Niente pene retributive, «grazie a Dio»
In un editoriale dal titolo “Antiche e nuove condanne contro tutti i patiboli, ma proprio tutti”, Marina Corradi riprende, su “Avvenire” del 30 novembre 2008, collegandoli a quello della pena di morte, i temi della campagna per ‘salvare’ Eluana, anche lei ingiustamente ‘condannata a morte’, come da mesi gridano la stampa cattolica e quella dei ‘laici’ allineati.
Non è comunque su questo argomento che intendo puntare il dito; quanto piuttosto su due passaggi, con in comune l’esclamazione «grazie a Dio».
Questo il primo: «Il Colosseo illuminato ieri notte è stato il simbolo suggestivo della campagna che lega mille città del mondo contro la pena di morte, alla vigilia della votazione all’Onu per una nuova moratoria. Tanta gente in piazza –grazie a Dio– in questa grande battaglia che accomuna cattolici e laici, sinistra e destra». Quest’altro il secondo «La morte comminata dentro una logica retributiva è –grazie a Dio– sempre meno accettabile per la coscienza del mondo».
In pratica, secondo l’editoriale, il criterio della giustizia retributiva non si addice a Dio (o comunque non ispira i suoi rappresentanti in terra). Ma è proprio così?
Il principio della retribuzione, prima di essere sostenuto da secoli di teologia morale, è un cardine delle “Sacre Scritture”. Affermato nell’ “Antico Testamento” e confermato nel “Nuovo”, come ad esempio: «Poiché è il giorno della vendetta del Signore, l'anno della retribuzione per l'avversario di Sion» (Isaia 34, 8); «Conosciamo infatti colui che ha detto: A me la vendetta! Io darò la retribuzione! E ancora: Il Signore giudicherà il suo popolo» (Ebrei 10, 30).
Sulla retribuzione si dilunga Tommaso d’Aquino, secondo il quale la pena «tende principalmente a un bene al quale si giunge mediante la punizione dei colpevoli, per esempio al loro emendamento [funzione rieducativa], o almeno alla repressione del male per la pubblica quiete [funzione preventiva-difensiva], oppure alla tutela della giustizia e all'onore di Dio [funzione retributiva]» (Summa teologica, II-II, q. 108).
Proprio in virtù del principio di retribuzione, secondo la tradizione cattolica, la proporzionalità della pena non esclude in linea di principio l’applicazione di quella di morte, la massima possibile, sul modello della pena ‘retributiva’ dell’inferno, che durerà in eterno, e che non ha per principio alcuna funzione rieducativa.
Lo stesso sacramento della Confessione ribadisce questo principio: infatti il peccatore riceve una penitenza, proprio come ‘retribuzione afflittiva’, giacché «La pena ha innanzi tutto lo scopo di riparare il disordine introdotto dalla colpa» (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 2266).
Che pensare dunque dell’affermazione che ‘grazie a Dio’ la giustizia non segue più una logica retributiva? Come può essere che, ‘grazie a Dio’, la giustizia e la coscienza civile non seguano più proprio ciò che Dio vuole o vorrebbe? Non può che trattarsi, a mio avviso, di uno dei tanti esempi di come il cattolicesimo si mantiene cattolico rinnegando le sue radici. Alla faccia del relativismo altrui!