Così si preparano gli insegnanti di religione a denigrare gli atei

La questione dei contenuti dell’insegnamento religioso nelle scuole pubbliche, da sempre diffamatorio dei non credenti, ha suscitato un buon interesse fra i nostri lettori. Vorrei tornarvi  con una breve riflessione sul come venivano e vengono preparati codesti insegnanti cattolici; su cosa (e come) viene suggerito (ma francamente imposto) loro di insegnare riguardo il credere o meno in dio e riguardo l’ateismo. Per far questo, mi avvalgo di citazioni di uno fra i tanti testi scritti appositamente per gli educatori religiosi, dal titolo eloquente: “Và e insegna! Manuale per i Corsi di Abilitazione dei Catechisti e la preparazione delle lezioni di Religione” del salesiano Umberto Maria Pasquale (Libreria Dottrina Cristiana, Torino, 1963).
Non sorprenda la mia scelta di un testo stampato in un tempo apparentemente così lontano. Mi preme infatti mettere in bella evidenza il clima ideologico nel quale si sono formati non solo i più attempati fra gli insegnanti di religione ancora in attività (fra i quali ad esempio molti predicatori di Radio Maria), ma soprattutto la maggior parte dei regnanti cardinali, arcivescovi, vescovi, che in buona misura sembrano non avere dimenticato toni e contenuti della lezione giovanile. D’altra parte, se è vero che i fondamenti della dottrina cattolica sono immutabili, questo relativamente modesto lasso temporale non può avere mutato le impostazioni di base.
Lungi dal riassumere le settecento pagine complessive dell’opera, mi soffermerò su pochi essenziali concetti che ci riguardano da vicino.
L’impianto dottrinale di questo volume è ancora quello del vecchio catechismo mnemonico di Pio X, basato su brevi enunciazioni di ‘verità assolute’; ma il metodo proposto si avvale di tutti i suggerimenti della psicologia (o, se preferite, dell’arte del vendere).
Tanto per cominciare, all’inizio del volume si spiega con decisione che
“non tutte le religioni sono buone perché non tutte sono vere”,
per cui spesso l’uomo sceglie quella che gli consente
“i capricci e le mal intese libertà che l’individuo vuol prendersi”.
La religione cristiana è la sola buona, mentre dove passò l’Islamismo
“la civiltà si cristallizzò ed entrò il fanatismo”. (p. 5). 
Gli atei sono subito affrontarti con decisione:
“Se la religione è naturale, perché molti non sono religiosi? a) Innanzitutto il numero delle persone che si professano irreligiose, non è poi così grande come pare. Molto spesso si tratta di gente che si vergogna di esprimere i propri sentimenti o è tenuta schiava da minacce di caporioni. B) Poi: anche la conservazione della propria vita è un istinto naturale, eppure vi è anche chi si uccide… Come è altresì naturale l’amare e ubbidire i genitori, sebbene vi sia chi non si comporti bene con essi. Cioè: i sentimenti naturali, li possiamo anche soffocare perché siamo liberi. C) Le ragioni di queste eccezioni non sono da ricercarsi nella natura, ma nella anormalità degli individui stessi.” (p. 6)
Dunque chi non crede in un qualche dio è senza appello un anormale! Così al futuro insegnante di religione di consiglia:
“Fa osservare come gli animali non hanno religione. Ha detto bene un filosofo pagano che «l’uomo è un animale, ragionevole, religioso». E’ una sventura e un disonore essere uomini e non essere religiosi cioè non riconoscere Dio come proprio signore.” (pp. 10-11)
Come da tradizione, a questo punto si invoca come prova la cosiddetta ‘testimonianza universale degli uomini’:
“Non esiste popolo, antico o moderno, barbaro o civile che non ammetta l’esistenza di un Dio. I primi ad ammetterlo sono gli uomini di genio. Per esempio, trai nomi che seguiranno troveremo tanti uomini, anche di religioni diverse e talune false, ma che ammisero tutti l’esistenza di Dio. Ciò valga per tanti ignoranti dei nostri tempi, che si danno aria di grandi uomini perché si dichiarano «negatori di Dio». (p. 16)
Quanto pretestuoso e ben poco convincente sia quest’elenco lo dimostra l’inclusione in esso perfino di alcuni padri della moderna incredulità: Voltaire, Rousseau, Kant, Darwin. Mentre, ovviamente, non si accenna minimamente ai ‘non credenti di genio’, lasciando immaginare che in effetti non ne siano mai esistiti.
Perché allora esiste l’ateismo? Non appartiene forse alla natura?
“Si, esiste accanto alla natura, come esiste la febbre e la malattia accanto alla salute, il vizio accanto alla virtù, l’errore acanto alla verità. L’ateismo si spiega dalle sua cause: 1) vizio della mente, ignoranza, poca formazione; 2) vizio della volontà, cioè pigrizia, indifferenza religiosa; 3) vizio del cuore, cioè pervertimento morale.” (p. 17)
E a chi ritiene la fede un assurdo si replica:
“Coloro che così affermano, in generale negano le verità divine per ammettere le ipotesi più assurde. Per esempio: negano la creazione come opera di Dio e ammettono più volentieri di discendere dalle bestie. […] Ricordalo sempre: Non esistono peggiori creduloni degli increduli”. (p. 17-18)
Vediamo dunque qual è il percorso consigliato quale antidoto all’ateismo:
“le anime dei piccoli non hanno ancora dubbi sulla esistenza di Dio. Le prove che presenterai loro, non devono quindi avere tono apologetico (come se dovessi convertire gli atei), presenterai invece la tua lezione su Dio come un invito di tutte le cose e della nostra stessa natura per salire a Lui. Inoltre devi ricordare che i tuoi alunni non sono neppure dei pagani: c’è in loro la virtù della fede che agirà certamente sotto l’azione di Dio; basta che tu la invochi e la faccia invocare; basta che tu sappia creare il clima religioso”. (p.21)
E questo è proprio un esempio di come creare il clima adatto:
“Presenta due cartelloni che tu stesso puoi aver fatto, incollando su un cartoncino figurine tagliate da riviste: in uno vi sia una scena di pagani in preghiera davanti agli idoli; nell’altro una scena di cristiani che pregano in chiesa o in casa. Ricaverai facilmente l’insegnamento: tutti i popoli credono in Dio! I pagani hanno perduto il concetto del vero Dio, ma non hanno perduto di vista Dio.” (p. 23)
Ma evidentemente tutto ciò può non bastare! Ed ecco allora come il futuro catechista apprende il metodo per bene imprimere la fede cosiddetta ‘naturale’ nella recettiva mente dei fanciulli:
“L’intelligenza è aiutata dalla memoria. Quest’ultima è la facoltà che ri­tiene e riproduce le cose udite o viste. È come una lastra fotografica: fissa nella mente un oggetto, conserva l’impressione attraverso il tempo, la ripro­duce quando sia opportuno. Vi sono fanciulli che ricordano più facilmente i fatti, altri le persone, al­tri le parole ecc. Ma in tutti loro la memoria è spiccatissima e soprattutto la memoria delle parole e dei nomi, anche se strani o non compresi nel loro significato. Bisogna approfittarne per far imparare a memoria le formule che serviranno a riportare dalla scuola per la vita di domani i dogmi della Fede. Per facilitare ai bimbi lo studio a memoria: non assegnare nes­suna lezione prima di averla spiegata per bene, di averla fatta leggere varie volte; assegnane poca: ogni idea che esponi legala possibilmente a qualche aneddoto, e trascrivila sulla lavagna per farla leggere da uno o più alunni. Se non hai la lavagna, nemmeno quella di plastica, serviti del testo. Non temere di ripetere e di far ripetere la stessa cosa ma senza stan­care. Sarà utilissimo far sottolineare certe parole chiave. Non dimenticare però che è necessaria molta benignità e comprensione, perchè non tutti possono avere la medesima dose e agilità di memoria.” (p. 659).
Se dopo cotanto indottrinamento il seme della fede non germoglierà in questi fanciulli, ne sarà certo responsabile (come da premessa) quella stessa incorreggibile tara da cui tutti noi non credenti siamo evidentemente gravati!

Francesco D’Alpa

Pubblicato su: www.uaar.it (20 giugno 2009)