statunitensi è favorevole alla pena di morte per il reato di omicidio (era il 78% nel 1996); e fra i cattolici la percentuale è del 53%. A partire agli anni ‘90 del Novecento, il numero delle condanne a morte si è comunque ridotto negli Stati Uniti all’incirca del 90% ed il numero delle esecuzioni è calato anch’esso intorno all’80%; i detenuti nei bracci della morte sono attualmente più di 2800.

In quanto alle critiche, secondo molti media statunitensi: (a) abolire la pena di morte può essere “evangelicamente” coerente per un cattolico, ma destabilizzante per l’ordine sociale, in quanto indebolisce l’autorità dello Stato; (b) il papa ha indubbiamente originato una buona dose di confusione, non risolvendo il dubbio fra “cambiamento” e “sviluppo” della dottrina, (c) ha dato motivo di credere che gli insegnamenti della Chiesa Cattolica “possono” e “debbono” cambiare, (d) se anche non li avesse contraddetti avrebbe comunque suscitato dubbi sulla loro validità.

Per molti suoi oppositori Francesco è il prodotto della teologia della liberazione, che sta ridefinendo l’immagine della Chiesa sul modello della sinistra; e viene accusato di essere un teologo “accomodante”, con il quale la Chiesa avrebbe raggiunto, dal punto di vista teologico, (in particolare con le sue affermazioni sui divorziati risposati e sui gay) il punto di maggior declino.

Per la coscienza dei cattolici statunitensi, fra i torti di Francesco vi é anche il suo eccessivo riferimento al Vangelo, a discapito dell’Antico Testamento (che autorizza ed anche impone la pena di morte per un ampio ventaglio di reati) del quale dovrebbe essere piuttosto custode e testimone. D’altronde lo stesso s. Paolo avrebbe legittimato il significato vendicativo della pena di morte nella Lettera ai Romani e nella Prima lettera ai Corinti; non risulta che Gesù abbia mai perdonato degli assassini; ed a ben leggere il Vangelo, la crocifissione “ingiusta” di Gesù è in netta contrapposizione a quella “giusta” dei due ladroni, una distinzione che ha un saldo fondamento nella tradizione ebraica.

Premesso che le Sacre Scritture sono il riferimento normativo più importante e di più elevato livello autoritativo, non può certo passare in secondo piano la cosiddetta “tradizione”, sempre chiamata in causa nei documenti magisteriali anche recenti, rappresentata in primo luogo dai Dottori e Padri della Chiesa, dai Papi, dai documenti conciliari. In tal senso, i tre ineludibili punti di riferimento sono da sempre s. Agostino (per l’insegnamento morale), Tomaso d’Aquino (per la sistemazione teologica), il Catechismo del Concilio di Trento (per la parte normativa).

Per s. Agostino, la pena capitale protegge coloro che la subiscono da ulteriori peccati, che potrebbero continuare se la loro vita andasse avanti, e la pena di morte rientra nelle prospettive di giustizia proprie della legittima autorità statale, fondate sulle norme morali sia naturali sia divine. È altrettanto vero che, in molti suoi scritti, egli invita i magistrati ad essere compassionevoli verso i malfattori, ma solo nei termini di un consiglio “amorevole”.

Il punto di vista di Tomaso d’Aquino è particolarmente importante. Egli afferma risolutamente che certe categorie di reati meritano la pena di morte, che può essere comminata dallo Stato in funzione della protezione sociale. Ma ancora di più, giudica inconsistente l’ipotesi di un possibile futuro pentimento del colpevole, preoccupandosi piuttosto per il male che questi potrebbe ancora arrecare alla società, in quanto il rischio generato dal suo permanere in vita è più grande e più certo del bene che può derivare dal suo miglioramento. Il suo favore alla pena capitale ha dunque una doppia giustificazione, teologica (retribuzione del peccato e vendetta sociale).

Secondo il Catechismo del Concilio di Trento (1556), ultimo documento ufficiale di riferimento prima del Catechismo del 1992-1997, la Chiesa condona esplicitamente le autorità che comminano la pena di morte per punire il colpevole e proteggere l’innocente.

L’ultimo chiaro personale pronunciamento in favore della pena di morte è stato quello di Pio XII, che nel 1952, in un discorso ai giuristi cattolici, ha ribadito il principio del “diritto medicinale”, per impedire che il reo ripeta il suo crimine, prevalente su quello “vendicativo”, che fa espiare al criminale il male causato dalla sua colpa:

 

«Anche quando si tratta dell’esecuzione di un condannato a morte, lo Stato non dispone del diritto dell’individuo alla vita. In questo caso è riservato al potere pubblico privare il condannato del bene della vita in espiazione della sua colpa, dato che col suo crimine si è spossessato egli stesso del suo diritto alla vita».

Fra gli elementi dottrinari che hanno sconcertato gran parte dei cattolici, ha un particolare rilievo l’uso insistito del concetto di “sviluppo dottrinario”, atto a giustificare il mutamento della catechesi sulla pena di morte.

Giovanni Paolo II non aveva granché modificato la dottrina sulla pena di morte né rispetto al passato, né fra il Catechismo del 1992 e quello del 1997; le sue modifiche riflettevano senza alcun dubbio solo un mutamento del punto di vista storico con un conseguente “pronunciamento prudenziale” che non precludeva una futura retromarcia. Francesco avrebbe invece fatto un passo ulteriore e “modificato” la dottrina, assolutizzando le precedenti conclusioni pastorali.

Pressoché tutti i media hanno dunque enfatizzato l’inatteso cambiamento operato sul Catechismo, anche perché gran parte del pubblico si aspetta che proprio ciò possa ripetersi in futuro, con atti unilaterali del Papa, riguardo altre questioni controverse (sacerdozio femminile, matrimonio omosessuale, eutanasia). I solidali col Papa hanno invece cercato di convincere il pubblico circa una presunta piena continuità con i precedenti insegnamenti (lo stesso problema si era posto con l’Enciclica Amoris Laetitia, nella misura in cui contraddice i tradizionali insegnamenti sull’indissolubilità del matrimonio).

Occorre certo interrogarsi su quanto possa contare oggi il Catechismo, elaborato in gran parte su basi astruse, illogiche, non scientifiche, poco condivisibile su molti temi morali. La Chiesa stessa è ben consapevole del fatto che molti fedeli (ma anche diversi teologi) hanno difficoltà nell’accettare, o rifiutano del tutto, alcuni insegnamenti classificati come “non definitivi”. Il complesso rapporto fra “verità biblica”, “tradizione” ed “insegnamenti dottrinali” è stato affrontato estensivamente, per l’ultima volta, nella Istruzione Donum Veritatis, che dunque rappresenta a tutt’oggi il documento di maggiore autorità normativa in dibattiti come questo sulla pena di morte.

Secondo questa Istruzione, è chiaro che la Chiesa non può rinnegare alcuna parte delle Sacre scritture, ma in qualche modo deve confrontarsi con le mutate condizioni sociali. Francesco comunque va oltre, ed in molte questioni rimpiazza la teologia morale con una personale sociologia. Inoltre da tempo i cattolici tradizionalisti lo accusano di interessarsi di questioni marginali e persino inattuali (come appunto la pena di morte in un mondo occidentale che già da lungo tempo l’ha definitivamente bandita), a discapito di temi a loro avviso di ben più ampia portata ed attualità (ad esempio: la necessità dell’uomo di guardare a Dio; l’attacco “laicista” ai principi non negoziabili, sanciti dal catechismo). Per i più maligni, Francesco, intaccando gli insegnamenti “tradizionali”, si propone e si autocelebra quale “innovatore” e quasi “salvatore” della cristianità. In realtà, non farebbe altro che allinearsi alle agende laiche ed anticristiane, quale quella di Marco Pannella (rigetto della carcerazione, dei concetti di colpa e peccato, e conseguentemente di Cristo, di Dio e della sua giustizia; liceità morale di aborto, divorzio, eutanasia, droghe, omosessualità ...).

Fra gli elementi di perplessità teologica va incluso il fatto che Francesco, inspiegabilmente, pur dichiarando “inammissibile” la pena di morte, non la definisce né un “crimine” né un “peccato”, e non prevede per essa alcuna sanzione canonica. Cosicché, evitando di definire la pena di morte come “intrinsecamente cattiva”, in apparenza non modifica la precedente dottrina e non sancisce come erronei i precedenti insegnamenti, ma semplicemente segue una “modifica di principio” intervenuta nella società, in base alla quale la pena non avrebbe più un carattere retributivo (in quanto amministrazione della giustizia, umana o divina; di fatto questa era sempre stata la principale motivazione teologica), ed invece  mirerebbe alla sola protezione della società e (per come egli spera) alla riabilitazione del colpevole. Concretamente, avrebbe dunque scisso la morale dalla dottrina.

Il fatto è che il secolarismo, il liberalismo, la “mentalità terapeutica” hanno fatto svanire, dall’illuminismo in poi, la fede in un oltrevita, il senso del peccato e quella di una giustizia retributiva basata sulla Bibbia ed insegnata dalla religione cattolica, che considera il reato una violazione dell’ordine divino prima che di quello sociale.

Ci si può a questo punto, legittimamente chiedere, in considerazione del fatto che Francesco sembra risentire più dello “spirito dei tempi” che non della consolidata tradizione cattolica (di cui dovrebbe essere il custode), se non sarebbe il caso di rivedere alla luce dello stesso “spirito dei tempi” anche altri insegnamenti tradizionali. È quanto si aspetta probabilmente la maggior parte dei cattolici di facciata, ispirati da comportamenti ben più laici. Ma è anche quanto temono i tradizionalisti, gli epigoni dell’antimodernismo ed i contestatori del Vaticano II.

La logica di costoro è assolutamente all’opposto del modo di procedere del Papa: essi partono da una posizione di principio ritenuta immodificabile (ad esempio, la condanna dell’omosessualità), mentre il Papa parte da un atteggiamento pratico, ispirato ad una personale interpretazione del concetto di “misericordia”. Secondo i più intransigenti, occorre una volta per tutte decidere se il Papa ed i gesuiti sono corretti nel loro nuovo “modernismo”, o se è l’ora di riprendere in mano il Catechismo di Pio X, visto che dopo il Vaticano II la “vera” Chiesa Cattolica non esiste più.

Ironicamente, qualcuno si è inevitabilmente cimentato nella redazione di un articolo “progressista” di un Catechismo del 2030:

 

«Le relazioni sessuali tra persone dello stesso sesso sono state a lungo considerate come atti intrinsecamente disordinati. Oggi, tuttavia, c'è una crescente consapevolezza che la dignità della persona non viene persa quando una persona si impegna nelle relazioni omosessuali. Inoltre, è emersa una nuova comprensione del significato della sessualità umana. Di conseguenza, la Chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che "l'attività sessuale con persone dello stesso sesso è un'espressione legittima dell'inviolabilità e della dignità della persona", e lavora con determinazione per la sua accettazione in tutto il mondo».