Quarantena
Misura di isolamento imposta a persone o cose, in ragione della loro provenienza o del loro contatto con persone o oggetti contaminati, in grado di trasmettere una infezione epidemica o contagiosa.
Nel linguaggio comune indica il limite temporale entro il quale si ritiene necessario impedire ogni contatto con l’individuo infetto; nel linguaggio medico indica più estensivamente l’insieme delle misure restrittive destinate a ostacolare il progredire di una infezione epidemica o contagiosa, e dunque non la semplice creazione di una barriera al contagio, ma un insieme di quanto atto a contrastare tutte quelle situazioni sanitarie ed ambientali che possono favorire il contagio, quand’anche a discapito, in varia misura, della libertà umana (spesso in passato ciò avveniva senza alcun rispetto della stessa dignità dei malati).
Le misure di quarantena sono state variamente intese ed applicate nei vari periodi storici. In tal senso, nel mondo occidentale ne possono essere distinti almeno tre. Il primo (protrattosi fino al medioevo) è quello segnato dalla lebbra, di cui si ha ampia testimonianza nella Bibbia. Il secondo è quello contraddistinto dalla peste, che ha falcidiato l’Europa fra medioevo e rinascimento; il terzo, più moderno, ha visto il diffondersi soprattutto del colera e della febbre gialla.
Il sequestro dei lebbrosi, come legge sociale, prevedeva il semplice isolamento, senza alcuna preoccupazione per il loro stato di salute, e piuttosto che all’idea di malattia era legato al disgusto per le lesioni visibili, all’orrore provocato dal loro contatto, ed all’idea che fossero causate da una colpa morale; il che portava ad escludere qualunque sentimento di solidarietà, e a sancire l’allontanamento dai sani con solenni cerimonie religiose purificatrici ed espiatrici. Peraltro, paradossalmente, presso certi popoli tali individui potevano essere considerati come martiri ed oggetto di venerazione (i cavalieri di s. Lazzaro, ad esempio, dovevano consacrarsi ai lebbrosi); ed in certi periodi del medioevo taluni sani perfino si imponevano periodi di reclusione (anche perpetua) accanto ai lebbrosi, per guadagnare i meriti di una condotta di vita sacrificale.
All’inizio dell’era moderna (dunque in epoca premicrobiologica) prevalevano considerazioni di ordine medico; ed il malato veniva ritenuto vittima non colpevole di un misterioso contagio o influsso astrale. A differenza che nel caso della lebbra, l’assoluto isolamento veniva imposto (perfino brutalmente) anche ai soggetti non visibilmente affetti, ma sospetti di esserlo; da qui il loro confinamento prudenziale accanto ai malati in luoghi a ciò specificamente destinati, i lazzaretti (la lebbra era anche chiamata ‘male di s. Lazzaro’, ed il primo lazzaretto di Venezia fu chiamato così per una corruzione del nome dell’isola di Santa Maria di Nazareth), in particolare laddove, come a Venezia e Genova, erano più intensi quegli scambi commerciali per mare con l’oriente, responsabili fra Quattrocento e Cinquecento di varie epidemie di peste. V’è da notare che la diffusione di questo morbo comportò nello stesso tempo sia fenomeni estremi di crudeltà verso i malati ed i sospetti, sia manifestazioni di cinica indifferenza (in molte regioni d’Europa danze, giochi, tornei e celebrazioni pubbliche spesso non subirono alcun arresto o divieto, stante il bisogno ed il desiderio di esorcizzare il male).
La fase più moderna dell’istituto della quarantena obbedisce allo scopo non solo di allontanare il contagio, ma a quello più nobile di soccorrere il malato, procurandogli le migliori condizioni di vita e sanitarie atte a superare il male. Dell’originario significato del termine e delle condotte ad esso relative resta oggi solo il richiamo ai quaranta giorni arbitrari delle leggi mosaiche e del ritiro di Gesù nel deserto.
Francesco D’Alpa
[Pubblicato su www.laiko.it il 13 settembre 2020]