Il “tu” il “voi” e la lingua del cielo

Sulle pagine di Sette (21 luglio 2011), l’opinionista Beppe Severgnini viene interpellato su di un dilemma linguistico e di costume: non è irrispettoso ed imbarazzante dare il “tu” a tutti, come vuole una moda dilagante? non sarebbe meglio tornare al “voi”?
Lo stesso lettore, nel porre la domanda, propone una possibile (non molto plausibile) spiegazione di tale moda, ovvero il crescente uso di inglesismi nella nostra lingua (nell’inglese, infatti, non esiste distinzione fra “tu” e “voi”). Severgnini, da parte sua, non si pronuncia in modo deciso sul quesito, limitandosi a sottolineare la gradevolezza del “tu” nel solo caso in cui venga proposto educatamente; altrimenti sarebbe preferibile il “voi” o il “lei”.
Ma pochi giorni dopo Vittorio Messori (Corriere della sera, 26 luglio 2011) riprende la questione, amplificandone a dismisura (ed impropriamente) i termini: non una semplice questione di galateo, ma addirittura un problema di civiltà: quella del “lei” (o del “voi”) contrapposta a quella del “tu”. L’argomentazione di Messori è semplice: il “voi” manifesta rispetto, mentre il “tu” presuppone una certa familiarità; gli inglesi, ad esempio, fedeli alla propria tradizione, usano sempre il “voi” (“you”), anche con i sottoposti, con il coniuge ed i figli, con gli amanti, con i cani, cavalli e gatti; e riservano il “tu” (“thou”) solo al padreterno.
Il “tu”, secondo Messori, è stato imposto recentemente dallo “spirito sessantottino”, che voleva abbattere le tradizioni in nome di una presunta nuova giustizia sociale. E se è pur vero che anche fra tanti cattolici è oramai invalso l’uso del “tu”, ciò è frutto nel loro caso di un improprio concetto di “fraternità orizzontale”, quale si osserva comunemente nei partiti, nei sindacati, o nelle logge. Più in generale, la presunta fraternità connotata dal “tu” è l’espressione stessa del totalitarismo uniformante del nostro tempo, nemico della vera libertà, che meglio si accorderebbe invece con una buona misura di “verticalità”.
Il discorso ci può interessare, per sottolineare ancora una volta quanto siano contorte (ed infondate) certe argomentazioni dei cattolici. Infatti, come promoter dell’uso del “voi” Messori cita addirittura la madonna di Lourdes, che anche con la povera analfabeta Bernadette avrebbe usato per l'appunto il rispettoso “voi”, anziché l’umiliante “tu”, cui costei era avvezza. Conclude dunque Messori (in abituale polemica con determinate istanze e figure del cattolicesimo attuale): “Che cos’è questo sbracarsi del cattolicesimo, se sembra che si tengano educate distanze persino in paradiso?”; torniamo al “voi”, come piccolo impegno per la libertà, nello spirito di Lourdes, e dunque secondo le indicazioni del cielo.
Considerato anche il testimone citato, il ragionamento potrebbe suggestionare qualche cattolico; purtroppo utilizza una pessima e tendenziosa ricostruzione dei racconti apparizionari, unita al tentativo di mescolare sempre e comunque qualcosa “del cielo” con vicende terrene, che invece con esse (anche per i credenti) non possono avere alcun rapporto.
Infatti, se è vero (per chi ci crede) che la madonna di Lourdes ha usato il “voi” con Bernadette, e se è  vero che pur nella moltiplicazione delle attribuzioni, la madonna apparsa in tanti altri luoghi è sempre la stessa persona, essa avrebbe dovuto adoperare lo stesso “voi” negli altri incontri (in mezzo mondo) con tutti gli analoghi pastorelli e diseredati; quanto meno per coerenza.
Ma così non è. La madonna di Fatima, ad esempio, avrebbe usato sempre il “tu”, lo stesso può dirsi della madonna di Medjugorje, e così via. Quella del “voi” di Lourdes è l’eccezione e non la regola; e per noi ha valore di prova solo nel senso che ci illumina sulla lingua ordinariamente adoperata dalla veggente Bernadette. Quanto scrive Messori è palesemente privo di fondamento, esprime solo una sua personale (rispettabile) scelta linguistica; non ne deriva un particolare interesse generale, né per i laici, né tantomeno per gli stessi credenti. Ma l’abitudine (sua e di altri ben noti apologeti cattolici) di ricostruire ed interpretare sempre (spesso risibilmente) la piccola o la grande storia sulla base di presunti interventi soprannaturali, e la loro pretesa di imporre nella vita civile regole e verità “del cielo”, suscitano non poca irritazione.

Francesco D’Alpa

Pubblicato su: www.uaar.it (1 agosto 2011)