Presi dalla rete
di Francesco D'Alpa

Libera diffamazione in libera rete?

 

Fra i punti forti di Internet c'è la possibilità offerta alle cosiddette "minoranze" (culturali, sociali, etniche, politiche, linguistiche, religiose. etc..), solitamente escluse dal grande circo mediatico, di potersi esprime liberamente e raggiungere qualsiasi potenziale interlocutore, sfruttando il basso costo e la relativa semplicità del sistema. 

Ma questa libertà finirà col vanificare il concetto di responsabilità? A giudicare da quanto ci viene d'oltre oceano, si deve temerlo.[1] Un giudice della Corte Superiore della California per la contea di Alemeda ha rigettato (il 25 luglio 2001) il ricorso presentato dagli attivisti di Quackwatch(www.quackwatch.com ) Stephen Barrett e Terry Polewoy contro una diffamazione attraverso la rete. In pratica, i due medici si sono sempre battuti contro la presunta efficacia delle medicine alternative; ma la sig.ra Ilena Rosenthal, che invece ne sostiene l'uso e che guida su Internet un gruppo di supporto per donne con impianti al seno, aveva distribuito su di un newsgroup un messaggio in cui l'autore sosteneva fra l'altro che Quackwatch è "un branco di socialisti bigotti pseudoscientifici" in cerca di potere e definiva i due medici imbroglioni ed arroganti. 

In sostanza la corte, rigettando il ricorso, ha voluto riaffermare il principio generale di potere esprimere le proprie idee con la massima libertà di linguaggio, estendendolo in modo particolare ad Internet. 

Nella motivazione della sentenza si sostiene che le caratteristiche di una discussione, accettabili pubblicamente, si sono notevolmente evolute negli ultimi cinquant'anni; ed Internet va dunque accettato per quello che è: un terreno di scambi particolarmente animati, con molte libertà altrimenti non possibili; e comunque non legato agli standard ed alle restrizioni doverose sulla stampa quotidiana e nell'editoria in genere. 

Secondo il giudice, fra l'altro, i due medici sono figure pubbliche e quindi con limitata copertura rispetto al dileggio. Inoltre, la sig.ra Rosenthal non può essere ritenuta responsabile (così come non lo sono negli Stati Uniti i provider e i semplici utilizzatori di Internet, in base al "Communications Decency Act" federale) per i messaggi apparsi nel suo newsgroup, non essendo né un editore né un portavoce di terze parti (e si tratta della prima volta in cui questa protezione viene estesa a semplici utilizzatori di Internet); essa non aveva né creato né sviluppato il messaggio incriminato, del quale resta responsabile (se si dimostra il suo carattere diffamatorio) solo chi lo ha originariamente scritto. In pratica nella sentenza si sostiene che mentre giornali e riviste sono una sorta di terra ferma dell'informazione, soggetta a precise responsabilità, Internet è soprattutto un luogo informale di espressione e ricircolazione di opinioni, che tende per la sua stessa natura all'esagerazione ed allo scarso controllo, e per questo motivo non si può limitarne la libertà né più ne meno di come non la si limita nella conversazione ordinaria. 

Ma secondo gli avvocati di Quackwatch, lo spirito della legge attualmente in vigore negli Stati Uniti non è mai stato quello di offrire una sicura impunità a chiunque fa ricircolare affermazioni di altri. Altrimenti basterebbe che qualcuno postasse su uno degli più oscuri angoli di Internet un messaggio diffamatorio, perché poi altri lo possano liberamente fare ricircolare per tutta la rete, con la massima visibilità, cosa che invece non è permessa dalle leggi e consuetudini sulla carta stampata. 

Se l'appello presentato adesso dai due medici (decisi ad arrivare fino alla Corte Suprema, se necessario) verrà rigettato, si tratterà di una vera e propria rivoluzione delle leggi sulla diffamazione, che distruggerà del tutto la responsabilità dei singoli nella ricircolazione di affermazioni altrui annullando di fatto il reato di diffamazione, in molti dei contesti in cui è stato finora applicato. 

Note

1) Meg James "Courts: Some say judge's decision extend free-speech protections to ordinary users", Los Angeles Times, 31 luglio 2001.


10-09-2001

Pubblicato su: https://www.cicap.org/n/articolo.php?id=200045