Le ragioni del panda
Il mio precedente intervento sui ‘cristiano-panda’ (ma anche sugli ‘ateo-panda’!) ha suscitato l’indignazione di un lettore per l’uso di questo termine nel definire i martiri della fede (o comunque i perseguitati); atteggiamento legittimo, se il termine provenisse dai carnefici (o da compiaciuti spettatori) e non piuttosto dal campo stesso delle vittime. L’abbinamento fra cristiani e panda nasce infatti da un articolo pubblicato proprio da un giornalista cattolico su di un quotidiano che più cristiano non si può (anche perché in sostanza esprime il punto di vista della gerarchia cattolica attuale), e vuole indurre alla commozione (oltre che all’indignazione) per la sorte di chi appare ingiustamente destinato alla estinzione.
Miglior suggerimento non poteva venirne a chi ha sempre ben presente l’altro articolo cui facevo riferimento, ovvero quello sugli Atei del 1998 a Congresso a Trento, descritti come ometti ridicoli, come illuministi retrò, o come dopolavoristi; senza alcun rispetto per le loro oneste proposte e rivendicazioni.
Vorrei tornare sul contenuto di questo articolo del 1998. Esso prospetta come evidenza la sconfitta delle teorie ateo-agnostiche; ma non si chiede come e perché solo così pochi atei e agnostici sentano il bisogno di organizzarsi in associazione, nonostante il loro numero reale sia ben maggiore (il giornalista quasi finge del resto di ignorare la grande presenza ateo-agnostica in Italia). Gli atei a congresso vengono dunque definiti panda, proprio per sottolineare la loro inevitabile estinzione, rispetto alla quale l’articolista appare assolutamente indifferente e di fatto lieto (se non irrispettoso).
Il secondo e molto più recente articolo mostra un atteggiamento ben diverso. I panda a rischio di estinzione, stavolta cristiani, vengono compianti; se ne vuole scongiurare la fine, causata da motivazioni politico-religiose. L’impianto espositivo è fortemente di parte, coerente con una lunga tradizione cattolica, che impone uno schema preciso: i cattolici possiedono la verità assoluta e sono l’unica religione vera, che va difesa; le altre sono religioni false o imperfette; di conseguenza (e per volontà divina) gli uomini debbono migrare dalle religioni imperfette (o dall’ateismo) verso la ragione ‘Vera’. Per questo motivo l’estinzione del cristiano-panda è un evento catastrofico, non tanto e non solo per la sorte dei singoli cristiani martirizzati o espulsi delle loro terre, ma soprattutto in quanto impedisce alla ‘Verità’ di proporsi liberamente ai popoli. In una prospettiva di lungo termine, l’allarme è sul rarefarsi dei cristiani più che sulla loro personale uccisione.
In buona sostanza, i due articoli ripetono un antico ritornello apologetico-propagandistico: la libertà di espressione agli atei è al più una concessione; la libertà di espressione (e di culto) dei cristiani è una necessità.
Ma il problema sollevato è più ampio, ed il mio articolo ha giusto inteso proporre alcune riflessioni generali sulla presenza ed il ruolo delle culture fortemente minoritarie: come si sono costruite storicamente queste minoranze? qual è l’atteggiamento delle culture maggioritarie rispetto a quelle minoritarie (protezione, compressione, tolleranza)? qual è l’atteggiamento delle minoranze culturali rispetto alle maggioranze?
Se guardiamo al Medio Oriente (è il caso dei cristiano-panda), la cultura oggi minoritaria in quei luoghi non si può dire si sia affermata (lì come altrove, salvo eccezioni) per pure ragioni di contenuti di fede. Essa si è imposta soprattutto per imposizione (‘cuius regio, eius religio’), o come esito di lotte (anche militari) all’interno della stessa fede cattolica e contro le culture e le fede religiose preesistenti. Nulla di strano che, nel rimescolio dei tempi, gli aggressori di ieri si siano trasformati negli aggrediti di oggi, per ragioni storico-religiose simmetriche.
La posizione ‘politica’ della cristianità riguardo al rapporto maggioranza-minoranza è ben evidente nello sviluppo della sua vicenda storica. Il cristianesimo emergente ha cercato spazio nel mondo romano invocando la libertà religiosa e di coscienza; ma poi il cristianesimo al potere ha proclamato ideologicamente il diritto-dovere, in nome della ‘Verità’, di reprimere quanto non conforme a sé, realizzando il suo proposito con ogni mezzo (dalla compressione dei diritti individuali alla eliminazione dei dissenzienti). La posizione laica ha parimenti sempre invocato e invoca tuttora la libertà religiosa e di coscienza, ma su basi universali; la compressione del diritto altrui e financo l’uccisione (molte volte verificatesi, purtroppo) sono risultati accadimenti storici contingenti, ma non rientravano e non rientrano nell’idea (o, se si vuole, nell’ideologia) di fondo. La radicalità di certi interventi (uno per tutti l’esempio infausto della Rivoluzione francese) ha acquisito particolare virulenza solo perché saldatosi a gravi problematiche sociali.
Un lettore ha invece colto nel mio articolo un “tono sarcastico” verso i cristiani, a suo dire fuor di luogo di fronte ai crimini cui essi soggiacciono in Medio Oriente. E per questo motivo ha scritto: “Mi ha dato fastidio perché manca di un minimo di empatia nei confronti di popolazioni che soffrono e non è perché la chiesa è sgradevole con gli atei che bisogna scendere al suo livello definendoli cristiani-panda. Sembra quasi che provi uno smaliziato piacere. […] Un articolo del genere sulla stampa anglofona o francofona che definisce panda i cristiani in medioriente lo trovi solo su siti islamisti o di estrema sinistra ma proprio marginale. Ripeto la scarsa presenza di cristiani del medioriente in Italia permette questo tipo di articoli che si divertono della loro situazione”.
La maggioranza dei lettori, più attenti al senso, non ha tuttavia percepito, e con ragione, alcun tono denigratorio. Oggetto del mio commento è infatti proprio la battaglia in favore delle minoranze, e dunque anche in favore della minoranza cattolica in Medio oriente, che assolutamente rispetto, e che giustamente ha il diritto di invocare la libertà di espressione. Ma i cattolici, in altre parti del mondo, usano lo stesso metro? Il caso che ci preme è ovviamente quello dell’Italia, dove è costituzionalmente prevista una piena libertà di opinione, ma dove i cattolici non tollerano affatto noi atei (vedi la vicenda degli Ateobus), così come non tollerano omosessuali e via dicendo; e dove auspicano (anche ‘ex-legis’) l’uniformarsi di tutti alle norme morali da loro proposte in quanto supposta maggioranza culturale; marciando, di fatto, contro quei principi che vorrebbero invece introdotti in Medio oriente. Ed è così da sempre.
Giustamente un avveduto lettore commenta: “a me non pare che D’Alpa irrida o dileggi le persone che subiscono violenza, semplicemente enfatizza con l’ironia la posizione spesso ipocrita o strumentale della CCAR […] guarda che non mi pare che si usi la parola ‘panda’ in senso spregiativo, tanto che parla anche di ateo-panda e, prima, di ’sindrome del panda’. La metafora zoologica non mi pare di per sè un insulto”.
Un altro lettore aggiunge, sulla stessa linea: “Cristiano-panda” non è (non vuol essere) un’espressione offensiva, tant’è vero che l’autore la applica anche al proprio gruppo di appartenenza, gli atei. Qui “panda” significa semplicemente “minoranza che tende a ridursi ulteriormente. L’articolo non sembra animato da livore anti-cattolico, tantomeno da volontà di dileggio nei confronti delle comunità cristiane/cattoliche perseguitate (In particolare non sta usando la storia antica per giustificare le persecuzioni di oggi. Rileggete meglio, non è un discorso “giustificazionista”). Prende invece di mira il doppiopesismo dei vertici vaticani e dei loro organi di stampa, che applicano un metro di giudizio ai paesi a maggioranza cattolica, e il metro di giudizio opposto ai paesi in cui i cattolici sono minoranza. Semmai il livore anti-cattolico lo leggo in certi commenti sottostanti, che davvero mancano di empatia verso i perseguitati per motivi religiosi. Ma di quelli Francesco D’Alpa non è responsabile”.
Un ulteriore lettore conferma: “Il confronto era tra l’articolo (anche condivisibile) di Franco di oggi, a favore delle minoranze cristiane perseguitate in Oriente, e quello di Beretta del 1998, pieno di dileggio per la minoranza atea in Italia. Certamente non vittima di violenze sistematiche, quest’ultima, ma comunque meritevole di rispetto, totalmente assente negli sghignazzi di Beretta. Più in generale, al di là dei due specifici articoli di giornale considerati da D’Alpa, la tendenza del Vaticano ai due pesi e alle due misure, in materia di diritti civili, a seconda dei rapporti di potere, è un fatto incontestabile, oserei dire”.
Ed un ultimo lettore coglie più compiutamente il senso del mio articolo: “Ho apprezzato molto l’articolo di Francesco D’Alpa, in particolare ho apprezzato le analogie che elenca riguardanti fatti non legati tra loro per cronologia ma, appunto, per similitudine”.
Detto questo, alcune puntualizzazioni (stavolta di un’ateo) meritano un’accurata riflessione: “Penso che sia profondamente sbagliato far ricadere sui figli le colpe dei padri, o sui discepoli quelle dei maestri. Il fatto che i cristiani si siano resi colpevoli di persecuzioni ai danni di chi professava altre religioni mi interessa dal punto di vista storico e per l’insegnamento che se ne può trarre sulla natura umana, ma non giustifica in alcun modo la violenza odierna degli islamici nei loro confronti […] Anch’io ho amici cattolici che sono ottime persone. Immagino, peraltro, che esistano ottime persone anche tra gli islamici, ma mi pare che per molti versi la loro cultura sia incompatibile con la nostra”. In parte sono d’accordo: le colpe dei padri non debbono ricadere sui figli, come in una perenne faida. Ma stiamo attenti. Purtroppo la Chiesa Cattolica pontifica, oggi e sempre, sulla base dei suoi documenti. Dunque, le Sacre Scritture (o almeno una loro parte) ci insegnano giusto il contrario: le colpe ricadrebbero sui figli “fino alla settima generazione”. Non essendo mai state rinnegate queste scritture, la loro brace è sempre pronta, anche da noi, ad infiammare gli integralisti.
C’è un altro aspetto che mi preme sottolineare. Si compiange la morte dei cristiani in Medio Oriente, ma poi si attaccano sempre e solo gli atei; le colpe di tutto vengono trasferite dalle religioni alla non credenza. Non a caso il cristianesimo viene attualmente presentato dai vertici cattolici come cultura ponte con l’islamismo, e si sostiene che “meglio musulmani che atei”, in sgradevole sintonia col “meglio cristiani che atei” dei fondamentalisti iraniani. Ma non sono gli atei a uccidere oggi i cristiani o i musulmani (o a limitarne i diritti sociali); sono proprio i cristiani ed i musulmani a scannarsi sempre e comunque fra di loro (non dimentichiamo i crimini di parte cristiana durante la guerre civile in Ruanda, e l’attacco ai paesi islamici guidato dai ‘religiosi’ Stati Uniti del credente Bush).
Concludo con un dovuto commento alle oneste osservazioni di quel lettore che lamenta una certa mia unilateralità di giudizio: “L’articolo di Francesco d’Alpa mi pare giustificato e corretto. Aggiungerei solo un paio di considerazioni […] mi pare un po’ ingeneroso da parte di Francesco d’Alpa il limitarsi a criticare giustamente l’ipocrisia Cattolica e Vaticana senza spendere qualche chiara parola ci solidarieta’ verso i perseguitati ed i macellati, ripeto non perseguitatori mai, ne’ proselitisti da 14 secoli e mezzo. E questo anche perche’ noi atei agnostici, apostati e liberi pensatori in genere veniamo ancor prima nella lista dei nemici da sterminare (neanche da opprimere) da parte degli islamisti. Non solo un po’ stona questa mancanza, ma anche c’e’ una esagerazione e vera fallacia laddove si attribuisce alle giuste (ma ipocrite, vero anche questo) lamentele della Chiesa Cattolica “pro cristiani panda”, anche una valenza di “appello a ripopolare” le zone dei “cristiani Panda” stessi. No, questo una chiesa cattolica educata maturata contrastata e limitata quasi da 3 secoli di opposizione da parte di illuminismo laicismo progresso civile, democrazia, liberalismo, socialismo, non succede. La Chiesa non lo chiede proprio. […] Siccome tutto questo sta accadendo in contemporanea alla estensione e pubblicazione del pur valido articolo di Francesco D’Alpa, non c’e’ da meravigliarsi che omissioni su questi fatti eclatanti, scandalosi, gravissimi e minacciosissimi appaiano come segni di squilibrio, di laicismo a senso unico, piuttosto che applicato a 360 gradi. Sarebbe opportuna una sua presa d’atto e condanna anche di questo, magari in un secondo articolo”.
Non posso certo dare torto a questo intervento e mi impegno, come suggerito, a tornare sull’argomento. Per il momento mi limito a sottolineare quanto il mio articolo fosse rivolto alle questioni di ordine generale, alle grandi tematiche storico-religiose, piuttosto che ai risvolti politico-sociali. In buona sostanza, per il momento ho voluto ridurre le stragi a mero accidente storico rispetto al fondo ideologico che le sottende. Ed in questo senso non vedo diversità nell’atteggiamento di oggi dei musulmani rispetto all’atteggiamento storico dei cristiani: l’assassino di oggi non può venire condannato più o diversamente di quello di ieri. Purtroppo l’assassino di oggi non è (o non è solo) un uomo, o un popolo, ma piuttosto una ideologia (l’islamismo) che la chiesa condanna soprattutto (nonostante i reciproci inchini) in quanto ideologia ad essa contrapposta.
A questa ideologia e al cristianesimo stesso come ideologia (e conseguentemente a tutti i reciproci sicari) ritengo di dovermi opporre con le sole armi della consapevolezza e della ragione.