Coronavirus: l’affidamento ai pastorelli di Fatima

di Francesco D’Alpa

 

Il 25 marzo 2020 il vescovo di Leiria-Fatima, cardinale Antonio Dos Santos Marto, ha presieduto una solenne cerimonia di consacrazione [1] al ‘Cuore Immacolato di Maria’ del Portogallo, della Spagna e di altre 22 nazioni (Albania, Bolivia, Colombia, Costa Rica, Cuba, Slovacchia, Guatemala, Ungheria, India, Messico, Moldavia, Nicaragua, Panama, Paraguay, Perù, Polonia, Repubblica Dominicana, Tanzania, Kenya, Zimbabwe, Timor Est e Romania) su richiesta delle rispettive Conferenze Episcopali. Durante la cerimonia il cardinale ha pregato in modo particolare per i fanciulli, gli anziani ed i più vulnerabili, chiedendo alla Madonna di confortare i medici, gli infermieri, il personale sanitario ed i volontari impegnati nella lotta al virus, e al contempo di accrescere la solidarietà fra i cittadini.

Al momento di questa consacrazione più di 3600 spagnoli e solo circa 50 portoghesi erano già morti per l’infezione da coronavirus. Sul perché di questo divario sono state formulate varie ipotesi (fattori geografici, comportamenti responsabili, efficacia della pregressa vaccinazione antitubercolare, e molte altre), non ultima la protezione accordata dalla Madonna di Fatima (che gli spagnoli non hanno; anche se, in verità, gli spagnoli hanno la cattedrale santuario di Santiago de Campostela, la più famosa e antica meta di pellegrinaggio).

Fatto sta che dopo neanche un mese i morti in Spagna hanno superato le 20.000 unità, ed in Portogallo circa le 700 (a fine aprile l’incremento segue, con un certo scarto temporale, quello già osservato in altre nazioni; ed anche qui sembra non arrestarsi).

Durante la cerimonia, svoltasi a Fatima, sono stati ovviamente venerati i due pastorelli, Francisco e Giacinta Marto, ai quali (oltre che alla cugina Lucia dos Santos) la Madonna sarebbe apparsa nel 1917; proclamati santi da papa Ratzinger a motivo delle loro virtù eroiche; morti a casa dell’epidemia di influenza spagnola, ed in virtù di ciò proclamati (secondo un tradizionale criterio analogico) protettori dalle malattie infettive.

Secondo il comune orientamento dei commentatori cattolici i due pastorelli portoghesi rappresentano un modello ideale di come si debba affrontare ogni epidemia, inclusa quella odierna. Essi infatti hanno sopportato con fede le restrizioni, i dolori e la solitudine; desiderando solo di conformarsi al volere di Dio e, Giacinta in particolare, di ricevere l’eucarestia. In tal senso, essi hanno aiutato a preparare il mondo a entrambe le pandemie. Particolarmente significativo è giudicato oggi il fatto che l’epidemia da coronavirus abbia assunto un andamento epidemico (e poi pandemico) proprio nel febbraio 2020, ovvero a un secolo esatto dalla morte di Giacinta.

Il legame fra le cosiddette apparizioni di Fatima e la pandemia attuale è ovviamente il ‘male’ conseguente al peccato (che avrebbe causato due guerre mondiali oltre all’epidemia di spagnola), che solo l’indispensabile penitenza avrebbe potuto scongiurare. Quali analogie si riscontrano infatti con la situazione attuale? Primo: secondo quanto scritto a suo tempo da Lucia dos Santos, se non si fosse convertito, il mondo avrebbe subito un grande castigo, proveniente dalla Russia comunista; guarda caso, commentano i fatimologi, anche la Cina è un paese ad ideologia comunista. Secondo: oggi in tutto il mondo vige una situazione di peccato come nel 1917. Terzo, la conversione richiesta dalla Madonna non è avvenuta. Motivo per il quale era lecito attendere un altro pesante castigo.

L’epidemia è dunque il castigo temuto? Secondo certe frange del cattolicesimo lo è certamente, e si deve dunque negare che sia «il frutto di circostanze umane contingenti», così come si deve negare che lo siano stati il comunismo e due guerre mondiali; perché chi così ragiona misconosce il modo di procedere della Provvidenza divina. [2]

Per altri siamo ancora nell’ordine dell’avvertimento. Così ad esempio la pensa Mons. Ramón Castro, vescovo di Cuernavaca (Messico), che dopo aver denunciato duramente i peccati del mondo moderno, e specialmente l’ideologia di genere, ammonisce: «Dio ci sta gridando attraverso questa pandemia di coronavirus. Dio ci sta dicendo: sentite figli, fermatevi e pensate dove state andando! Dio ci sta colpendo amorevolmente per svegliarci. Siete miei figli e io vi amo. Io sono misericordioso. Vedete, però, come state andando verso l’abisso. Questa pandemia di coronavirus è come se Dio ci dicesse: quanto sei fragile mondo moderno! Il tuo potere, i tuoi soldi, la tua spavalderia non possono niente contro di me! Hai voluto atteggiarti a Dio? Ebbene, vedi come cadi in un attimo!» [3]

Che fare, dunque, in tale frangente? Donal Anthony Foley, uno dei più ardenti sostenitori di Fatima, dopo avere sottolineato la coincidenza con il centenario della morte di Giacinta di Fatima, ha proposto ad inizio epidemia, per scongiurare una possibile diffusione dell’infezione, di combattere il pericolo con gli stessi mezzi spirituali ‘adoperati efficacemente’ da don Bosco per prevenire il colera: «evitare il peccato, indossare una medaglia benedetta della Beata Vergine e ricorrere alla preghiera». [4]

Ma torniamo ai pastorelli ed al ‘santino’ esibito più o meno in tutti i testi devozionali Il loro impegno sarebbe stato quello continuo di consolare Gesù, convertire i peccatori e impegnarsi a seguire Cristo attraverso Maria. «La fede di Giacinta è quella dei Santi di Dio, non quella da salotto. È una fede virile, forte, che non fa sconti a se stessi ed è coraggiosa, va all'arma bianca: da soli contro il nemico, il demonio e le sue tentazioni, quelle che portano al peccato. La guerra terribile non è contro il mondo, ma è contro se stessi e chi vince quella guerra si fa partecipe della Redenzione dell'Unico Salvatore.» [5] Mentre Francesco desiderava ardentemente l’eucaristia ed amava isolarsi in chiesa, pregando accanto al ‘Gesù nascosto’ nel tabernacolo, Giacinta, che gli sopravvisse meno di un anno, soffrì a lungo in ospedale, in solitudine, ma con la consolazione di poter osservare lungamente il tabernacolo da una sedia nel corridoio fuori la sua stanza. Da qui una significativa analogia con chi si trova esiliato dalla comunione a causa della pandemia e può far visita solo virtuale al tabernacolo. [3]

La realtà è stata assai più prosaica. Cominciamo col dire che delle biografie di questi due bambini si conosce quasi solo quanto scritto dalla veggente cugina, colpevolmente ispiratasi alle vite di Teresa di Lisieux e di Giovanni Berchmans, e che riunisce solo pochi autentici ricordi personali. Il loro status di veggenti e la loro presunta ‘santità’ traspaiono solo dalle foto che li mostrano più o meno conformi a come li si voleva presentare.

Dalle poche testimonianze raccolte molti anni dopo da De Marchi (uno dei migliori storici di Fatima) sappiamo che il loro carattere cambiò quasi nulla dopo i fatti di Cova da Iria: solitario ed ombroso Francesco, estroversa e gioiosa Giacinta; nulla più. Nessun itinerario mistico, al contrario di quanto affermano Lucia ed i più noti agiografi, per i quali sono “anime candide e ingenue”, “semplici come gli agnelletti”, che “pregavano con pietà”, che “imparavano con diligenza il Catechismo”, secondo Gonzaga da Fonseca. Un altro agiografo, Luigi Moresco, elogia le «sante industrie di questi innocenti per soddisfare alla sete di sacrificio e di penitenza che la vergine aveva loro acceso in cuore» e sostiene che «edificante fu la morte dei due minori». [7]

Francesco era in realtà un bambino con scarse capacità, ma obbediente, pronto ad accontentarsi in tutto, ed ad accodarsi alla cugina; un semplice, descritto tuttavia da Lucia come un mistico, ma in realtà svogliato e scarsamente capace di apprendere il catechismo; così poco importante che si sa ben poco anche della sua malattia (che sopportò con quella rassegnazione che gli proveniva dal carattere e non dalla fede), e non si prestò alcuna attenzione alla sua sepoltura. In quanto a Giacinta se ne è costruito un ritratto mistico solo sulla base di dubbie testimonianze tardive.

I due pastorelli sono stati beatificati e poi santificati per le loro ‘virtù eroiche’, solo in quanto dichiarate nel racconto scritto da Lucia, ma non suffragate da prove certe. Il lungo e dettagliato racconto della loro malattia è poco più che una toccante testimonianza delle sventure che colpirono (come in innumerevoli altri luoghi) i due fratellini e la loro famiglia. La loro ‘santa’ sottomissione alla volontà del cielo è una ‘pia invenzione’: quale Madonna, quale madre pietosa, avrebbe potuto infatti volere per loro un così penoso ma soprattutto inutile calvario? Questo non se lo domanda nessuno; tutti presi ad esaltare la virtù della (inutile) sofferenza.

 

[1] Tecnicamente si è trattato in realtà di una cerimonia di ‘riconsacrazione’, visto che il Portogallo  ad esempio era già stato consacrato nel 1931 e tutto il mondo prima nel 1942 fa Pio XII e poi nel 1984 da papa Wojtyla.

[2] Julio Loredo: La pandemia e i grandi orizzonti di Fatima.
https://www.corrispondenzaromana.it/notizie-dalla-rete/la-pandemia-e-i-grandi-orizzonti-di-fatima/

[3] Tom Hoopes: I pastorelli di Fatima contro il coronavirus. https://it.aleteia.org/2020/04/14/i-pastorelli-di-fatima-contro-il-coronavirus/

[4] Donal Anthony Foley: Il coronavirus, Santa Giacinta di Fatima e San Giovanni Bosco. https://thewandererpress.com/catholic/news/featured-today/coronavirus-st-jacinta-and-st-john-bosco/

[5] Cristina Siccardi: Santa Giacinta di Fatima moriva 100 anni fa per il virus della spagnola. http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6039

[6] Luigi Moresco: La vergine apparve. La Famiglia cristiana, n. 26, 28 giugno 1942, p. 327

 

[Pubblicato su www.laiko.it  il 13 settembre 2020]