Medicina alternativa ed insegnamento medico

In molti paesi, in particolare quelli anglosassoni, si discute da tempo sull'opportunità d'inserire le medicine complementari ed alternative nei programmi d'insegnamento delle scuole mediche.

Secondo i sostenitori delle medicine complementari ed alternative, non è infatti realistico continuare a ignorare quanto nella pratica funziona (almeno a loro giudizio), solo perché non ne è ancora sufficientemente chiaro il meccanismo d'azione; si dovrebbe in sostanza tendere sempre più verso un approccio integrato alla salute ed alla malattia, superando contrapposizioni controproducenti, nell'interesse del paziente.

Tale inserimento nei curricula scolastici sarebbe legittimo ed auspicabile per almeno un paio di motivi. Il primo, che sicuramente, entro un limitato numero di anni, le medicine alternative diventeranno, visto il trend attuale, parte integrante degli interventi praticati nelle strutture ospedaliere, non ultimo perché la definizione stessa di medicina (come quella di salute) nel frattempo sarà diventata più ampia di oggi. Il secondo, che, poiché nella pratica medica sarà sempre più facile imbattersi in pazienti con una storia personale che include il ricorso alle medicine complementari ed alternative, sarà bene che il medico, soprattutto se di base, possieda il bagaglio culturale adeguato per gestire al meglio la situazione.

Un secondo motivo sarebbe una sorta di tentativo di salvare il salvabile, di mettere ordine in un universo caotico, di codificare delle pratiche che probabilmente saranno sempre più utilizzate dai medici, sotto la pressione della richiesta del pubblico, a prescindere dalla loro efficacia. Non è estranea a ciò la considerazione che fin tanto che le medicine alternative saranno per la maggior parte escluse dalla rimborsabilità, i medici vedranno in esse una proficua nuova forma di reddito, quando anche fosse legata ad un puro e semplice effetto placebo.

Nei paesi in cui le medicine complementari e alternative sono state in qualche modo inserite nella pratica medica, anche solo a livello sperimentale ed a scopo di valutazione, è stato necessario redigere delle linee guida, abbastanza rigorose nonostante le aperture verso l'alternativo. Tali linee guida vengono spesso citate come prova di una avvenuta legittimazione delle stesse medicine alternative e come lasciapassare per l'introduzione di nuovi corsi di insegnamento; e sbandierate nel promuovere, presso il grande pubblico o gli operatori della salute con atteggiamento meno critico, metodi di cura ancora tutt'altro che provati; e con un effetto domino supportano le pretese di chi invoca maggiori concessioni all'alternativo.

Dal punto di vista della medicina scientifica, le verifiche sulla efficacia e sulla legittimità di tali pratiche non possono che essere anteposte alle scelte politiche. Per questo, accettando il confronto con le medicine alternative, ci si deve oggi chiedere essenzialmente: (a) come stabilire se queste terapie siano davvero efficaci, e (b) come integrarle alla pratica medica, nel caso che se ne dimostri l'efficacia di qualcuna.

Il primo punto è il più conflittuale. I medici alternativi non solo ritengono illegittime molte affermazioni che di fatto rendono la medicina scientifica assolutamente impermeabile verso le loro istanze, ma contestano anche la metodologia scientifica in sé, laddove ad esempio si tratta di verificare l'efficacia o non di qualcosa. In linea di massima l'osservazione aneddotica e la valutazione soggettiva vengono di fatto anteposte dai medici alternativi alle analisi su base statistica, in doppio cieco e tramite trials prolungati su ampie popolazioni. Questa opposizione di principio non può essere facilmente superata, perché proprio sulla base di questo diverso atteggiamento sperimentale la medicina scientifica si è differenziata (con indubbia legittimità e con ampio successo), da più di un secolo, da un certo pensiero medico che l'ha preceduta, e di cui la medicina alternativa è ancora parte.

Ma anche ipotizzato che un giorno alcune delle tecniche proposte dalle medicine alternative dimostrino una loro efficacia (in particolare nel caso dell'agopuntura), come integrarle nella medicina scientifica? Il conflitto fra medicine alternative e medicina scientifica è infatti un vero e proprio conflitto fra sistemi dottrinali per molti aspetti incompatibili. La medicina scientifica è oggi indubbiamente quella che offre le spiegazioni e le risposte pratiche più soddisfacenti. L'accettazione nella pratica medica di argomentazioni in chiaro conflitto con dati sperimentali ampiamente consolidati (ad esempio la ipotetica più intensa azione farmacologica delle diluizioni omeopatiche di una sostanza) non sembra neppure lontanamente pensabile.

Da un punto di vista pratico, anche non tenendo conto delle precedenti considerazioni, il punto centrale non è quello di stabilire quali sistemi medici alternativi possono essere introdotti nella pratica medica, ma piuttosto di evidenziare quali "rimedi" possono essere utili e quali no, e come usarli.

Come è possibile incorporare, se pure lo si volesse, le medicine alternative nel curriculum formativo dei medici? Il problema è di grande attualità, e viene discusso nelle facoltà mediche e nelle organizzazioni professionali.

Superate le contrapposizioni di principio, occorrerebbe valutare criticamente la letteratura prodotta dai medici alternativi, con criteri scientifici, soprassedendo per il momento su considerazioni generali sulle singole dottrine e focalizzando l'attenzione su singoli temi, su specifici trattamenti per ben identificate condizioni. Alcune fra le medicine alternative suscitano maggiori aspettative di efficacia (la chiropratica, l'agopuntura, il massaggio, la fitoterapia, gli approcci integrati mente-corpo).

Ma l'apprendimento delle medicine alternative non può essere solo teorico; deve comprendere una adeguata pratica clinica, di non facile attuazione. Introducendo la sperimentazione clinica sulle terapie alternative nella routine ospedaliera e nei curricula formativi e sottoponendola a linee guida, si corrono tuttavia diversi rischi: (a) quello di fornire loro, involontariamente, una ingiustificata credibilità, (b) quello di convalidare metodi di diagnosi e di ragionamento clinico irrazionali e non supportati scientificamente, (c) quello di trasferire direttamente nella pratica clinica prodotti (ad esempio erbe, che sono veri farmaci) che non hanno superato l'iter sperimentale previsto per tutti gli altri farmaci.

Coutilizzare medicina scientifica e medicina alternative presuppone che delle seconde si sia provata l'efficacia; inoltre i medici alternativi dovrebbero essere ben coscienti dei limiti delle loro terapie e parlarne apertamente, cosa che di fatto non avviene.

Le medicine alternative, nonostante la pretesa di costituire un sistema medico completo, non tendono a formare una mentalità critica; e dunque, come sottoporle a studenti che mancano di esperienza e rischiano di essere fortemente disinformati? Il loro insegnamento rischierebbe col divenire un semplice indottrinamento, anche perché la pratica alternativa è già di per sé fortemente legata agli aspetti della comunicazione. Poiché gli aspetti emozionali e relazionali sono fondamentali nelle medicine alternative, occorre che gli studenti siano in grado di tenerne conto: per questo dovrebbero innanzitutto conoscere le tecniche di comunicazione corporea, di propaganda, di suggestione e ipnosi, di memorizzazione, ma anche sapere ben ponderare il valore delle testimonianze, la cattiva interpretazione dei sintomi e delle sensazioni da parte dei pazienti.

Inserire l'insegnamento delle medicine alternative (o almeno di alcune di esse) all'interno dei programmi universitari, quanto meno per adeguarsi alla realtà della medicina pratica di questi tempi, darebbe la possibilità a tutti i medici di rispondere meglio alle richieste dei propri clienti; ma in questi termini il problema sembra piuttosto mal posto. In realtà l'obiettivo primario delle scuole di medicina è quello di preparare dei professionisti capaci di curare le persone utilizzando trattamenti di provata efficacia; e dunque la questione che occorre mettere sempre prima sul tavolo è la dimostrazione della efficacia dei trattamenti alternativi. Il medico non deve abdicare al suo ruolo, nel timore che il suo cliente, alla fine, "sotto la sua responsabilità", possa ricorrere, altrove, a trattamenti non provati o affidarsi ad un ciarlatano.

D'Alpa Francesco