Non si riduca il multiculturalismo a multiconfessionalismo

Secondo una classica definizione "il termine cultura va inteso innanzi tutto nel senso usato dagli etnologi. Esso designa un insieme di comportamenti originali, appresi, trasmessi a tutti i membri di un dato gruppo, più un insieme di idee, abitudini, valori, immagini, credenze, più una serie di oggetti, utensili, strumenti, tecniche, vesti, e anche di procedimenti, di gusti architettonici .“ [1] Solo incidentalmente la cultura ha a che fare con le etnie, e solo per alcuni aspetti con la religione dominante.
Per secoli, una certa unità del mondo occidentale si è definita anche in virtù di una comune professione di fede cristiana; ma spesso i conflitti fra le nazioni hanno tratto origine dallo stesso fondo cristiano, a causa delle differenze e dei contrasti fra le varie chiese locali.
Oggi, dopo i secoli dell'incontro violento, assistiamo per lo più a scambi abbastanza pacifici fra le diverse culture. La società multietnica è ovunque; ma il progresso tecnologico e le spinte alla globalizzazione che l'accompagnano tendono paradossalmente ad accentuare le divisioni sociali ed aggravare le tensioni etnico-religiose. Le nuove minoranze di immigrati, specie per quelli provenienti dal mondo musulmano, cercano di ottenere adeguati spazi ed il mantenimento quanto più possibile di una propria identità culturale, il che diviene frequente motivo di conflitto sociale.

Il ritorno del fondamentalismo cristiano
Il multiculturalismo è un dato di fatto in ogni civiltà progredita, dove convivono i contenuti, le istanze e le impostazioni di vita più vari. Eppure, a parte i perenni strali della chiesa contro ogni novità, diversità o modernità emergente e che rischi di travolgere l’ordine costituito (liberalismo, libero pensiero, alfabetizzazione di massa, socialismo, egualitarismo, etc.), il campanello d’allarme ‘contro l’altro e contro l’alterità’ è chiaramente risuonato solo quando il presunto ‘territorio cristiano’ è stato investito dai flussi migratori islamici con la loro carica di fondamentalismo religioso.
Da quel momento il dibattito politico ha di fatto ridotto il multiculturalismo a multiconfessionalismo, e la religione (a dispetto dell’esempio della salda coesione degli Stati Uniti multiconfessionali) sembra essere divenuta il più importante discrimine fra le culture. Il multiconfessionalismo è divenuto in Europa vero e proprio scontro di civiltà, con pretesa da parte delle chiese di essere ispiratrici dei costumi e delle politiche. Lo stesso cattolicesimo ha ricominciato a mostrarsi, come in un non dimenticato passato, fondamentalista, appiattito su tradizionali ma oramai anacronistiche posizioni ideologiche, quali quelle in tema di morale e bioetica.
Mentre i passati pontefici (pur se angosciati dalla perduta autonomia politica e preoccupati dalle lotte sociali, dalla progressiva dimenticanza di Dio e dal decrescere dell’influenza della morale ufficiale cattolica sugli stessi credenti) non hanno mai evocato lo spettro del conflitto di civiltà, di questo si è preso a discutere in riferimento alle tante diversità fra ‘noi’ e l’Islam.
Nello stesso periodo la religione ha ravvivato la sua alleanza con il potere, ed ha ripreso ad insinuarsi nella ‘coscienza’ dei politici, massimamente nell’America di Bush. Laddove in precedenza l’Occidente, non riconoscendosi se non marginalmente nelle presunte radici cattoliche, aveva progressivamente relegato la religione nella sfera del privato (ed attuato una sua più o meno ampia separazione dall’amministrazione dello stato), essa è tornata apparentemente a costituire il principale elemento identificativo della ‘nostra’ cultura; con tutti i problemi conseguenti, giacché nulla unisce o divide le persone quanto i credo religiosi.

La libertà religiosa è uguale per tutti?
E’ un dato di fatto che l’integrazione culturale appare oggi ovunque nel mondo tanto più problematica quanto più importanti sono le ingerenze religiose sulla politica, soprattutto da parte dei due maggiori monoteismi (cristianesimo e islamismo).
Come ovviare a tale situazione? Nei paesi a più forte penetrazione islamica sono state attuate, con scarsi risultati, politiche diverse. Il modello olandese della ‘compartimentazione’, ovvero il rispetto totale delle identità culturali, non è stato capace di arginare l’integralismo islamico, anzi sembra averlo favorito. In Francia, dove vige una tradizione separazione fra Stato e Chiesa, il confronto fra le diverse comunità si è sviluppato innanzitutto sul piano delle richieste sociali (opportunità lavorative e sociali, benessere), ma senza un migliore esito. In ogni caso, la risposta ‘cristiana’ alle pretese islamiche sembra avere anch’essa valenze fondamentaliste, come evidenziato dal discorso del 12 settembre 2006 di Benedetto XVI a Ratisbona.
Per la Chiesa cattolica è ovviamente impensabile un confronto su di un piano di parità (o peggio l’integrazione) fra culture impregnate di religione, stante il preconcetto (ritenuto inderogabile) della superiore ‘Verità’ del Cristianesimo. Tanto per citare un parere autorevole, il vescovo di Como Alessandro Maggiolini riteneva che fossero giusti, cristianamente, l’accoglienza degli immigrati islamici ed il dialogo con l’Islam, purché non si mettesse in discussione il primato del cattolicesimo, ovvero che bisognasse “educare il popolo cristiano a quegli atteggiamenti di fraternità, accoglienza  e dialogo con la religione islamica. Senza però sottacere il rischio che si affermi una visione relativistica dei rapporti fra le diverse religioni, quasi che fossero tutto sommato, equivalenti”. [2] Infatti, per i cristiani, il Dio trinitario non è affatto uguale ad Allah, né Gesù Cristo a Maometto, o il Vangelo al Corano. 
Non si tratta di un problema di identità dei cristiani; è in gioco il rapporto fra la Chiesa Cattolica e lo Stato, impostato qui da noi come antagonismo cattolicesimo-laicismo. Un multiculturalismo pieno (dunque anche multiconfessionale) amplierebbe la platea degli interlocutori dello Stato, equiparandone il ruolo critico o ispiratore. A scanso di equivoci, sempre secondo Alessandro Maggiolini, bisogna stare attenti ai pericoli di uno “zelo disinformato”: “C’è il dovere di prendersi cura del prossimo quale che sia la sua religione, a partire dagli elementi minimali della dignità umana. Di questo fa parte anche il doveroso riconoscimento della libertà religiosa. […] c’è un dovere sacrosanto di lasciare a ciascuno la libertà di professare la propria religione, [ma] non esiste affatto il dovere (magari la correlativa pretesa) di sostenerne le iniziative culturali o formative. Solo un malinteso e approssimativo senso della carità cristiana potrebbe sostenere una simile cosa”.
Cogliere le altre fedi e credenze nella loro ‘specificità’ e ‘rispettarle’ significa dunque, per i cristiani, come sempre, sanzionarne la ‘inferiorità’; per cui bando a confusione, sincretismo, relativismo. Le presunte aperture di Benedetto XVI agli ebrei (con i quali ci sarebbe addirittura ‘assonanza’, a dispetto di secoli di odio) e quelle agli islamici (sulla base del comune ceppo abramita), non occultano un ostracismo di fondo mitigato solo da convergenze strategiche in funzione ‘anti-laicista’.
Apparentemente nel segno del multiconfessionalismo dovrebbe essere la pressante richiesta cattolica di  libertà religiosa. Ma la vera libertà religiosa vale per tutte le concezioni del mondo? Molti anni orsono il nostro Ministero della Pubblica Istruzione aveva precisato che "l'educazione interculturale è condizione strutturale della società multiculturale. Il compito educativo in questo tipo di società assume il carattere specifico di mediazione fra le diverse culture di cui sono portatori gli alunni: mediazione non riduttiva degli apporti culturali diversi, bensì animatrice di un continuo, produttivo confronto fra differenti modelli". [3] Ma guai a proporre nelle scuole pubbliche, trascorsi quasi 20 anni, un insegnamento di storia comparata delle religioni, al posto del privilegiato catechismo cattolico. Non a caso, secondo i commentatori cattolici, la richiesta dell’UCOII (Unione delle Comunità e delle Organizzazioni Islamiche in Italia) di insegnare nelle scuole pubbliche italiane la lingua e la religione islamica andrebbe rigettata, in quanto interpretata quale tentativo di “creare una entità islamica all’interno dello stato di diritto italiano”. [4]
D’altra parte, secondo la chiesa, il principio della libertà religiosa non vale neanche al suo interno. Senza dimenticare i passati roghi di eretici, basta guardare al recente scontro istituzionale con la ‘teologia della liberazione’, mai percepita come utile ‘diversità’, e piuttosto anatemizzata quale ‘deriva ideologica’.
In questo l’atteggiamento di Benedetto XVI è esemplare: egli ritiene che qualunque compromesso sui temi di fede e con la modernità porti ad una caduta dell’identità cristiana dell’Occidente, della quale si sente vessillifero, anche di fronte alle chiese scismatiche, che considera semplici ‘comunità di credenti’, ciascuna ideologicamente carente di qualcosa.

La discriminazione dei ‘laici non credenti’
Il nodo cruciale dello stato multiconfessionale (ma non del multiculturalismo) è la pretesa delle comunità di credenti di trasporre i propri principi nella giurisdizione. In effetti, in alcuni paesi europei si è arrivati a consentire agli islamici  una limitata autonomia, fedele alle proprie tradizioni (il caso tipico è l’Inghilterra) ed è sempre più forte la richiesta che tutte le fedi siano egualmente protette dal vilipendio. Ma è improbabile che gli stessi credenti accettino il principio che anche l’ateismo vada egualmente rispettato e tutelato.
Il motivo di ciò è chiaro. Ad esempio, sia pure criticando in varia misura (un tempo veniva demonizzata) la diversità religiosa dal Cristianesimo, Benedetto XVI si dichiara comunque disposto ad un dialogo con gli altri monoteismi. Se da una parte continua a sostenere (magari a volte sottovoce) la superiorità del cattolicesimo sulle altre religioni, proprio in esse trova la sponda alle proprie argomentazioni, sulla base dell’assunto che non vi è vera umanità senza credo religioso, e che in fondo è meglio essere credenti in un qualunque dio piuttosto che atei. Per questo non concede alcuno spazio alle concezioni di vita non confessionali; e primo bersaglio delle sue invettive sono sempre i ‘laici non credenti’.
In realtà, partendo dal presupposto che ogni vero ‘confronto’ presuppone la possibilità di cambiare le proprie idee, esso non è possibile neanche fra cattolicesimo ed Islam. Resta la possibilità per i loro rappresentanti di accordarsi su taluni temi, più lontani dal centro delle rispettive fedi: democrazia, rispetto degli altri, valori della persona. Ma fino a che punto? E perché non accettare invece le proposte che giungono dal campo non confessionale?
La chiesa cattolica ed i suoi singoli esponenti, che reclamano un ruolo decisionale sulle iniziative degli altri gruppi religiosi (costruzione di luoghi di culto, preghiera pubblica, esposizione di simboli religiosi, etc…), a maggiore ragione reclamano un giudizio di legittimità su ogni etica non basata sui principi cattolici o comunque areligiosa, e sulle sue applicazioni pratiche. Di conseguenza dell’ateismo, come di qualunque altro argomento scomodo per la chiesa, non si può parlare pubblicamente, come abitualmente si fa di ogni idea filosofica, politica, economica, etc…. Secondo l’Opus Dei, per esempio, si sarebbe dovuto proteggere il pubblico dei minori vietando loro la visione del film “Il codice da Vinci”. Le piazze principali delle grandi città, sulle quali generalmente insistono i principali edifici religiosi vengono regolarmente utilizzate per attività ‘pagane’ (eventi sportivi, concerti, sfilate di moda), ma guai a volere tenere in esse una manifestazione che risulti anche o soprattutto antireligiosa, come i raduni di omosessuali sistematicamente vietati in San Giovanni a Roma, poiché il sindaco Alemanno li considera offensivi verso i fedeli cattolici, cui sembra quasi riservata quella piazza.
La stampa cattolica, con in prima fila l’ ‘Osservatore romano’, ha contestato a più riprese la Rai (addirittura proponendo l’obiezione di coscienza sul canone), a proposito dei temi e della qualità dei programmi (e con maggiore vigore se critici nei confronti del cattolicesimo o di suoi esponenti). Ma guai soprattutto, l’abbiamo già detto, a ‘ridicolizzare’ quelle che per noi sono superstizioni religiose. Qui l’abbraccio con l’Islam è pieno.
Nel gennaio 2001 clero e semplici credenti s’indignarono non poco per un programma televisivo nel quale si prendevano in giro le presunte bilocazioni, i profumi e le stimmate di Padre Pio, adducendo la motivazione che esse apparterrebbero ad un ‘sentimento popolare’ che va comunque rispettato. Ed il caso dei manifesti atei sugli autobus di Genova è solo uno degli ultimi esempi della suscettibilità confessionale. Ma perché i punti di vista aconfessionali non possono prendere il posto  di superate idee religiose, allo stesso modo di come in passato molte chiese cristiane sono state edificate su preesistenti edifici pagani, e molti culti di santi immaginari elaborati sulla traccia di divinità greche e romane?
Per non dire delle famose vignette con le caricature di Maometto. Secondo i cattolici “ironizzare su quanto si ritiene sacro non è un diritto di libertà, ma un atto di arroganza”, e l’Occidente “non deve vantare la propria superiorità morale e culturale, offendendo e denigrando il mondo musulmano”. [5] Quale cambiamento di rotta, almeno rispetto al 2001, allorchè la furia iconoclasta del talebani si era scagliata contro le statue di Buddha in Afghanistan! Allora il mondo intero, cattolici inclusi, aveva preferito condannare ‘l’offesa alla umanità ed alla cultura’ piuttosto che l’offesa alla religione: in fondo i talebani non avevano fatto altro che distruggere ciò che per loro era senza valore, come hanno sempre fatto i cristiani con le vestigia degli altri culti!
Passiamo a considerazioni che ci riguardano più da vicino. Se è vero che la religione è importante nella propria vita per meno di un terzo dei giovani italiani, [6] per quale motivo i precetti, le idee, i sentimenti religiosi dovrebbero avere tanta importanza agli occhi dei politici ed essere tutelati a discapito di altri precetti, idee, sentimenti? Secondo i clericali nostrani, nel mondo liberista si vuole impedire ai singoli di seguire le proprie convinzioni religiose. Bene, perché allora non consentire a chi la pensa diversamente di comportarsi come vuole, fatto salvo il rispetto delle leggi e della libertà altrui?
In una piscina della Diocesi di Bergamo si è recentemente istituita l’ora di nuoto riservata alle donne islamiche, per sottrarle agli impudici sguardi maschili; ma in Piemonte i cattolici hanno negato un finanziamento pubblico per la creazione di campeggi nudisti, dove nessun credente è ovviamente obbligato ad andare: una evidente mancanza di rispetto (e sostanzialmente una forma di denigrazione) verso valori differenti dai propri.
Il fatto è che per la chiesa il ‘non credente’ continua ad essere un cittadino di grado inferiore, stimato ancor meno del ‘diversamente credente’ che, secondo le parole di Giovanni Paolo II, potrebbe comunque ‘salvarsi’, comportandosi da giusto. In buona sostanza, nella società multiconfessionale, essere atei è quasi come delinquere. Non sarebbe così se la società fosse realmente e ‘semplicemente’ multiculturale.

La separazione Stato-Chiesa
Non dimentichiamoci che il clero ha pontificato per decenni contro la separazione Stato-Chiesa (e di conseguenza contro la separazione fra ideali religiosi ed ideali laici, fra morale religiosa e morale laica) attuata in varie forme in alcune nazioni europee fra Ottocento e Novecento, e non riuscita in Italia. L’Islam si muove oggi nella stessa direzione e con maggiore successo, avendo fuso negli ultimi decenni sentimento religioso e politica in funzione antioccidentale
Per fortuna non tutti i cattolici la pensano così. Secondo Gianni Baget Bozzo, dietro le vignette danesi che sbeffeggiavano Maometto non c’era una ostilità anti islamica, ma piuttosto esse evidenziavano solo una naturale estensione di quella libertà di critica alle religioni che è elemento costitutivo dell’identità europea, nata con l’Illuminismo, e che è alla base della nostra attuale desacralizzazione del mondo. [7]
Evidentemente, la chiesa cattolica, che oggi si dichiara amica della ragione, ha invece dato risalto, in questa vicenda, solo a quanto a lei più conveniente: l’attacco ad una fede religiosa che seppure diversa (e tradizionalmente osteggiata) essa preferisce difendere per difendere così se stessa.
Ma se la fede religiosa non ha valenza culturale privilegiata rispetto ad altri abiti sociali, perché non dovrebbe essere possibile discuterla e criticarla? La Chiesa cattolica non ha mancato mai di disprezzare gli altri culti, a misura della loro distanza dal cristianesimo (massimamente il ‘paganesimo’ politeista). Ma nel momento in cui l’attacco ‘laicista’ si è fatto più deciso, ha trovato un comodo alleato proprio nell’Islam, con il quale è d’accordo nell’imporre un divieto legale di ‘critica’ alle religioni, basato sull’assunto che criticare un principio o un credenza religiosa è offendere il rispettabile sentimento dei suoi fedeli. Ma come si può argomentare un’idea non religiosa del mondo, senza innanzitutto criticare le singole religioni?
Su queste basi è possibile capire come in Germania, nel 2008, il Ministero per la famiglia abbia chiesto addirittura l’inclusione (peraltro rifiutata) in un elenco di ‘letteratura pericolosa per l’infanzia’, di una favola che elogia l’ateismo (“Per favore dove si va per Dio?” di Michael Schnidt-Salomon). Ma dove sta il pericolo? Non sarebbe meglio proibire la lettura dei libri del Deuteronomio, ovvero del peggio della Bibbia, che esalta come divinamente ispirati norme e costumi barbari che incitano all’odio ed alla violenza?

L'Europa e l'Italia
Per fortuna la Commissione Europea guarda più avanti delle chiese. Nel 2008, ad esempio, dopo avere rigettato il principio delle presunte radici cristiane dell’Europa, si è pronunciata in favore della libera espressione delle idee antireligiose (con particolare riferimento al film anti-Corano ‘Fitna’ dell’olandese Geert Wilders).
D’altra parte, perfino nella ‘religiosa’ America, quello dei non credenti è l’unico gruppo in crescita. I credenti invece appaiono sempre meno certi delle loro convinzioni, al punto che uno su quattro cambia religione nel corso della sua vita e più della metà passa da un gruppo cristiano all’altro.
In Italia già è difficile pensare diversamente, figurarsi esibirlo. Secondo i clericali nostrani, nel mondo liberista si vuole impedire ai singoli di seguire le proprie convinzioni religiose. Nulla di più falso: nessuno ha mai impedito la pratica religiosa personale. La realtà è un’altra, ovvero che la cultura religiosa è così radicata nelle istituzioni e nella morale comune da essere ritenuta componente essenziale dell’essere personale. Per questo, quando il cardinale Tarcisio Bertone richiama i politici al rispetto dei valori cristiani, non intende che vengano rispettati i singoli cristiani nelle loro convinzione, ma proprio che i principi cristiani vengano tradotti nella legislazione, obbligando anche chi cristiano non è (vedi il caso dell’eutanasia e del testamento biologico…). [8]
Cosa sono infatti la libera morale, l’edonismo materialista, la rivoluzione sessuale, il consumismo, lo ‘scientismo’ (e così via fino ad Hallowen) se non ‘nemici’ della Chiesa e, prima ancora, dell’ineludibile ‘Verità’? Al clero non viene affatto in mente di accettarli quale espressione di una diversa (ed anche più variegata e dinamica) cultura, altrettanto (ma forse anche più) piena di valori. Limitandoci all’oggetto di attuali accesi dibattiti, le dichiarazioni anticipate sul fine vita, le unioni civili, i matrimoni omosessuali e la poligamia attentano alla società o semplicemente sono contrari a determinate norme religiose elevate in Occidente a ‘principio non negoziabile’ (ovvero a ‘Verità universale’) anche per i non credenti? E così, parimenti, la liberazione della donna (oppressa da maschilismo, verginità obbligatoria, mutilazioni e velo, in base a principi religiosi) e quant’altro nell’Islam?
Tornando all’attualità, c’è da chiedersi: è possibile che nella religione si compendino ed esauriscano tutte le differenze fra ‘noi’ ed il mondo islamico? Con buona pace delle invocate ‘radici cristiane’ la riscoperta, ad esempio, della cultura greca tramite il mondo arabo è risultata fondamentale per la cultura (anche religiosa) europea. Se fossero questi gli aspetti sottolineati, e non quelli religiosi, l’accordo fra i nostri popoli si sarebbe trovato da un pezzo, e le ferite sarebbero già risanate, come in Occidente dopo il conflitto più sanguinoso ed ideologicamente devastante di tutti i tempi.
L’obiettivo prioritario della società multiculturale prossima ventura deve senza dubbio essere il riconoscimento delle differenze, a partire dalla laicità non confessionale. La migliore risposta all’avanzare di qualunque integralismo non può che essere il restare in linea con i princìpi che hanno plasmato l’Europa, che partono dalle radici greche, e comprendono ‘anche’ la tradizione giudaico-cristiana (per quanto vi è in essa di veramente originale), ma si definiscono compiutamente e si rafforzano solo nella modernità laico-illuminista.

Riferimenti
[1]  Dupront A.: L'acculturazione. G. Einaudi Editore. Torino, 1966, p. 35.
[2] Lattanzi E.: “Accoglienza e dialogo ma niente confusione”. Avvenire, 14 dicembre 2005, p. 12.
[3] Circolare Ministero Pubblica Istruzione 205/90.
[4] Allam M., Oggi, 22.3.2006, p. 19.
[5] Zega L.:, Ma la chiesa sa solo subire le violenze islamiche?, Oggi, 22.2.2006, p. 19.
[6] Rapporti IARD sulla condizione giovanile in Italia, Panorama, 21.4.2005, p. 25.
[7] Panorama, 6.2.2006, p. 46.
[8] Corriere della sera, 10 marzo 2008, p. 15.

Francesco D’Alpa

Pubblicato su: "L'Ateo" n. 65 (5/2009)