Le ragioni della Hack e la professione di fede del vescovo Zenti
Verona, 20 gennaio 2010, Auditorium della Gran Guardia. Diretta televisiva per l’atteso confronto tra il vescovo Giuseppe Zenti e l'astrofisica Margherita Hack (copresidentessa onoraria dell’UAAR). Un evento promosso anche dal circolo UAAR di Verona; organizzato dalla Fondazione Toniolo e dall'Assessorato alle politiche giovanili del Comune.
Tanto per cambiare, la chiesa gode (almeno in teoria) di qualche vantaggio iniziale: organizza l’incontro; tre dei quattro altri partecipanti sono pro Zenti, e solo uno pro Hack. Moderatore è Michele Brambilla scrittore e giornalista della “Stampa” (mantenutosi peraltro signorilmente neutrale); chiude don Bruno Fasani, responsabile dell'ufficio stampa della diocesi.
In base alle premesse non dovrebbe essere una partita a scacchi, semmai di bridge, con un dichiarante che deve realizzare quanto scommesso; cosa che non gli riuscirà.
La risposta del pubblico è notevole: quasi in mille in sala ed almeno altri quattrocento rimasti fuori. Un simile «dialogo su fede e scienza», hanno commentato in molti, fino a qualche anno fa non avrebbe suscitato tutto questo interesse. Forse perché si dava per scontata l’esistenza di Dio e la fede in un aldilà, o piuttosto perché oggi l’invadenza clericale suscita la decisa reazione dei laici?
Sin dalle prime battute Margherita Hack si dimostra pienamente atea (e del tutto indifferente al problema di Dio), ma altrettanto credente di ferro appare il suo interlocutore (capofila di una diocesi ben poco tollerante verso i non credenti), che nell’occasione mostra di rinunciare a certa arroganza catechesica, ma non evita di sentenziare, in un passaggio chiave, l’esistenza di un nesso fra ateismo ed egoismo. La Hack ribatte colpo su colpo sostenendo che di buoni e cattivi c’è n’è in tutti i gruppi; che i cristiani dovrebbero essere più cristiani; che l’etica è indipendente dalle religioni ed ha più valore se non si basa su ricompense ultraterrene.
Il pubblico, composto ed attento, si scalda nei brevi passaggi nei quali dall’astratta discussione sull’esistenza di Dio si passa alle questioni pratiche: la Hack si scaglia infatti contro l'ipocrisia di chi ad esempio difende il crocifisso e poi lo brandisce contro gli immigrati, perseguitandoli con leggi razziste (il riferimento esplicito è alla Lega); o contro chi, più in generale, compie barbarie in nome della religione. Interviene don Bruno Fasani, sostenendo che «non è la religione a fare disastri, ma il potere che si impadronisce della religione» e che «l’uso strumentale della religione è purtroppo trasversale a tutti i Paesi del mondo». Sappiamo bene quanto ciò non sia storicamente vero.
Per quanto riguarda il cuore del contendere, le ragioni addotte dal vescovo per dimostrare l’esistenza di Dio si dimostrano null’altro che motivazioni sentimentali, assolutamente personali, in buona parte legate alla propria biografia. Zenti propone invero alcune argomentazioni ‘razionali’ che ritiene solide, ma non trova di meglio che rispolverare un vecchio e retorico repertorio apologetico: Dio certamente esiste perché la Bibbia ci racconta che egli parlava con gli uomini; ce lo ha confermato Gesù, che su tale questione non poteva mentire; ce lo dimostra la complessità e bellezza dell’universo.
L’accento di Zenti cade soprattutto sulla relazione personale con questo ipotetico Dio: è nella quotidianità che si può vivere la relazione con Dio. La sua fede deriva soprattutto da un’esperienza: «è la vita che mi dimostra che Dio c’è ed è in relazione con me». Ma, come serenamente e puntualmente sottolinea la Hack, non si tratta di prove ragionevoli, quanto piuttosto di semplici suggestioni intime, che possono intenerire quanto una bella favola; nulla più. La scienza potrà anche essere, per certi aspetti, un atto di fede, ma limitatamente a certe sue ipotesi in attesa di conferma sperimentale. La fede dei credenti è invece cosa ben diversa; è convinzione personale refrattaria a critiche e verifiche.
Che dire del rapporto fra scienza e fede? Per Zenti scienza e fede si situano su piani diversi e complementari, ovviamente con la fede in posizione dominante (è l’idea tradizionale della chiesa moderna; giacché alla chiesa antica la scienza non interessava affatto). La fede permette di vedere in profondità, la scienza permette di penetrare nel profondo delle cose ed è per questo pienamente razionale; tolto Dio l’uomo diventa una larva.
Per la Hack questo modo di intendere non c’entra nulla con la scienza. Scienza e fede possono anche convivere in qualche scienziato proprio in quanto non si parlano. In tali casi la fede viene utilizzata come scorciatoia per spiegare alcuni misteri (della vita, dell’universo) con comode risposte immaginarie. Ma non ne abbiamo bisogno; ci basta questa vita. Tanto più si conosce l’universo, tanto meno esso appare legato al soprannaturale; lo spazio di Dio si restringe. Chi vuole credere ancora in un Dio ha l’atteggiamento del bambino che crede in Babbo Natale o nella Befana.
Fra gli altri temi, nel dibattito viene fuori una tesi abituale dei credenti di questi tempi: la scienza non può spiegare la complessità crescente dell’universo. Obiezione respinta prontamente dalla Hack: la complessità deriva essa stessa dalle proprietà intrinseche della materia, e non c’è bisogno di ricorrere a soluzioni infantili, come quella di Dio, per spiegarla.
Altre tesi di Zenti, chiaramente sulla difensiva, sono assolutamente scontate: Dio non si manifesta più perché rispetta la nostra volontà; l’aldilà esiste per una necessità di giustizia verso gli sconfitti dalla vita, e così via.
Ad un certo punto il vescovo dice la sua su argomenti che dovrebbero convincere dell’esistenza dello ‘spirituale’; «la materia non spiega tutto, basta osservare l’uomo, le cui attività sono in gran parte immateriali: il pensiero, le emozioni, i sentimenti». Anche qui, null’altro che argomentazioni anti-materialiste tipiche dei tempi passati, e di fatto passate oggi in assoluto secondo piano fra i teologi più accorti. Buon per lui, la cosa non ha seguito.
Il confronto volge alla conclusione. Sollecitata dal moderatore, la Hack dichiara che «sarebbe bello ritrovarsi nell’aldilà con tutte le persone cui ho voluto bene, anche con i miei animali, sarebbe una bella favola. Ma alle favole non credo». In realtà solo le nostre molecole di idrogeno possono considerarsi immortali; alla nostra morte svolazzeranno via ed andranno a costruire nuovi corpi.
La sfida finisce senza litigi, ed apparentemente senza vinti né vincitori, giacché nessuno dei due contendenti ha (ovviamente) cambiato le proprie idee. In realtà la sfida vede sconfitto il vescovo Zenti; aveva infatti promesso di esibire argomenti decisivi sull’esistenza di dio, che nulla si sono dimostrati se non ragioni del cuore o chiacchiere da prete. D’altra parte lui stesso ha ammesso: «entrambi crediamo nella potenza della ragione umana e quando mi diventa impossibile mi appello alla fede». Ed in un altro passaggio, ormai messo all’angolo dalla Hack, ha perfino dichiarato: «dire se Dio esiste o no è una questione che mi interessa poco. La questione vera è se esiste per me. Solo quando entra nella tua vita Dio esiste e a me l'ha rivelato Cristo, che se non fosse il Figlio di Dio sarebbe il più grande impostore della storia; poiché ci dice "io sono la via, la verità e la vita", e devo dire che stiamo bene insieme». In precedenza, ritenendosi in qualche modo denigrato, aveva sostenuto: «sono credente, ma non un credulone».
La Hack aveva invece semplicemente sostenuto, con modestia, che quelle del vescovo sono ragioni personali del credere, ma non spiegazioni razionali; e che, per quanto riguarda la sua esperienza, «la scienza non può dimostrare né che Dio esiste né che non esiste; ci sono scienziati credenti, agnostici e atei ed è inutile cercare motivazioni razionali in questioni che razionali non sono».