A proposito del contestare le parole del papa
Sul quotidiano “La Sicilia” (23 aprile 2009, p. 2) è stato pubblicato il seguente articolo.
«”La controversia sul papa: un filosofo ed un teologo a confronto. Eclissi di Dio e crisi apocalittica” di Sergio Sciacca.
Finiamola una buona volta con il politically correct e diciamo le cose con il loro nome. Dichiararsi atei è cretinismo. La cultura che sostiene atteggiamenti simili è stupidamente statica, incapace di vibrazioni, chiusa in se stessa. Con queste definizioni, accompagnate da scroscianti applausi del folto uditorio, lunedì scorso, Pietro Barcellona, filosofo del diritto ed editorialista del nostro giornale, ha preso posizione nel corso dell’animato dibattito promosso da Fondazione Sant’Agata e Centro culturale di Catania e condotto da Sergio Cristaldi (docente di Letteratura italiana) nell’aula magna intitolata a Santo Mazzarino presso la Facoltà di Lettere di Catania.
Tema del dibattito: Benedetto XVI e l’essenza del Cristianesimo, con un sottotitolo che senza cautele diplomatiche affronta il centro della questione attuale: Controversia su un Papa.
Definiamo il problema in termini netti. Il lettore ricorderà che fino a qualche anno addietro i politici più politicamente corretti, quelli più democratico-progressivi, facevano a gara nell’uniformarsi alle encicliche papali intonando i propri proclami e le proprie concioni su citazioni bibliche e dei Santi Padri. Da quando sul soglio di Pietro siede Benedetto XVI tutto sembra cambiato: progressisti ed europeisti, democratici e laici fanno a gara nel criticare il dictatum papale, imitati dalla bassa corte di giullari che sbeffeggiano, irridono e tirano metaforiche sassate. L’osservatore distratto potrebbe credere che il cambiamento di orientamento dipenda dal cambiamento della personalità papale - ha sottolineato Stefano Alberto, l’altro protagonista del dibattito, docente alla Cattolica, teologo e autorevole opinionista sulla stampa nazionale-: ma l’attuale papa, quando era cardinale, era l’animatore degli orientamenti teologici della Chiesa e proprio per questo papa Wojtyla vedeva in lui il proprio migliore continuatore. E allora; se gli orientamenti sono i medesimi, perché adesso non va più bene quello che un tempo si elogiava? Il fatto fondamentale è che con il nuovo papa la Chiesa ha intrapreso un cammino di rinnovamento, di dinamismo che va oltre il piano meramente sociale, oltre le proposizioni solidaristiche e si pone chiaramente gli obiettivi che sono propri della Fede. La Chiesa attuale non riduce la fede a sociologia: vuole farsi conoscere, vuole fare riflettere sulla realtà dell’esistenza, che è fatta anche di dolori, ma consapevolmente assunti.
Sulla base delle testimonianze il professore Barcellona ha indicato il cammino che resta da fare. La scienza umana da sola non può superare i problemi del vivere contemporaneo. La tecnologia anche più spinta fallisce. Ne abbiamo un esempio sotto gli occhi: gli economisti hanno fallito, la formula che avevano inventato per assicurare la ricchezza a tutti a tasso zero, ha determinato milioni di disoccupati e il precipizio della povertà a tasso fame. Tutto perché avevano dimenticato l’uomo che non è solo consumatore, ma anche essere pensante. Soprattutto è un essere che sente: passioni, simpatie, avversioni, amori. La razionalità fredda non gli basta. La civiltà informatica ci sta separando in monadi solitarie per quanto collegate virtualmente con tutti gli altri.
L’ateismo è stupido -ha ribadito Barcellona- l’unica alternativa è l’amore. Il pacifismo astratto è becero: cominciamo con il sanare le amarezze di chi ci sta vicino, in casa. Con loro dobbiamo impegnare la nostra anima, la nostra sensibilità, la nostra voglia di condividere.
E allora ci accorgeremo che la Chiesa di oggi, come quella di ieri, persegue il medesimo ideale evangelico (“ama il prossimo tuo...) anche se i politici e gli intellettuali del progressismo attuale ne trovano scomodi i richiami.»
Com’è ben evidente, nel dibattito pubblico mancava la parte avversa alle tesi di parte cattolica, rappresentate in diversa misura dai due dialoganti. Né l‘articolista sente di doverne fare equivalente menzione.
Nel tentativo di riequilibrare il dibattito ho inviato al giornale la seguente lettera, sperando che non venga come sempre cestinata.
Eclissi della religione ed insulti al Papa
Ritrarre enfaticamente papa Ratzinger come “dolce pastore” sottoposto al martirio mediatico alimenta un certo narcisismo cattolico che sembrava dimenticato. Di fronte alle critiche del mondo moderno egli non può certo rispolverare gli insulti con i quali i suoi predecessori ottocenteschi tentarono inutilmente di anatemizzare il mondo moderno, sbarrandogli la strada e ricompattando il numeroso gregge. Per questo oggi gli apologeti ed i supporter hanno scelto la strategia del vittimismo che, come insegna l’etologia, è spesso preferibile e vincente rispetto all’aggressività.
In molti, anche su testate non confessionali, descrivono in questi mesi il Vaticano come una cittadella assediata dalle “forze della laicità” e raccontano di un papa “oltraggiato” (vedi Di Fazio, su “La Sicilia”, 20 aprile 2009): come se, ad esempio, discutere su ”l’inesistenza di Dio” costituisse di fatto un affronto diretto alla persona del Papa, ritenuto “teologo principe” del Vaticano II, ovvero di quell’assise che invece (ma lo si vorrebbe dimenticare) finalmente sentì il dovere di guardare e capire il mondo reale, confrontandosi alla pari con esso, limitando al possibile i filtri di una astrusa teologia.
E’ vero, il monto laico ce l’ha col papa, ma non senza motivi. Il fatto è che gli uomini ragionevoli in genere, ma prima di loro i filosofi e gli scienziati non accettano più le cosiddette ragioni della fede; e per loro non hanno alcun significato gli oggetti della fede, né le implicazioni di una particolare fede fra le tante. Tutto ciò è lontano, in contrasto e spesso assolutamente opposto alle acquisizioni delle loro discipline; e non accettandolo non può accettarsi, sulle loro basi, un derivato primato ideologico e morale del papa.
Ma, ancor più, non si può accettare, e qui veniamo al cuore delle polemiche di questi giorni, che le idee più o meno personali che ogni papa può avere, vengano quotidianamente brandite da quest’ultimo con toni accusatori d’altri tempi, verso laici ed atei, contro il mondo scientifico, contro le istituzioni politiche e civili. Perché, parliamoci chiaro, anche noi laici ed atei ascoltavamo con interesse il suo predecessore, che per ampie parti del suo pontificato ha messo al centro i valori dell’uomo quale è percepito oggi, piuttosto che astratti derivati della teologia medievale; che coinvolgeva con la sua storia personale; del quale si apprezzava il sincero afflato umano. Questo papa dice invece cose astratte e spesso, per molti, prive di senso; che non toccano i cuori; che irritano la ragione, a meno che non lo si ascolti con adulazione preconcetta. Questo papa spesso offende i più elementari e profondi sentimenti umani (vedi le tematiche bioetiche, la contraccezione, l’AIDS, il fine vita); sembra esercitare con sadico piacere una predicazione che non parla all’uomo di cultura e di scienza ma spesso neanche tocca l’animo di quello di strada, compiacendo invece uomini di chiesa il cui pensiero è inviluppato in arcaiche speculazioni teologiche.
Anche Giovanni Paolo II, per il suo status, è stato un uomo di potere; anzi ha rafforzato il potere della curia romana e soffocato impietosamente i dissensi interni alla chiesa. Ma prima di ciò parlava al suo gregge, fino all’ultimo fedele. Questo attuale papa pretende invece solo di comandare, talora nascondendo il bastone, su tutto e su tutti, sulla base di una dottrina che ha dimostrato di essere, nei suoi fondamenti, nulla più (e solo fino ad un certo periodo storico) che una utile interpretazione del mondo; ma che è da tempo, giustamente ed ampiamente, superata.
Scrivo questo senza preconcetti, ma da ateo, tuttaltro che chiuso in una cultura “statica”, “stupida” e “cretina” come taluni pubblicamente asseriscono, intimamente persuasi, evidentemente, che l’esercizio dell’insulto sia legittimo alla loro parte più che l’esercizio della dialettica allo schieramento opposto.