L’ateismo nel cristianesimo ed il cristianesimo ateo

di Francesco D’Alpa   (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.)

 

Dell’ateismo (o meglio degli ateismi), delle sue origini (o cause), delle sue manifestazioni (o teorizzazioni) e dei sui esiti è stato scritto molto, ed in modo sempre più veemente in parallelo al crescere della sua diffusione nel mondo moderno. Nell’Occidente a prevalente tradizione cristiana il suo aspetto più noto è l’opposizione radicale e di principio all’idea del dio biblico, del quale è stata infatti decretata la morte. Ciò ha da tempo immemorabile delineato una apparente piena antitesi fra credenza ed incredulità, mentre invece credenza (nel dio giudeo-cristiano) e sua negazione sono (a ben vedere, o almeno per molti che si sono interessati all’argomento) solo gli estremi di un continuum, al cui interno riscontriamo una ampia eterogeneità di atteggiamenti con un conseguente rilevante peso sociale.

 

Ateismo nel cristianesimo

Mi riferisco innanzitutto ai cosiddetti ‘atei pratici’, per come la stessa predicazione cattolica ha definito coloro che pur affermando di credere nel dio cristiano, vivono di fatto ignorandolo.

Molti di costoro appartengono al tipo ‘consuetudinario’ (come mi piace definirlo), oggi numericamente in declino. Di esso facevano certamente parte molti dei nostri padri o nonni, e forse addirittura la maggior parte di coloro che un tempo frequentavano da adulti la chiesa (e da piccoli il catechismo) per abitudine puramente formale; che altrettanto formalmente rispettavano i riti e i sacramenti, ma che poco conoscevano della teologia ed ancor meno se ne interessavano; che nel quotidiano si erano di fatto (spesso quasi inconsapevolmente) ritagliati una personale ed autocompiacente morale, che in definitiva avevano compiuto le fondamentali scelte di vita sempre “come se Dio non ci fosse”.

Il secondo tipo di ateo pratico che viene alla mente, socialmente più accattivante ed attuale, è quello sinceramente disposto (o almeno disponibile in prima intenzione) ad accettare il messaggio evangelico (eventualmente in una forma in qualche modo elaborata personalmente), ma che rigetta gli inattuali miti presenti nelle Sacre Scritture, che non apprezza l’inquietante Dio biblico, che non accetta i dogmi introdotti dalla Chiesa e le irragionevoli elucubrazioni dei teologi, e che in ultima analisi apprezza lo spirito cristiano ma non (o più che) la religione cristiana.

Ma l’ateismo non è solo contrapposizione alla credenza; e paradossalmente può essere ed è proprio il frutto o l’esito inevitabile di un pieno ed onesto credere.

L’argomento cui mi riferisco non è certo fra i più esibiti  (ameno da parte clericale), e non senza ragione. Provo a sintetizzarlo prendendo spunto da due fra i testi più noti in materia: quelli di Thomas Altizer e di Ernst Bloch (vedi i relativi box). L’idea di fondo di questi due autori (per nulla i primi a proporla) è che nella storia del giudaismo e poi del cristianesimo l’idea stessa di Dio (agente sul mondo, esterno alla realtà materiale) si sia progressivamente eclissata in favore di una progressiva presa di coscienza individuale, con l’imporsi di un soggettivismo religioso che non si riconosce più nelle forme tradizionali della credenza e della religione istituzionalizzata. Ciò sarebbe avvenuto non per deviazione dalla concezione originaria e seguendo un voluto allontanamento da Dio, ma proprio in conseguenza di una inevitabile e logica evoluzione del credere, già implicita nel tardo ebraismo ma sempre più netta nel corso del cristianesimo. In esito a questo processo, il cristiano medio attuale, pur proclamandosi ancora cristiano, non fa più riferimento al Dio biblico ma principalmente all’uomo (divinizzato) Gesù ed alle parti del suo messaggio non in contrasto con i valori della modernità. L’ateismo pratico ha dunque i contorni della demitizzazione e della desacralizzazione. Filosoficamente non denota una rottura, ma anzi una continuità, un progresso: nel senso di una umanizzazione della religione, del passaggio ad un stato superiore di autocoscienza dell’uomo.

A differenza dell’ateismo del mondo antico, che nelle sue forme più note nasceva da una opposizione teorica alla credenza o da un aprioristico rifiuto di essa (ed era disprezzato e punito in quanto contestazione, entro certi limiti, dei vincoli sociali e del comune sentire), l’ateismo cristiano si mostra (a saperlo riconoscere) come evoluzione insita ed esito specifico del cristianesimo; ne condivide infatti le origini (il messaggio evangelico che sconfessa la ‘vecchia alleanza’) ed i motivi (una forte pulsione etica). Non a caso è stato scritto in proposito che un vero (per certi versi compiuto e ‘sano’) ateismo era possibile ed è potuto infatti nascere solo all’interno dell’occidente colto e cristianizzato, a differenza di quanto non è stato possibile nel mondo orientale (non cristianizzato).

Come corollario di questo schema interpretativo, tuttavia, accettata l’idea della inevitabilità di un ateismo (in buona misura, peraltro, autocritico) insito nel cristianesimo, l’ateismo tout-court (quello della negazione assoluta di Dio) può contare su di un importante appoggio esterno nella sua opera di decostruzione del cristianesimo.

 

Cristianesimo ateo

Se è vero che il migliore ateo è il cristiano (della specie appena descritta), è altrettanto vero che il migliore cristiano è nei fatti l’ateo (come sostiene Bloch). Solo un ateo può infatti realizzare disinteressatamente le istanze etiche più ‘umane’ e dare un senso ai ‘valori’ più avanzati. L’umanizzazione della giustizia, tanto per fare un esempio (pensiamo alla abolizione della pena di morte) non deve certo ringraziare la Chiesa né la teologia cristiana; il volontariato civile ha senso solo per amore dell’uomo e non per compiacenza a Dio; il sostegno agli indigenti ha merito quando non è promosso come una raccolta a punti per guadagnarsi il premio del paradiso. Amare il prossimo come se stessi è massima evangelica, ma non è regola etica ignota al mondo antico; e non presuppone l’autorità divina. Da qui una possibile coincidenza (nell’agire) fra seguaci del Vangelo ed atei dai ‘modi’ cristiani; e forse il mondo auspicato dal cristianesimo ateo è davvero il migliore dei mondi possibili, perché ha l’uomo per soggetto, oggetto e fine.

 

Ateismo cristianista

Nella varietà delle misture fra ateismo e cristianesimo appare rilevante identificare una terza categoria (decisamente la peggiore): quella degli atei cristianisti, meglio descritti sui media come ‘atei devoti’, molto  numerosi fra gli intellettuali (fra i più noti al grande pubblico, tanto per citarne qualcuno, Guliano Ferrara, Marcello Pera, Oriana Fallaci). L’ateo devoto tipico fa integralmente sue (e spesso acriticamente, contro ogni evidenza razionale) molte delle tesi dottrinali e soprattutto anti-ateiste della Chiesa cattolica; non per una convinzione razionale, assai meno per un atto di fede (che addirittura può ripugnargli) ma solo perché (almeno dichiaratamente) guidato dall’intento di salvaguardare la “tradizione cristiana”, o meglio le presunte “radici cristiane dell’Occidente”. L’orizzonte degli atei devoti non è quello dei predicatori, ma quasi esclusivamente quello dei valori o meglio dei cosiddetti ‘valori non negoziabili’ (come li definisce la Chiesa cattolica), anche nella presunzione che quelli che essi difendono sarebbero specifici e soprattutto originari del cristianesimo. In realtà, molti dei valori cui gli atei devoti fanno riferimento (ad esempio: la democrazia, la libertà di espressione, i diritti civili, la salvaguardia della vita e del creato) non sono nati in ambito cristiano; la Chiesa cattolica li ha piuttosto cooptati, spesso dopo averli a lungo avversati. Se così è, questa difesa della “tradizione cristiana” è una comoda maschera, che nasconde interessi di altro genere, soprattutto convenienze politiche. Non può certo sorprendere che la maggior parte degli atei devoti di oggi siano esponenti del conservatorismo, così come quelli di ieri lo erano dei fascismi (basti pensare a Mussolini). Appare inevitabile che molti intellettuali tradizionalisti critichino aspramente i cristianisti e che molti cristiani accusino i cristianisti di avere svuotato la fede di qualunque senso religioso; e non deve sorprendere che proprio fra i personaggi più irreligiosi a volte si verifichino (come fra i mafiosi che aspirano al ‘perdono’)  ‘inattese’ conversioni e inverosimili affermazioni di fede. Altre volte la fede non viene dichiarata (o addirittura è negata): l’interessato ne attribuisce (ipocritamente) l’assenza alla mancata ricezione di quello che i cristiani ‘autentici’ ritengono un dono dal cielo, ma al contempo sostiene (molto superficialmente e immotivatamente) di vivere comunque (sia pure da non cattolico e non osservante) ‘come se Dio ci fosse’.