Pena di morte - Argomenti apologetici moderni a suo favore

«se [la pena di morte] è stata ammessa da tanto tempo da parte di tutta l’umanità e anche dalla Chiesa, ciò deve essere avvenuto sulla base di argomenti e motivazioni che razionalmente hanno una loro validità». [Tamanti R., 2004, pp. 13-14]

Proprio dalla bocca degli uomini di Chiesa più autorevoli sono uscite le più decise affermazioni contro chi considerava disumana la pena di morte. Ne riporto un eloquente estratto da un trattato di teologia di metà Novecento. L'apologia della pena di morte inizia con affermazioni sprezzanti:

«Qualche decina d'anni fa erano non pochi gli apologisti e i patrocinatori degli assassini e dei malfattori della più perversa specie, che alzavano la voce contro la pena di morte, chiamandola: abuso esecrando, ingiustizia tirannica. Per convincere chi ha fede della legittimità di questa pena basterebbe citare i Libri Santi, nei quali la troviamo più volte ordinata da Dio stesso per certi enormi delitti; ma per persuadere anche gli empi, che tale diritto non può essere negato alla società, non mancano argomenti di ragione». [Martinati A., 1940, p. 363]

Dunque, i cristiani possono senza esitazione accettare la pena di morte per verità di fede; i non cristiani la debbono accettare per argomenti di ragione, ovvero di diritto naturale:

1- La pena di morte appare necessaria per la difesa della società, come espresso chiaramente da San Tommaso, secondo cui occorre necessariamente amputare la parte malata di un organismo, al fine di garantire la salvezza del corpo intero, esempio a sua volta ripreso con non poche libertà dal “Nuovo testamento”:

«Non sapete voi che un po' di lievito fa fermentare tutta la pasta? Sbarazzatevi dunque del vecchio fermento, affinchè siate una pasta nuova» (1 Corinti, 5, 6-7).

2- La pena di morte è necessaria alla riparazione dell'ordine turbato dal delitto, in quanto la giustizia richiede una morale adeguazione della pena con la colpa, e dunque necessariamente anche la pena di morte. Non solo ma

«si danno alle volte delitti sì atroci, con circostanze così orribili e funeste, che per iscontarli in proporzione non basterebbe una sola morte del malfattore, ma, se fosse possibile, sarebbero necessari dieci, cento, supplizi capitali». [Martinati A., 1940, p. 363]

3- La pena di morte è medicina per il condannato

«non perché lo possa ridurre ad un tenore di vita regolare, che la morte gli rende impossibile, ma perché lo converte e gli fa riconoscere e detestare le sue scellerataggini». [Martinati A., 1940, p. 363]

Se l'anima del condannato può essere salvata (e per il teologo lo sarà grazie alla confessione prima dell'esecuzione) non altrettanto occorre che la società salvi la sua vita, giacché il bene morale del reo non riguarda l'autorità civile, se non come scopo secondario, non necessario. Se si salvasse la vita del condannato,

«le condanne fallirebbero al loro fine: e quando il reo si ravvedesse, dovrebbe essere tosto liberato dal resto della pena. Dio pure non potrebbe condannare nessuno all'inferno in cui non si da luogo a correzione per il dannato; tuttavia chi ardirebbe accusare Dio d'ingiustizia?». [Martinati A., 1940, p. 364]

4- La pena di morte è esempio per gli altri, e serve per mantenere l'ordine pubblico:

«per questo nei tempi passati le esecuzioni capitali erano sempre pubbliche, e talora i cadaveri rimanevano penzoloni al laccio per qualche giorno. […] L'immoralità, l'ateismo, l'indifferenza, il dileggio d'ogni sacro e salutare freno della coscienza, ha già in gran parte distrutto il primo, che è il timor santo di Dio, delle sue leggi, delle sue vendette. Resta l'ultimo freno alle scellerate cupidità dell'uomo: il timore della giustizia umana, la prospettive del patibolo, il salutare spavento della morte. La pena di morte, se non corregge il malfattore, corregge la società che forse tenta d'imitarlo». [Martinati A., 1940, p. 364]

5- La società non dispone di mezzi atti a tutelarsi dai più pericolosi criminali.

«È falso che il carcere, anche a vita, sia temuto così da assicurare la società contro l'astuzia, la prepotenza ed il furore di certi malvagi matricolati; tanto è che il più di costoro, assicurati alla giustizia, reputano una grazia insigne la commutazione della pena di morte nel carcere perpetuo, e quasi tutti i condannati all'estremo supplizio lo chiedono con grandi suppliche. […] Non vi è che la morte che posa troncare irrevocabilmente, con la vita del malfattore, ogni possibilità che esso ricada nei suoi delitti, e così tolga ai cittadini l'ansia di rivederselo alle spalle». [Martinati A., 1940, p. 365]

6- Alla civiltà ed alla dignità dell'uomo del ventesimo secolo non deve ripugnare farsi carnefice d'un altro uomo, cosiddetto «assassinio legale». Allo stesso modo, infatti, non ripugna alla nostra civiltà, durante la guerra, l'uccisione dei nemici o il bombardamento delle città, con la morte di innocenti; perché ciò serve alla difesa dei diritti conculcati. Ed anche la pena di morte

«è in difesa delle leggi e dei diritti altrui calpestati: anche nella pena di morte è la giustizia che si alza in tutta la sua maestà per additare e sfolgorare l'enormità del delitto. In ambo i casi dobbiamo ammettere che a mali estremi occorrono estremi rimedi». [Martinati A., 1940, p. 365]

7- Non è terribile pronunciare una sentenza fatale e irreparabile, perché Dio può rimediare agli errori umani. Si tratta dell'aspetto forse più tragico: la possibilità concreta che spesso un innocente sia erroneamente condannato alla pena di morte. La sconcertante risposta alle obiezioni è questa:

«chi non vede e confessa una giustizia assoluta e suprema, capace di riparare e compensare in una vita futura i possibili errori della povera giustizia umana, deve al certo sentirsi agghiacciare il sangue. Ma chi riconosce e adora la giustizia divina, che mai non erra, che può e sa ristabilire il turbato equilibrio, rendendo lassù centuplicato l'onore, il merito, il premio alla vittima d'un errore di quaggiù ; costui brama al certo e scongiura che la sentenza sia savia, illuminata e sicura, ma non s'arresta innanzi alla possibilità d'un giudizio errato, come dinanzi ad un ostacolo insuperabile. La grande idea di Dio riparatore offre una soluzione a molte questioni che senza di essa rimarrebbero insolubili». [Giovannozzi P., 1934, p. 178 (citato da Martinati A., 1940, p. 365]